martedì 4 aprile 2017

L'ARCIVESCOVO DI PALERMO, IL VEGGENTE E IL PARROCO RIBELLE



L’ARCIVESCOVO DI PALERMO RIVELA IL SUO VOLTO DI DESPOTA ?

A qualche osservatore è sembrato strano, anzi decisamente inopportuno, che l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice abbia assunto, in pochi giorni, due decisioni severe dal punto di vista disciplinare: ha negato al sedicente veggente brasiliano Pedro Regis (interlocutore abituare della Madonna)      la possibilità di esternare la propria esperienza in una chiesa cattolica  e ha destituito dalla funzione di parroco don Alessandro Minutella   (che ha ripetutamente sostenuto che, Bergoglio a Roma e Lorefice a Palermo, con l’eccessiva permissività verso gay e divorziati, stanno tradendo l’autentico insegnamento cristiano o per lo meno cattolico, riducendo l’intera chiesa a una “meretrice”).
  Non è questa la sede per entrare nel merito delle questioni sollevate: in un breve articolo non si può certo pretendere di dimostrare perché il vescovo di Roma e il vescovo di Palermo costituiscono una novità per la (lettera della) tradizione cattolica, ma una continuità per l’originario (spirito del) messaggio gesuano.
   Mi limito dunque a una questione di metodo.
   Agli osservatori esterni al mondo cattolico che, come il mio amico Francesco Palazzo, ritengono “medievale” la decisione di censurare il sedicente veggente osservo che in una situazione sociologica medievale  - cioè di monopolio esclusivo degli spazi pubblici da parte della Chiesa cattolica – sarebbe antidemocratico togliere a chicchessia il diritto di parola. Ma, per fortuna, siamo in una società secolarizzata dove chi vuole uno spazio, un teatro, un cinema, un’aula scolastica o universitaria…trova facilmente ciò che cerca. Deve per forza parlare in un ambiente cattolico? Se si intestardisce su questa richiesta è perché, apertamente o cripticamente, desidera che le sue idee abbiano per così dire il supporto dell’autorità ecclesiastica. Dunque mi pare lapalissiano che la medesima autorità decida quando e a chi dare il proprio supporto. Quando nel 2000 l’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone” ha invitato a Palermo don Giovanni Franzoni (già ex-abate benedettino destituito e “ridotto allo stato laicale” per punizione dal Vaticano), il Rettore dell’Istituto “Gonzaga” che ci ospitava gratuitamente ebbe una tirata d’orecchie dall’Arcivescovo dell’epoca e ci invitò gentilmente a trasferirci per sempre altrove. Ce ne siamo andati in punta di piedi, senza battere ciglia: un’associazione laica come la nostra non poteva avanzare alcun diritto di ospitalità da un’istituzione cattolica che riteneva inopportune le nostre scelte culturali (quali, nel caso in particolare, invitare un teologo ritenuto - dal Magistero del tempo – eretico).
   Nel caso del parroco di Romagnolo le obiezioni di un altro mio stimato amico, Luciano Sesta, sono di segno diverso, ma non opposto. Il mondo laico e cattolico-progressista sta plaudendo le decisioni dell’Arcivescovo: ma starebbero sulle stesse posizioni se, a essere colpito dai provvedimenti disciplinari, fosse un parroco di idee avanzate anziché uno di idee conservatore-reazionarie? Evidentemente non posso rispondere a nome di tutti quelli che – come me – plaudono alla decisione dell’Arcivescovo Lorefice. Per quanto mi riguarda, nei primi trent’anni della mia vita ho frequentato vari ambienti cattolici e, dopo gli studi di filosofia a Palermo e di scienze sociali alla “Sapienza” di Roma, ho completato un primo ciclo di studi al ”Laterano” (che, come è noto, è un’Università pontifica). Lo studio ‘scientifico’ della teologia mi ha convinto dell’insostenibilità della dottrina cattolica e, dunque, da quel momento, il mio insegnamento, le mie esternazioni in presenza, le mie pubblicazioni…hanno preso una piega inconciliabile con l’ortodossia cattolica. Con gradualità - per convincimento personale o  su inviti più o meno cortesi – ho così abbandonato tutti gli incarichi che comportavano una missio canonica  o comunque una qualche forma di riconoscimento ecclesiale (insegnamento di religione cattolica nei licei statali, insegnamento di teologia filosofica nell’Istituto di scienze religiose di Monreale, segretariato nazionale dell’Associazione docenti italiani di filosofia…). Mai mi sono sentito vittima, perseguitato, emarginato. Nessuno mi obbligava a dirmi cattolico, ero libero di aderire o meno alle regole della Chiesa cattolica. Ero anche libero di tentare di cambiare le regole che non condividevo, come facevano o continuano a fare i miei amici del movimento internazionale  operante anche a Palermo “Noi siamo chiesa” ; ma non ero  libero di restare nella Chiesa cattolica e pretendere di presentarmi in pubblico come suo esponente, pur senza condividerne la maggior parte dei dogmi e delle norme morali.
  La chiarezza delle posizioni non esclude, anzi può persino incentivare, la cordialità delle relazioni personali. L’unica volta che, in un’occasione pubblica, ho incontrato don Lorefice, ha avuto delle parole molto lusinghiere sul mio conto. Quando gli ho risposto che, sebbene esterno alla Chiesa cattolica, sarei stato lieto di collaborare con lui su progetti specifici (soprattutto circa la cultura antimafia), mi ha risposto sorridendo che “la diversità è un dono dal coltivare”. E mi ha abbracciato.
  Se questa chiesa è più simpatica ai “laici” della chiesa di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI, dei cardinali De Giorgi e Romeo, i cattolici nostalgici dei “valori non negoziabili” (quasi tutti afferenti alla sfera sessuale) e del “muro contro muro” dovranno farsene una ragione.
Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

