“Repubblica- Palermo”
28.1.2017
LA MAFIA GLOBALIZZATA
Il 15 gennaio del 1993 Totò Riina è stato catturato.
La storia di Cosa nostra ha subito una svolta epocale. Come storici e
magistrati ci aiutano a capire (ho terminato in questi giorni la lettura
istruttiva di Globalmafia. Manifesto per
un’internazionale antimafia di Giuseppe Carlo Marino con un ampio
contributo in forma di postfazione di Antonio Ingroia), con la consegna allo
Stato del suo dittatore sanguinario, la mafia siciliana ha segnato il passaggio
dalla fase stragista alla fase della ristrutturazione interna e dell’infiltrazione
soft nelle strutture esterne.
Il cambio di strategia legittima due giudizi solo
apparentemente contraddittori. La mafia è indebolita? Se si guarda alla sua
pervasività nel territorio si può rispondere, fortunatamente, di sì. Meritorie
iniziative della cittadinanza più consapevole, sinergicamente intrecciate con
altrettanto meritorie azioni delle autorità giudiziarie e di pubblica
sicurezza, hanno reso la vita più difficile ai boss di quartiere. Qualche
intercettazione telefonica lo conferma: il suggerimento è di non chiedere il pizzo
a commercianti che aderiscono apertamente a organizzazioni antiracket dal
momento che potrebbero essere in contatto più immediato con le Forze
dell’ordine.
Tuttavia, se si guarda alla
mafia siciliana nei suoi rapporti con le associazioni similari operanti in
Italia e in altri Stati (europei, americani, africani, asiatici e persino
australiani), vale la risposta opposta: è viva e vegeta, scoppia di salute e fa
affari alla grande. Meno della ‘Ndrangheta, a quanto pare, ma non meno di
camorristi campani e sacro-coronisti pugliesi. Se facesse solo affari, sarebbe
grave; ma poiché la mafia stringe alleanze con i politici, la situazione è
gravissima. In silenzio, e alla chetichella, nei decenni trascorsi è penetrata
nei gangli delle amministrazioni del Centro (eclatante il caso di Roma) e del Nord Italia, tessendo patti scellerati
persino con partiti - sedicenti puri e
duri – come la Lega. E cosa sta avvenendo in Germania, in Belgio, in
Austria, in Liechtenstein? Già negli
anni Novanta un ministro della giustizia del Baden-Wüttemberg dovette dimettersi
perché intercettato mentre raccomandava al leader del CDU di Stoccarda di
essere più prudente nei suoi rapporti con ambienti mafiosi (calabresi). Al di là
di singoli episodi, sarebbe credibile che in Europa continentale i mafiosi negozino
con banchieri di alto rango, riciclando somme colossali di denaro sporco, senza
provare ad agganciare esponenti politici dislocati ai vari livelli della
piramide (tanto più che ormai agevoli ponti d’oro collegano, nei due sensi di
marcia, le poltrone più ambite della finanza agli scranni più autorevoli della
politica) ? Se ciò non avvenisse la mafia non sarebbe mafia. Tanto più che, a
dispetto di ogni logica democratica, il
primato planetario delle centrali
economico-finanziarie sulle istituzioni politiche favorisce la subordinazione
delle seconde alle prime: basta osservare quali priorità l’Unione Europea sta
rispettando nel rispondere alla sfida epocale delle immigrazioni, nonostante le
dichiarazioni altisonanti di molte Costituzioni. Allo stato mi pare che di
questa degenerazione non se ne preoccupino né i politici in auge né le grosse
agenzie d’informazione. Lo si farà quando, come è avvenuto a Duisburg il 15
agosto 2007, le mafie useranno i mitra? Forse. Ma allora potrebbe essere già
troppo tardi.
Augusto Cavadi