16.10.2016
MERITOCRAZIA ? NO,
PER CARITA’ ! E IN
ALTERNATIVA ?
I Dirigenti
scolastici italiani hanno avuto un’estate particolarmente impegnativa. Tra le
altre incombenze, l’individuazione degli insegnanti cui attribuire il bonus
renziano destinato – almeno nelle intenzioni governative – al 30% dei migliori
esponenti del Collegio dei docenti.
E’ noto che
anche questa iniziativa ha suscitato un mare di proteste, resistenze,
boicottaggi collettivi. L’elenco sarebbe troppo lungo: il governo ci vuole
dividere, i dirigenti avranno mano libera per premiare i fedelissimi e punire
chi pensa autonomamente, è solo una mancia umiliante pre-elettorale…Se si
volesse aprire una discussione seria, rigorosa, ci si dovrebbe chiedere che
modello di società abbiamo in mente e, conseguentemente, che modello di scuola
immaginiamo all’interno di tale società.
Escludendo le
visioni totalitarie, autoritarie, fortemente gerarchizzate, mi pare che –
nell’effettiva concretezza delle aule – ne circolano soprattutto due. La prima
possiamo definirla, approssimativamente, anarchica (ovviamente nel senso
stretto, etimologico, del termine): una società in cui l’individuo è capace, e
desideroso, di autogoverno, per cui ogni istanza ‘superiore’ di controllo e di
giudizio è superflua nella migliore
delle ipotesi, dannosa nelle peggiore. Nella seconda concezione, che possiamo
definire - altrettanto approssimativamente – liberalsocialista, la fiducia
(liberale) nell’individuo è circoscritta, limitata: per questo è contemperata
da un controllo (sociale) istituzionale. In regime democratico questo controllo
della società sul comportamento effettivo degli individui non avviene
arbitrariamente, ma attraverso regole chiare stabilite dai cittadini (o
direttamente o mediante assemblee
rappresentative).
Ognuna di
queste due visioni ha una propria dignità, pregi e rischi. La Costituzione
italiana, come dovrebbe essere noto, ha operato la sua scelta. A mio parere non
è una scelta irreversibile, ma ciò che mi pare illogico e distruttivo è accettare il quadro liberal-socialista nel sistema complessivo e contestarlo,
invece, in questo o quell’altro sotto-sistema (come la scuola). In termini
ancora più semplici: perché riteniamo ovvia la carriera di un medico o di un
operaio, di un sindacalista o di un magistrato, di un musicista o di un
bancario, ma peccaminosa la carriera di un maestro elementare o di un
insegnante liceale? Vorrei essere chiaro. Un medico ha la sua dignità
professionale anche se decide, per tutta la vita, di restare medico di base in
uno sperduto paesino di montagna; tuttavia, se vuole, può diventare primario di
ospedale senza smettere di svolgere le funzioni di medico. Così un operaio può
diventare, o meno, capo-reparto; o un sindacalista può restare rappresentante sindacale
nella sua fabbrica o diventare segretario regionale dell’organizzazione
sindacale in cui milita; o un magistrato o un bancario…Ma l’insegnante entra
come soldato semplice e tale deve restare sino al pensionamento. A meno che non
decida di rinunziare a fare ciò che veramente sa e vuole fare (insegnare,
appunto) per occuparsi di altro come dirigente d’istituto o come ispettore
ministeriale. Può maturare una notevole cultura e soprattutto una notevole
saggezza pedagogica e psicologica, ma qualsiasi collega – purché vinca un concorso che lo abilita a fare altro
(forse tentato perché deluso dalla
propria inadeguatezza al ruolo di insegnante)– potrà ottenere maggiore
prestigio sociale, maggiore gratificazione economica e addirittura il potere di
avvelenargli la vita con ostacoli di ogni genere. Ma anche i colleghi che non
vogliono o non sanno cambiare mestiere per intraprendere carriere
burocratico-direttive potranno godere di stipendi più alti e di maggiore
influenza sulla vita della scuola purché – restando degli onesti abitudinari
della cattedra (talvolta neppure tanto onesti) – dedichino le ore libere non a
studiare, a riflettere, a scrivere, ad aggiornarsi mediante convegni e seminari
liberamente scelti…ma a inventarsi progetti e progettini para- scolastici che
li tengano impegnati, materialmente, nei locali della scuola o in giro per
l’Europa.
