“Centonove”
6.4.2017
VANOLI ALLO SCOPERTO DELL’IGNOTO
Non
vorrei essere al posto dei librai: non saprei in quale scaffale collocare
quest’ultimo libro di Alessandro Vanoli
(L’ignoto davanti a noi. Sognare terre
lontane, Il Mulino, Bologna 2017). Storia,
geografia, antropologia, letteratura ? Una tale incertezza di catalogazione depone
molto male - se ben ricordo i canoni
accademici – per la carriera universitaria di un autore; ma lo rende
particolarmente appetibile per i dilettanti come me che si sono prefissi di
diventare specialisti del generico (un po’ come i medici di famiglia di una
volta). Infatti è un libro scritto con divertimento e, a sua volta, capace di
divertire il lettore.
Di che parla ? Della scoperta dell’ignoto. Anzi, delle scoperte
dell’ignoto: perché l’ignoto è stato scoperto da soggetti differenti in
epoche differenti. Anzi, delle scoperte degli ignoti: perché, se si
abbandona l’eurocentrismo, gli ignoti sono tanti e noi stessi siamo l’ignoto
per altri.
Parla dunque dell’ignoto oltre le colonne d’Ercole, dove si andava in
cerca di Atlantide e ci si dovette accontentare in un primo tempo delle
Canarie; dell’ignoto oltre la Cina che, per un cinese, era l’India e – sullo
sfondo – un piccolo impero provinciale come l’impero di Roma, che non ha “molto
di buono da offrire e nessuna ricchezza
da conquistare”; dell’ignoto che, per i viaggiatori arabi, era la periferia del
mondo islamico (verso l’India, verso la Cina, in una direzione nella quale si
incontrano le isole Maldive, “gioielli” le cui “acque brillavano come smeraldi
e acquemarine”); dell’ignoto che per Marco Polo, come per il padre e lo zio,
era l’immenso continente fra Venezia e il Catai; dell’ignoto che per i
colonizzatori europei era il passaggio a nord-ovest dall’Atlantico al Pacifico;
dell’ignoto – sinonimo di libertà – in cerca del quale salpavano i pirati del
XVII secolo; dell’ignoto che erano le isole dove approdavano naufraghi famosi,
reali o immaginari che fossero; dell’ignoto che era il Polo Sud per il capitano
James Cook…ma soprattutto dell’ignoto che per Cristoforo Colombo era il
continente che non seppe mai di aver scoperto.
Ognuno
di noi troverà in questo libro il messaggio che lo interpellerà più
personalmente se è vero, come scrive Vanoli, che “in fondo coi libri è così: se
ti capitano tra le mani al momento giusto finiscono sempre col dirti qualcosa”.
A me questa vicenda degli europei cattolici che vanno a “scoprire l’America” mi
ha fatto sempre impressione, mi pare che resti nei secoli come una sorta di
monito inascoltato. C’è un poemetto di Cesare Pascarella (La scoperta dell’America) che in mezza strofetta dice l’essenziale
con verve tutta romanesca: “Veddero un fregno buffo, co' la testa/ Dipinta come fosse un
giocarello,/Vestito mezzo ignudo, co' 'na cresta/Tutta formata de penne
d'ucello./Se fermorno. Se fecero coraggio../- A quell'omo! je fecero, chi séte?
- E, fece, chi ho da esse?/ Sò un servvaggio”. Davvero, come mi pare abbia
scritto Todorov, gli europei scoprirono l’America, ma non riuscirono a scoprire
gli Americani. Nel 1992 l’Occidente ha festeggiato i 500 anni della scoperta
dell’America, ma alcuni di noi non abbiamo festeggiato. In solidarietà con i
nostri fratelli del Centro e del Sud America abbiamo riflettuto piuttosto sulla
“conquista” dell’America, commemorando stragi ed etnocidi di cui non abbiamo
ancora chiesto perdono. A Giovanni Paolo II pare sia scappata una lacrimuccia
quando un Indio, in un breve scambio pubblico, disse con amarezza: “Quando
siete arrivati cinque secoli fa, noi avevamo la terra e voi la Bibbia: oggi voi
avete la terra, noi abbiamo solo la Bibbia”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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