“Repubblica – Palermo”
26.4.2017
CHIESA CATTOLICA E MAFIA: L’AUTOCRITICA NECESSARIA
Che l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, emani
una circolare che vieta ai mafiosi di partecipare a battesimi in qualità di
padrini è una buona notizia. Altrettanto buona la notizia che l’intera
Conferenza episcopale siciliana, qualche giorno dopo, riprenda e amplifichi il
divieto: “Tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte
della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa sappiano
di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e,
per conseguenza, alla sua Chiesa". Ancor più significativo è che lo stesso
papa Francesco abbia voluto inviare, ai familiari di vittime di mafia, una
lettera di solidarietà in occasione del 21 marzo. Monsignor Nunzio Galatino,
segretario generale della Conferenza episcopale italiana, dopo aver letto il
messaggio del vescovo di Roma, ha aggiunto alcune considerazioni che si sono concluse
con queste parole: "Il vostro lutto il vostro dolore e la vostra
sofferenza hanno tanto da dire anche a noi. Deve essere sempre chiaro a tutti
che con parole forti e gesti credibili la Chiesa è lontana mille miglia da chi
con arroganza e prepotenza vuole imporre logiche di sopraffazione e di
malavita, da chi a volte cerca in maniera subdola di strumentalizzare la Chiesa
e le realtà sacre per coprire le proprie malefatte. Di fronte a chi guida la
macchina della violenza della sopraffazione e della morte noi dobbiamo fare
tutto il necessario per strappare il volante della violenza dalle mani della
malavita. Senza risparmiarci".
Se, anche
alla luce dell’esperienza delle comunità cattoliche siciliane, si volesse
provare a proseguire, e approfondire, la questione, s’imporrebbe una domanda:
che cosa in concreto, effettivamente e incisivamente, può fare una chiesa per
estromettere – e tenere a debita distanza – esponenti del sistema mafioso?
Preti pensanti, e immersi in esperienze pastorali di frontiera, come don
Francesco Michele Stabile, don Pino Ruggeri, don Cosimo Scordato e (pochi) altri, lo dicono e lo scrivono da
anni, tanto insistentemente quanto vanamente: bisogna affrontare la questione
da tutt’altra prospettiva. Anzi, occorre capovolgerla. Prima di chiedersi come
estromettere i mafiosi, è necessario chiedersi come mai essi tengano tanto a
far parte della chiesa. E’ necessario chiedersi come mai sacrestie,
associazioni ecclesiali, anticamere di
prelati attirino mafiosi di ogni risma come il miele le mosche. L’unica
spiegazione logica è che essi vi trovino ciò che, per così dire
costitutivamente, cercano: occasioni di arricchimento (illecito) e soprattutto
di acquisizione di potere.
Se questa ipotesi è fondata, la chiesa cattolica ha
davanti a sé solo una strada per prevenire le infiltrazioni mafiose al proprio
interno: rendersi poco attraente. Vivere i valori evangelici della fraternità,
della sobrietà, della legalità democratica, della solidarietà con i deboli
della storia, della nonviolenza, del rispetto degli animali e dell’ambiente
naturale. Una chiesa i cui preti non potessero guadagnare le stellette di generali di corpi d’armata né presiedere i
consigli di amministrazione di banche popolari né gestire scuole private
costosissime che assicurano la promozione anche ad alunni poco meritevoli; i cui parroci non aprissero le processioni
con i sindaci a fianco, non benedicessero i nuovi supermercati, non
consigliassero i candidati per cui votare, non avessero molti soldi da
investire né allo IOR né in banche laiche, non tuonassero contro i peccati
sessuali dimenticando i reati contro il bene comune (a cominciare dalle grosse
evasioni fiscali)…perderebbe appeal agli
occhi di chi ha sinora trovato nelle istituzioni cattoliche facilitazioni di
ogni genere per scavalcare concorrenti e raggiungere posti di rilievo sociale.
Papi come Bergoglio e arcivescovi come Lorefice (che
non a caso è stato uno studioso di Dossetti e di Puglisi) sembrano aver intuito
la necessità di questo percorso di autocritica, di alleggerimento, di
riscoperta dell’essenzialità. Ma la storia parla chiaro: come pessime guide del
passato non hanno impedito che fiorissero autentici santi, così delle buone
guide non hanno mai garantito che il popolo ne recepisse l’esempio e gli
insegnamenti. Perciò la partita è aperta. E dipenderà, in ultima analisi, da
quanto ogni laico - credente o agnostico
o ateo – deciderà giorno dopo giorno davanti alle leggi giuste e soprattutto
alla propria coscienza matura.
Augusto Cavadi
(autore del volume Il
Dio dei mafiosi, San Paolo editore)
3 commenti:
Penso che la situazione presa in esame si è consolidata nel corso del tempo in particolare dal dopo guerra fino alla caduta del muro di Berlino in quanto nel fare diga al comunismo chiesa è mafia si sono trovate in sintonia. Dopo il muro scampato il pericolo comunista è cominciata la presa di distanza dalla mafia da parte della chiesa anche istituzionale
e quidi anche la reazione con azioni eclatanti come il delitto Puglisi.
Concordo sostanzialmente con la tua analisi. Aggiungerei sommessamente che il fatto che i mafiosi nella Chiesa "trovino ciò che, per così dire costitutivamente, cercano: occasioni di arricchimento (illecito) e soprattutto di acquisizione di potere", anche se sicuramente la più importante, non è forse "l'unica spiegazione logica". Magari la ricerca della Chiesa da parte di molti mafiosi si iscrive ancora anche nel riconoscersi - in modo confuso ed equivoco - nell'orizzonte culturale, simbolico e antropologico del cattolicesimo mediterraneo.
Anche io concordo appieno. Questa è la via da percorrere per risanare la chiesa, per renderla nuovamente viva e portatrice del messaggio evangelico cristiano lontano dal potere inteso come sopraffazione, ingiustizia, connivenza con il malsano in atto quasi dappertutto nella società.
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