Questa
situazione è pazzesca. Si spara contro la meritocrazia: ma quale sarebbe invece
un criterio migliore del merito professionale? L’anzianità di servizio in
quanto tale? L’appartenenza a un sindacato o a un partito? La disponibilità a
impiegare le proprie ore libere per le numerose, e necessarie, incombenze
burocratiche? La mera frequenza quantitativa di corsi di aggiornamento ‘a
punti’ in presenza o online? La
capacità di guadagnarsi la simpatia del dirigente scolastico?
Sinora –
ho appena ricordato – l’unica possibilità di un insegnante davvero ‘tagliato’
per il mestiere è…decidere di non fare più l’insegnante per diventare un manager. E’ come se un pianista o un
violinista, che meritassero più ampie platee, potessero ottenerle solo
rinunziando a suonare il piano, o il violino, per diventare direttori
d’orchestra (o, peggio ancora, sovraintendenti di teatri); oppure accettando di
tornare in teatro nelle ore libere per insegnare musica ai pensionati del
quartiere. Gli adulti non ce ne
accorgiamo o, meglio, da adulti ci rassegniamo a tutto; ma gli studenti se ne
accorgono e traggono le dovute conseguenze. In 43 anni di servizio scolastico
ho registrato pochissimi tra gli alunni
veramente dotati che hanno scelto di insegnare: i più sinceri fra loro mi hanno
esplicitato che non se la sentivano, a diciotto anni o poco più, di intraprendere
una strada che li avrebbe condannati al livellamento sociale ed economico per
l’intera esistenza. Così il corpo insegnante ha assunto una fisionomia
inconfondibile: o di missionari (soprattutto missionarie) disposti a
sacrificarsi per la patria o di dipendenti statali soddisfatti di un contratto che
offre molte ore da impiegare a scelta (per coltivarsi o per svolgere un secondo
lavoro o per fare volontariato o per altro ancora).
Una nota fra
parentesi che può chiarire meglio la mia prospettiva. Qualcuno potrebbe
obiettarmi non essere vero che per un insegnante l’unica possibilità di
carriera sia il concorso per dirigente: infatti il maestro di scuole materne
può provare a transitare nelle scuole elementari ; il maestro elementare può
provare a diventare docente di scuola media inferiore; il docente di scuola
media inferiore può provare a diventare docente di scuola media superiore; il
professore di scuola media può provare il passaggio alla docenza universitaria.
Accettare questa logica sarebbe, però, fuorviante e dannoso. In ogni ordine di
scuola è bene che ci siano delle professionalità specifiche eccellenti cui i
colleghi (specie se di recente assunzione) possano rivolgersi, per suggerimenti
e consigli, come a testimoni stimolanti,
incoraggianti. Una maestra ‘modello’ di scuola materna o elementare
non è sostituibile da una collega di scuola media o di università (tanto
meno da un dirigente scolastico per quanto esperto nella sua funzione): ha
un’attitudine, un’esperienza, un insieme di competenze, un tatto direi, tutti
peculiari. Perciò, se si volesse essere logicamente conseguenti, gli esponenti
‘apicali’ delle scuole materne o elementari – potremmo chiamarli, per analogia,
i “primari” di questo ordine di scuole -
dovrebbero avere dei riconoscimenti sociali ed economici identici ai
loro omologhi di liceo o di università.
Questa
disquisizione teorica sui modelli di società non serve né ad avallare né a
contestare le recenti disposizioni governative. Esse vanno discusse nel merito
e, se possibile, abolite o migliorate. Ma nessuna discussione è possibile se
non si ha chiaro lo scenario di fondo, la prospettiva generale, verso cui
vogliamo procedere.
Tutto ciò non
toglie, evidentemente, che un governo serio
- prima di guardare a nuovi assetti – rispetti le norme in vigore: per
esempio adeguando i contratti nazionali al costo della vita, licenziando i
docenti manifestamente inadempienti, curando la formazione e la selezione del
nuovo personale da assumere e così via.
