“Centonove”
12.1.2017
CORPO
A CORPO CON IL DOLORE
Fra
le numerose tragedie che incrociano, prima o poi, le vicende esistenziali di
ciascuno di noi rientrano certamente le malattie cerebrali. Ed è difficile
stabilire, in questi casi, se a soffrirne di più sono i soggetti colpiti o i
familiari che ne assumono la cura. Tra questi ultimi, alcuni si chiudono in un
dignitoso silenzio e sopportano, in solitudine, il calvario; altri trovano il
coraggio ulteriore di riflettere su ciò che vivono, di metabolizzare la
tremenda esperienza e di offrire ad altri qualche indicazione di senso. E’
questo il caso dello psicologo e psicoterapeuta pugliese Emanuele Chimienti che
nel prezioso Fuori dalla festa. Riflessioni
antropologiche sull’esperienza del dolore (Lecce 2016, pp. 80, disponibile
presso l’autore telefonando allo 0832.390547) ripercorre, con profondità
sapienziale coniugata a delicatezza di tratto, gli ultimi quindici anni
trascorsi accanto alla moglie Rosanna, colpita dall’invalidante morbo di
Alzheimer.
E’ vero, ammette l’autore senza difficoltà:
quando il dolore bussa alla nostra porta, la reazione più immediata è di
“protestare o girare la testa”. E’ quanto egli stesso ha sperimentato all’impatto
con la malattia della moglie. Ma è possibile - e auspicabile – un altro
atteggiamento: “entrare per la sua porta stretta e attraversarlo”. Infatti, “se
lo accettiamo, il dolore non ci schiaccia; e se ci lasciamo accogliere, ci
offre i suoi doni inattesi”.
Solo a una considerazione superficiale
questo genere di pensieri può essere identificato come sintomo di dolorismo
(forse traccia delle precedenti convinzioni dell’autore che è stato anche
presbitero della Chiesa cattolica). In realtà si tratta di idee maturate da una
prospettiva assolutamente laica (se, con l’aggettivo, intendiamo - come sarebbe corretto – indicare un’ottica
di ragionevolezza, di ponderazione, di apertura a tutte le ipotesi
interpretative dell’enigma insondabile che è la nostra esistenza): una
prospettiva che, in altri scritti, Chimienti definisce, con felice neologismo,
dell’ <<Oltrove>> , in quanto oltre le confessioni religiose
tradizionali e i sistemi dottrinali codificati. In questa logica si smette di
“identificare la Vita esclusivamente con
la gioia” e, conseguentemente, “il dolore come qualcosa di estraneo, opposto e
nemico della Vita”; si impara, piuttosto, a scoprire che Essa è “un fiume che
scorre tra due sponde, non una: la sponda della gioia e la sponda del dolore”. Quest’ultimo,
il dolore, non va considerato come “un nemico della vita: una noxa da eliminare (scienza), una
maledizione da redimere (religione)”, quanto “una parte intrinseca della Vita”
che “può contenere ed offrire elementi preziosi di vita” (dove la maiuscola
indica il riferimento, al di là delle particolari vicende biologiche, al
“Soffio vitale che anima l’universo”). Esso ci spoglia di tutto ciò che è
superfluo e ci sollecita a concentrarci sull’essenziale per cui può aprirci (la possibilità di chiuderci
ancora di più nel nostro egoismo è inseparabilmente imminente) a “un nuovo tipo
di gioia: quella che molti saggi, uomini e donne, di luoghi, culture e tempi
diversi dichiarano possibile non come qualcosa che si prova, ma come qualcosa che si
è; non come qualcosa che si ha,
ma come qualcosa che ci ha. Una
realtà che non ci annienta assorbendoci, ma che, effondendosi, ci espande”.
Proprio il riferimento dell’autore stesso
ad altre culture del pianeta attesta che egli non ha alcuna pretesa di offrire
una visione della sofferenza radicalmente originale. Ciò che rende originali, e
illuminanti, queste pagine è – a mio avviso – il tono sommesso, confidenziale,
di chi scrive ex abundantia cordis:
non per insegnare verità astratte ma per testimoniare convinzioni foggiatesi
gradualmente al crogiuolo di una lacerante esperienza autobiografica di cui
sono frutto e, in qualche impalpabile misura, lenimento.
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Ciao Augusto,
volevo commentare la tua riflessione sul dolore - che condivido ampiamente anche per esperienze personali - con questa mia: Credo che il dolore faccia parte della vita come la gioia e non per una forma di masochismo, ma perché è parte integrante della natura umana, che ha una sua fragilità. Solo che la società ci ha come instillato la convinzione che solo essendo felici si è veri uomini, perciò si rimuove ogni presenza del dolore con il risultato che si è sempre meno umani.
Mauro
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