Fabio
Bonafé
LA
TENEREZZA DI GESU’ SECONDO HANNA WOLFF
Diciamo
subito che il recentissimo Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione
(incompresa) di Gesù (Diogene Multimedia, Bologna 2016), di Augusto Cavadi, è un libro molto bello
e sicuramente molto utile. Con altri due vantaggi non secondari: snello (94
pagine) ed economico (5 euro).
La
prima ragione per la quale è importante che molti leggano questo libro è che
può stimolare a conoscere le opere di Hanna Wolff, teologa e psicoterapeuta
tedesca, morta novantenne nel 2001. Una donna lucida e coraggiosa, oltre che
scomoda, tanto da farla quasi ignorare. Si deve alla casa editrice Queriniana
il merito di averla fatta conoscere in Italia già alla fine degli anni Settanta
(ovviamente del secolo scorso). Pensandoci ora, un merito non da poco. Anche se
ancora oggi ben pochi, e non solo in Italia, conoscono qualcosa della sua vita,
che ha attraversato tempi e situazioni anche molto difficili (p.e. il nazismo),
e delle sue opere principali. Tre sono i libri della Wolff da leggere: Gesù, la maschilità esemplare; Gesù
psicoterapeuta; Vino nuovo – otri vecchi.
Sono tutti e tre libri appassionati e profondi, criticamente fondati e
coinvolgenti. Cavadi sviluppa con grande chiarezza una “introduzione alla
lettura di ...”, che va subito al centro delle questioni sollevate dalla Wolff
e dalle sue prese di posizione, riproponendone l'apertura mentale e la
radicalità etica.
L'opera
della Wolff, sulle solide basi delle sue conoscenze teologiche e competenze di
psicoterapeuta, è una condanna delle religioni del “Dio patriarca” e di quel
Dio “patogeno”, produttore di patologia, che hanno governato il mondo fino ad
oggi, e che in modi diversi (intellettuali o violenti) ripropongono in molte
società la propria forza soverchiatrice. Certo l’autrice si occupa del
cristianesimo, nel quale lei e tanti suoi lettori sono cresciuti, ma tutta la
sua analisi può essere trasferita ad altre storie e identità religiose, quando
esse impongono alla coscienza la paura e la sottomissione, esaltano la logica
del sacrificio, promuovono l'immagine tradizionale di un Dio giudice. Questa
condanna muove dalla scoperta di un paradigma diverso, alternativo: quello
presente nella storia e nella predicazione del “Gesù originario”, che rifiuta
“l'onnipotente Dio-patriarca perché ha riconosciuto in lui la proiezione del
patriarca terreno [... ]. I patriarchi producono proiettivamente un
Dio-patriarca, per dedurre a loro volta da questo la loro autorità e
onnipotenza, che costringe di continuo all'obbedienza servile e conduce alla
religione delle opere”.
Su
questa strada la Wolff si ritrova un bell'inciampo, quello cioè di una non-ricezione di Gesù, di questo nuovo
Gesù, da parte della stessa comunità dei seguaci, che alla sua “rivoluzione
della tenerezza” sovrapposero la propria tradizionale visione patriarcale di
Dio: “i tratti fondamentali di questa immagine proiettiva del patriarca,
respinta da Gesù, furono proiettati addirittura su Gesù stesso, e così
incorporati e dati in eredità a tutta la successiva evoluzione cristiana”. Un
problema non da poco che la Wolff individuò con qualche decina d'anni di
anticipo rispetto ad altri autorevoli teologi contemporanei, per tutti Maurice
Bellet, che si spinge a parlare di “perversione” già nel testo dei vangeli. Dal
momento che l'immagine del Dio patriarcale più direttamente collegata al testo
dei vangeli è quella che appartiene alla tradizione veterotestamentaria, è
inevitabile bollare le tesi della Wolff come una riproposizione, sotto altre
vesti, dell'eresia di Marcione, cioè non proprio una cosa recente e
particolarmente nuova. Ma per capire cosa ci sia di vero e anche di nuovo nella
“scoperta di Gesù” della Wolff bisognerà leggere i suoi libri, magari
cominciando dal più recente Vino nuovo – otri vecchi, che ci
dice qualcosa di urgente sull'identità del cristianesimo, alla luce
dell'evoluzione della nostra coscienza, e non solo “alla luce della psicologia
del profondo”.
Resta
evidente che la pretesa della Wolff di mettere sotto accusa duemila anni di
tradizioni cristiane non poteva suscitarle approvazione, né ancor meno
popolarità, all'interno delle comunità ecclesiali. Se l'oscuramento della sua
ricerca è avvenuto silenziosamente nelle comunità protestanti, molto ancorate
all'etica dell'Antico Testamento e al valore unico e fondante della Sacra
Scrittura in genere, ancora meno sorprendente è il tacito disinteresse da parte
cattolica (con le sue eccezioni, a cominciare dall'editore bresciano!) così
cementificata nel valore della Tradizione e del Magistero.
Eppure
oggi, pur senza intervenire nel terreno minato della dottrina, le tesi di fondo
della Wolff “sembrano” essere riproposte proprio dalla prassi e dallo stile
“gesuano” di Papa Francesco I°, che sa bypassare
l'ottusità antievangelica della morale non negoziabile (con gli altri!) e
dell'insicurezza identitaria di certi cattolici integrali, orfani di un severo
e confortante riferimento patriarcale.
Fabio
Bonafé
fabiobonafe@hotmail.com
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