“Diogene Magazine” , nn. 40 – 41 / dicembre 2016 –
gennaio 2017-01-11
Non sprechiamo tempo, la partita è aperta
In
questi giorni è tutto un intreccio di auguri. Le formule variano, i mezzi
tecnici pure, ma la sostanza resta: che il 2017 sia migliore dell’anno che si
chiude. Dopo l’imbarazzo del natale (non si sa mai come possa reagire
l’interlocutore islamico o induista o ateo), si allentano le precauzioni:
sembra il momento dell’augurio più laico, più universale, più condiviso.
Se
consideriamo questi scambi come segni di buona educazione non c’è questione. Un
po’ come quando chiediamo al vicino di casa: “Come va?” E’ un gesto di cortesia
che verrebbe rovinato da una risposta sincera e dettagliata, con l’elenco
completo delle disgrazie personali, che andasse al di là di un “Tutto bene,
grazie”.
Ma
se, per raptus filosofico, ci soffermassimo a pesare le parole, per rintracciarne
il significato profondo, si aprirebbero interrogativi spaesanti. Già: a ben
rifletterci, che senso ha l’augurio di un anno migliore?
Se
avessero ragione quanti vedono nella storia un’ineluttabile degradazione
entropica, un processo necessario e inarrestabile verso il freddo e il silenzio
del nulla, l’augurio di capodanno suonerebbe beffardo o patetico. Per la
cultura nichilista – che non è la
cultura del nostro tempo, ma che certo ne rappresenta una fetta
rilevante – “niente di nuovo sotto il sole”. Com’è scritto in una pagina della
Bibbia che sgomenta (non è un caso se nelle chiese si tende a non evocarla dal
pulpito), “il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana: gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna. (...) C’è forse qualcosa di cui si possa
dire: ‘Guarda, questo è una novità?’. Proprio questa è già stata nei secoli che
ci hanno preceduto” (Qoèlet,1, 10). Nietzsche ne ha ripreso il messaggio al
tramonto del XIX secolo: “Tutto va, tutto ritorna; la ruota dell’esistenza gira
eternamente. Tutto muore, tutto rifiorisce...”. In questa prospettiva, radicata
nella mentalità anche di molti che non hanno mai aperto né Antico Testamento né
Nietzsche, la partita è stata decisa già in anticipo, a tavolino: possiamo
recitare soltanto un copione scritto prima – e senza – di noi. L’unica libertà
possibile, direbbero gli Stoici greci o il moderno Spinoza, è acconsentire saggiamente
alla necessità del fato, aderire alla legge ineluttabile del destino, accettare
con animo rassegnato ciò che non ci è dato di evitare.
Né
l’augurio di capodanno ha molto più senso in una prospettiva – in un certo
senso opposta, ma non meno diffusa della precedente – lineare, ‘progressista’,
ottimistica, secondo la quale il nuovo è, per definizione, migliore
dell’ antico e il domani non può che essere, per
principio, più gratificante dell’oggi. Se veramente fosse così, se
veramente la storia si sviluppasse come evoluzione necessaria, continua,
inarrestabile, non sarebbe ogni espressione augurale superflua? Non è molto
logico ‘auspicare’ che, per un nostro interlocutore, l’estate subentri alla
primavera o l’alba alla notte stellata. Le rivoluzioni, come le eclissi di
sole, non si sperano: si prevedono. Le tre grandi culture a cui si sono formati
i maestri della mia generazione (idealistica, positivistica e marxista) hanno
alimentato questa immensa illusione, preparando – di delusione in delusione –
la strada alla disperazione attuale.
Forse,
allora, scambiarsi l’auspicio di un anno migliore implica una diversa
interpretazione della storia: rappresentata non più come il serpente che si
morde la coda né come una locomotiva che sfrecci di trionfo in trionfo, ma – se
mai – come una linea spezzata, con alti e bassi, slanci e cadute, anticipi e
regressioni. Una storia in cui niente è impossibile a priori, né di positivo né di negativo, perché momento per momento
tutto dipende dall’intersezione di miliardi di libertà finite. Una storia che
può sorprendere, in meglio o in peggio, perché nessuna legge intrinseca e
aprioristica la determina unidirezionalmente. La stessa Trascendenza, se c’è,
non può – o non vuole - forzare la volontà
delle creature. Davvero, per dirla con De Gregori, “la storia siamo noi”. Perché,
pur influenzati da molteplici fattori, non ne restiamo del tutto annichiliti,
ridotti a rotelle di un meccanismo
anonimo e implacabile.
Questa
prospettiva è affascinante, ma anche scomoda. L’anno, che si apre senza il
nostro ‘permesso’, non si chiuderà senza il nostro concorso. La nostra vita
personale, come la situazione in Europa o nel mondo, dipenderà anche da quel
poco che ciascuno di noi avrà saputo costruire. Per quanto condizionata, la
nostra libertà permane: e siamo responsabili di ciò che facciamo come di ciò
che tralasciamo (o rinviamo a data da destinarsi). Solo perché la partita è
aperta, ha senso scambiarci gli auguri: non dunque invito al fatalismo, ma
appello alle risorse – inesplorate – che giacciono, inutilizzate, nella società e, in ultima analisi, nel cuore
di ciascuno di noi. Non riesco a immaginare, per me e per gli altri, augurio
più vero: che nessuno sprechi il tempo, prezioso ma non inesauribile, che gli è
concesso. Nella mia città, Palermo, sulla facciata del Municipio, proprio sotto
l’orologio che segna il lento scorrere delle ore, è incisa la più trascurata
delle avvertenze: Pereunt et imputantur.
Sì, passano: e di ciascuna dovremo rendere conto. Che ci si aiuti a raccogliere
gli appelli della storia affinché, insieme, si possa “lasciare il mondo un po’
migliore di come lo si è trovato” (Baden Powell). Il futuro ci è dato come
dono, ma anche come compito: che nessuno abbia a pagare l’ingratitudine nei
confronti della Vita col fallimento della propria esistenza.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
"Solo perché la partita è aperta, ha senso scambiarci gli auguri: non dunque invito al fatalismo, ma appello alle risorse – inesplorate – che giacciono, inutilizzate, nella società e, in ultima analisi, nel cuore di ciascuno di noi." "Se ognuno fa ualcosa..."
condivido e ti rigrazio per questa bella riflessione sui tanti auguri che ci scambiamo . mi piace il sottointeso che ci saranno comunque gli alti e bassi che provochiamo e che subiamo . il mio augurio , vivendo in valpolicella (VR) e che, come i tappi di sughero si riesca sempre a galleggiare sopra agli eventi cercando di non identificarsi mai del tutto e quando ne siamo capaci riempirli con un po' di amore la' dove manca il resto . ciaov Alberto
Quanta saggezza in queste considerazioni! Noi co-creatori di questo mondo che continua a esprimersi come una linea spezzata, come un immenso gioco dell'oca, dove insieme ai dadi ci sono le nostre scelte. Grazie Augusto.
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