E, comunque,
la misurazione del merito di un docente non dovrebbe essere certo affidata alla
discrezionalità di un solo individuo (attualmente un dirigente scolastico che,
come sanno gli addetti al settore, può rivelarsi un disastro e restare in
pratica inamovibile), bensì ad organismi articolati in cui siano rappresentati
anche colleghi, studenti e genitori. Quando Attilio Oliva (sul “Sole 24
ore” del 21 febbraio 2016) auspica “una
nota del ministero” che incoraggi i DS a “non aver timore di utilizzare una
sana discrezionalità” nell’individuare i docenti da incentivare economicamente
sembra rassegnarsi alla normativa attuale. E ciò, mi pare, in contrasto con
quanto egli stesso scrive poche righe prima (a mio avviso saggiamente): “Si sa
che insegnare è una professionalità complessa: sapere la propria disciplina,
saperla insegnare, sapersi rapportare con i colleghi, con gli studenti, con le
famiglie, sapere motivare gli studenti in difficoltà, sapere valutare gli
studenti con equità, sono tutte qualità della professione docente ed è
impossibile misurarle con indicatori oggettivi e attribuire pesi specifici ad
ognuna. Qui può dare soccorso l’uso della reputazione, che è senz’altro una
valida proxy per la qualità degli
insegnanti. L’obiettività perfetta è un obiettivo irraggiungibile. In una
comunità professionale la reputazione è invece basata sull’aggregazione di
giudizi inter-soggettivi espressi dai vari soggetti della comunità (pari,
studenti, genitori). Nessun giudizio analitico sarà mai perfetto, anche se
supportato da quintali di dati e di documenti tesi a fornire prove più
oggettive. Il giudizio alla fine non potrà essere che ‘olistico’, cioè globale,
relativo all’insieme delle qualità del singolo insegnante e soprattutto
‘contestuale’, cioè riferito all’apporto del docente alla sua scuola” (sottolineatura
mia).
Che tale
giudizio, per quanto approssimativo, possa essere sostanzialmente attendibile è
confermato da un dato di esperienza che non mi stanco di segnalare in articoli
e interventi da oltre trent’anni: quando un genitore vuole consigli sulla
sezione in cui inscrivere il figliuolo si rivolge a un docente della scuola che
conosce. O, con risultati ancora più calzanti, con il bidello di turno alla
guardiola dell’ingresso.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Caro Augusto, poni un problema di difficile soluzione.
Meritocrazia ma affidata a chi? Ai Dirigenti? A indicatori fumosi? All'opinione dei bidelli? All'anzianità e alle competenze mostrate verso gli alunni? Ai tassi di successo scolastico conseguito? Alla capacità di utilizzo delle nuove tecnologie?
Bisognerebbe sedersi con serenità attorno a un tavolo e non far uscire dal cappello una soluzione raffazzonata, provvisoria e fuorviante come quella proposta dalla Legge 107/2015. E, come scrivi bene, la pars costruens non può che essere necessariamente successiva alla pars destruens: "Un governo serio - prima di guardare a nuovi assetti – rispetti le norme in vigore: per esempio adeguando i contratti nazionali al costo della vita, licenziando i docenti manifestamente inadempienti, curando la formazione e la selezione del nuovo personale da assumere e così via." Cominciamo con questo e, con coraggio, senso della realtà e visione complessiva della scuola e dei suoi importanti e delicati aspetti, continuiamo col resto ...
Caro Augusto, aggiungo ancora due riflessioni:
1) L'introduzione di eventuali criteri meritocratici dovrebbe essere successivo alla qualificazione in sè della professione docente e alla perequazione delle retribuzioni: al momento si conta quasi niente - dal punto di vista della considerazione sociale e del riconoscimento economico- se si è docenti di Scuola primaria, pochissimo se si è docenti di una secondaria di I grado, poco se si è docenti di secondaria di II grado. Come se, insegnare a leggere e a scrivere in I elementare fosse cosa di nessun valore e come se la laurea, l'abilitazione e l'aver superato un concorso pubblico non fossero criteri di accesso per tutti gli ordini di scuola. Tra l'altro, la Docente di II elementare e di II media - se deve fronteggiare meno nozioni dal punto di vista cognitivo - deve avere spiccate competenze didattiche e relazionali per gestire bambini e/o adolescenti.
2) Il mio timore non è l'introduzione di criteri meritocratici in sè, pur se continuerò sempre a sottolineare la delicatezza e complessità nel delinearli, ma il fatto che la loro introduzione acceleri l'ingresso della scuola nella logica aziendal-produttivistica oggi imperante nella società. A mio sommesso avviso, l'eventuale introduzione del merito non dovrebbe distruggere il lavoro di team dei Consigli di classe, che dovrebbero sempre percepirsi come un'armonica e sinergica comunità educante. Per quello che conosco della psicologia umana - temo che la meritocrazia non ben governata possa generare misere lotte intestine come quelle tra i capponi di Renzo. Tra l'altro, vista la diversità dei tre ordini di scuola - infanzia e primaria, secondaria di I grado, secondaria di II grado - l'introduzione di criteri di carriera e di merito andrebbe forse vista con parametri diversi.
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