http://www.nientedipersonale.com/2017/04/04/larcivescovo-di-palermo-rivela-il-suo-volto-di-despota/

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Poiché vengo citato nell'articolo, chiarisco il mio pensiero. Non ho sostenuto che il veggente doveva per forza essere ospitato in una chiesa. Anzi, il vescovo non parla di questo nel provvedimento. In realtà egli con il decreto dispone, appunto, non già che l'evento non debba essere ospitato in una Chiesa, ma che i sacerdoti non debbano partecipare ad iniziative di questo tipo, in qualsiasi luogo organizzate, dunque anche in un cinema e che gli stessi presbiteri debbano estendere tale divieto pure ai fedeli. Questo ritengo non corretto.F. Palazzo

Francesco Palazzo ha detto...

In realtà il vescovo con il decreto dispone non già che l'evento possa essere ospitato in una Chiesa, ma che i sacerdoti non debbano partecipare ad iniziative di questo tipo, in qualsiasi luogo organizzate, dunque anche in un cinema e che gli stessi presbiteri debbano estendere tale divieto pure ai fedeli. Questo ritengo non corretto.

Augusto Cavadi ha detto...

eramente, nel decreto da te reso noto, l'arcivescovo non "vieta" ma "esorta" preti e fedeli a non partecipare alle adunate del Tizio che dice di avere un filo diretto con la Madonna. Intuisco che l'esortazione serve a non contribuire, con la propria presenza, a dare eccessiva pubblicità e inopportuna credibilità al signore brasiliano. Se un vescovo non serve a orientare i fedeli in campo teologico-religioso, non vedo che ci starebbe a fare...

Bruno Vergani ha detto...

Non sarebbe male che sacerdoti e fedeli stiano alla larga da certe adunate senza necessità di esortazioni.

Francesco Palazzo ha detto...

