“Il gazzettino di Sicilia”
6 aprile 2017
NEL NOME DEL PADRE, NON DEL PADRINO
Intervista di Angelo Scuderi ad
Augusto Cavadi
Le parole del Papa sono esplose in una giornata di
cronaca ordinaria. “I mafiosi non hanno speranza” una frase talmente esplicita
che ha oscurato il ragionamento di Francesco rendendolo quasi
superfluo. La Chiesa che si scaglia contro la mafia dal suo più alto pulpito e detta
la linea. La Sicilia, terra che ha quasi in esclusiva l’uso della parola mafia,
recepisce il messaggio proprio nel giorno in cui l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, sul quotidiano Avvenire affronta l’argomento
dell’impegno della Chiesa a Palermo con una dedica spontanea a Padre Pino Puglisi
(“sbagliato definirlo prete antimafia, non ci sono preti antimafia ma solo
preti che incidono nella storia degli uomini e non vanno imprigionati in alcuna
etichetta”).
Una “simultanea” che non può essere casuale e che getta le basi
per una condotta che vuole tagliare fuori le contraddizioni spesso frequenti al
Sud, tra “inchini” di simulacri e processioni deviate in favore di boss. La
Chiesa contro la mafia in Sicilia, duole dirlo, non è cosa scontata.
“Sono importanti le parole del Papa – sottolinea Augusto Cavadi, filosofo, studioso del cattolicesimo, socio dell’Associazione Teologica italiana, compagno di tante giornate di don Pino Puglisi – ma hanno un valore ambivalente. Sono un po’ come quelle dei
Capi di Stato in occasione di attacchi terroristici: facile condannare se si ha
una copertura tale da essere immuni da ritorsioni. Le parole del Papa non
sempre possono essere ripetute dal parroco di periferia che la mafia se la vede
sfilare ogni giorno davanti. Una cosa è la mafia, entità astratta, altra cosa i
mafiosi in carne e ossa. Il Papa è il Papa, ha un riscontro mediatico che gli
consente di entrare nelle case di tutti, le sue parole sono fondamentali,
fungono da stimolo ma rappresentano il 50% del lavoro che la Chiesa deve fare.
L’altra metà è il lavoro sul campo, la lotta che ogni giorno si fa nei
quartieri”.
Il ricordo di don Pino – come ha sottolineato
Lorefice – è ancora vivo. “Lui ha visto i mafiosi in faccia, nell’ultima intervista
rilasciata a Delia Parrinello (Giornale di Sicilia, ndr) si rammaricava perché non venivano
allo scoperto. Voleva parlare con loro, li vedeva in chiesa e non capiva cosa
li disturbava del suo comportamento. Che la mafia e la Chiesa talvolta siano andate
a braccetto è un fatto gravissimo. Oggi grazie alle azioni di tanti Papi – da Giovanni Paolo II a Benedetto sino a Francesco – ma anche di semplici preti come
don Pino, la situazione è molto diversa rispetto al passato ma non ancora del
tutto risolta”.
Quali passi sono indispensabili da compiere per risolvere tale
contraddizione?
“La Chiesa, prima di adoperarsi per allontanare i mafiosi, dovrebbe
chiedersi perché essi si avvicinano. La risposta potrebbe essere che la mafia
frequenta luoghi di potere e segue l’odore del denaro. Le mosche
vanno dove c’è il miele, non è normale che nella Chiesa ci sia tanto miele. Una
Chiesa più sobria e più spoglia di potere sarebbe certamente meno attraente per
la mafia”.
www.ilgazzettinodisicilia.it/2017/04/06/nel-nome-del-padre-non-del-padrino
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