Augusto, mi riferisco al contenuto del tuo articolo per la parte che mi riguarda. Tu sostieni che il vescovo avrebbe vietato la manifestazione del veggente attuale, e di quelli futuri ove non autorizzati, dentro una chiesa. Se fosse così, potrei capire e avrei capito. La disposizione che viene data riguarda, al contrario, tutto il territorio della diocesi e non si riferisce alle strutture di pertinenza cattolica, quali certamente sono le parrocchie. Si tratta di disposizioni personali, a presbiteri e fedeli, questi ultimi "esortati" attraverso i pastori, affinché non si partecipi a simili esibizioni in qualsiasi luogo organizzate. Sono due cose molto ma molto diverse. Se il vescovo, come scrivi nella risposta che mi dai sopra, deve servire a fare simili esortazioni, orientando i fedeli, altrimenti non si capirebbe cosa ci sta a fare, ti dico che per tale ruolo non c'è bisogno di alcun rinnovamento nella chiesa. I vescovi "esortavano" (che è una elegante traduzione del verbo vietare) e orientavano in tal modo anche negli anni cinquanta del secolo scorso. Ad esempio contro i comunisti.

Ph ha detto...

Molti di noi hanno sempre criticato le ingerenze della chiesa cattolica nella realtà politica e secolare e adesso vogliamo commettere lo stesso peccato? Mi sembra chiaro che un dirigente di un'azienda privata debba fare gli interessi dell'azienda e per me la chiesa è e resta un azienda privata, sebbene a larga partecipazione statale (purtroppo).

armando caccamo ha detto...

Carissimi Augusto e Francesco, io penso che i comportamenti (ciò che uno dice o fa) di un parroco, nell'esercizio delle sue funzioni e nei luoghi della sua chiesa, debbano restare nei limiti che il ruolo di parroco richiede. Come un prete non può (ancora?) benedire il matrimonio fra due del medesimo sesso (ma si può limitare a benedire due anime che si presentano al suo cospetto), così non può esternare il suo pensiero in contrasto con i dettami della sua gerarchia, o rifiutarsi di somministrare sacramenti a coloro che si presentano per riceverli, a meno che la Chiesa non espliciti un divieto. Poi, fuori dal suo ruolo, come semplice pensatore può dire ciò che vuole e può anche dimettersi dal suo incarico.La Chiesa è una struttura super gerarchica e bisogna prenderla per quella che è. Vi abbraccio, Armando

armando caccamo ha detto...

Poi per quanto riguarda l'esortazione ai fedeli, questa è giustificata dal fatto che dei cattolici osservanti non possono, sempre nei luoghi deputati all'espletamento dei ruoli, ascoltare messaggi non in linea ai dettami della gerarchia vigente. Questa è la Chiesa.

Bruno Vergani ha detto...

Evidente che la Chiesa cattolica e l’illuminismo manifestano differenti visioni riguardo la tolleranza che non andrebbero equivocate. Ruminando sull’amichevole diatriba Palazzo/Cavadi ho visionato un paio di video di don Minutella, qui:
https://www.youtube.com/results?search_query=don+minutella
e mettendomi al posto dell’arcivescovo che si trova tale soggetto prossimo, ma anche rimanendo al mio, mi sono trovato in difficoltà: non d’accordo con quello che dice fino a che punto è giusto, non dico di dare la mia vita, ma anche solo cinque minuti, perché lo possa dire? Partendo dal caso di specie si aprono, dunque, problematiche filosofiche e sociali per nulla peregrine. Il problema è questo: escludendo i reati (su questi abbiamo costruito e definito norme più o meno condivise) come individuare il preciso confine dove dalla neutra tolleranza è legittimo passare alla difesa?

Francesco Palazzo ha detto...

Incollo il link dove si trova la mia riflessione,pubblicata mercoledì da Repubblica, in cui espongo in maniera ragionata il mio pensiero.

http://leggendoerileggendo.blogspot.it/2017/04/la-chiesa-di-palermo-lautonomia-di.html?spref=fb&m=1