“Comunicazione filosofica”
n. 37 (Novembre 2016)
Per scrivere Aiòn.
Teoria generale del tempo (Villaggio Maori, Valverde - Ct 2016, pp. 130,
euro 14.00) ci voleva coraggio. L’esigenza, anche da parte del lettore ‘comune’
(se l’espressione ha ancora senso: oggi un lettore non è, in quanto tale,
eccezionale?) , di uno sguardo complessivo, interdisciplinare e transdisciplinare, sul “tempo” è diffusa;
ma chi ha – appunto – il coraggio di affacciarsi al di fuori della propria
stanzetta disciplinare per raccogliere e confrontare le acquisizioni (o almeno
le ipotesi) maturate in aree disciplinari
limitrofe? Alberto Giovanni Biuso, filosofo, l’ha dimostrato affrontando
il “tempo” dal punto di vista teoretico-metafisico, fisico, epistemologico,
antropologico ed estetico.
Sin dalle prime righe si coglie la ragione per cui
all’autore l’impresa, per quanto ardua, risulta possibile: “il tempo è la
realtà stessa che rende l’universo da noi conosciuto un’indissolubile unità
dentro la quale tutto è legato a tutto” (p. 30). Heideggerianamente, per Biuso indagare
il Sein equivale indagare lo Zeit. Ma procediamo un po’
analiticamente.
Nel primo capitolo (Teoresi) l’autore esplicita il proprio punto di vista privilegiato
e lo fa inspirandosi soprattutto alla fenomenologia di Husserl, “lo sforzo più intenso che la filosofia ha
compiuto dopo Agostino di comprendere il tempo, la sua struttura, la sua
funzione, l’identità e la differenza che lo costituiscono” (p. 28) : “la
teoresi filosofica non è ricostruzione storico/storiografica del pensato; non è
espressione di visioni del mondo, strutture sociologiche, mentalità diffuse;
non è neppure una sintesi unificatrice delle scienze della natura e dell’uomo,
né allo scopo di porsi al di sopra di esse né per tentare maldestramente e
vanamente di imitarle. La filosofia è qualcosa di primo e di ultimo. Primo
perché fondata sulla finitudine costitutiva dell’ente che pensa. Ultimo perché
è il luogo delle risposte più radicali ed estreme, le ultime che sia possibile tentare” (p. 15).
Nel secondo capitolo (Filosofia), ancora una volta con Husserl quale guida, Biuso prova a
superare vari dualismi, tra i quali l’alternativa “realismo” o “idealismo”:
“Ogni ente ed evento è impregnato di teoria e le teorie esistono sul fondamento
degli enti e degli eventi. La coscienza e l’atto intenzionali non creano nulla
che non sia già dato (sintesi passiva) ma costituiscono la condizione affinché
un mondo possa darsi alla coscienza (sintesi attiva) ” (p. 33).
Il terzo capitolo (Fisica) ha di mira, principalmente, il dogma (perdurante dal meccanicismo
galileiano alla teoria della relatività di Einstein) della reversibilità dei fenomeni fisici: il secondo principio della
termodinamica, invece, individuando “nell’entropia una delle dinamiche
fondamentali delle quali la materia è composta e attraversata” (p. 45) , per
ciò stesso afferma la irreversibilità
di ciò che accade nell’universo. In altre parole, “ciò che è accaduto non può
riavvolgersi per tornare all’inizio del proprio accadere, esattamente perché
gli stati di disordine sono molto più probabili degli stati originari di
ordine” (p. 48).
Nel quarto capitolo (Antropologia) “il tempo fisico della natura” viene riconosciuto
nella sua convergenza con “il tempocorpo delle percezioni e il tempomente
dell’esperienza consapevole”: una convergenza che produce in ciascuno di noi
“la sensazione di essere dentro il
tempo” (p. 73). Tale sensazione non sarebbe possibile senza la facoltà della
“memoria” che, insieme a “attenzione, emozione, slancio verso il futuro
prossimo e lontano”, costituisce “la vita della mente, la cui dimensione
temporale fa sì che il tempo sia una costruzione insieme psichica, biologica e
sociale” (pp. 73 – 74). E’ in questa sezione del saggio che ho trovato gli
spunti più originali, per esempio - ma è
solo uno dei tanti possibili - la
sottolineatura del “declino della memoria attraverso gli strumenti che la
costituiscono in ogni occasione e circostanza – gli strumenti offerti dalla
Rete – “ che “rischia di impoverire l’immaginazione e rendere pallido il
futuro” (p. 76).
Un penultimo capitolo è dedicato all’Estetica: vi si ritrovano indicazioni da
varie fonti quali la cultura giapponese e la Recerche di Proust, opera che “fa splendere la parola nel tempo e
il tempo nella parola” (p. 95).
Il sesto e ultimo capitolo (Metafisica) riprende e suggella molti motivi
delle pagine precedenti. Precisato che la metafisica “non è una sovrastruttura ma costituisce l’indagine
più radicale e insieme la conformazione più profonda della infrastruttura che
chiamiamo mondo” (p. 104), Biuso sostiene: “la metafisica vuol dire un’indagine sull’essere-tempo. Il tempo è arché proprio perché è causa, principio
e limite. E’ ciò da cui gli eventi nascono non nel senso estrinseco di un ‘
prima di’ ma nel senso che nel loro
esistere e accadere gli eventi sono tempo in atto, nel senso che il tempo è la
forma di ogni possibile ente, evento, processo” (p. 103).
Sin qui, ridotto all’osso, il testo di Biuso. Istruttivo
e suggestivo certamente; anche convincente? Personalmente risponderei : non al
cento per cento. Per formulare, altrettanto e anzi ancor più sinteticamente, le
mie perplessità teoretiche mi concentrerei su due punti (per altro cruciali).
Il primo: hanno ragione i pensatori come Bergson, Husserl, Heidegger, Vattimo
che (con sfumature differenti da un caso all’altro) identificano essere e
tempo? O non sarebbe più preciso affermare che il tempo è una dimensione, un
aspetto, una valenza dell’essere? Qualcosa esiste perché è temporale o è
temporale perché esiste? In più punti Biuso fa valere l’equivalenza di “tempo”
e “divenire”. Se l’accettiamo (almeno provvisoriamente, a scopo dialogico) la
domanda diventa: hanno ragione i pensatori come Eraclito, Hegel, Marx che (con
sfumature differenti da un caso all’altro)
identificano essere e divenire? O non sarebbe più preciso affermare che
il divenire è una dimensione, un aspetto, una valenza dell’essere? Qualcosa
esiste perché diviene o diviene perché esiste ?
Intendiamoci: non si tratta di sfuggire
all’impermanenza radicale dell’universo esperibile lasciandosi schiacciare su
posizioni parmenidee (o neoparmenidee alla Severino). Il tempo-divenire è
indubbiamente un volto costante dell’universo materico: ma il mio volto è la
mia essenza, la mia sostanza, il ciò per cui sono e non sarei?
La discussione può sembrare sottile, ma in
realtà comporta una posta non proprio secondaria. Se l’essere fosse
intrinsecamente temporale sarebbe impensabile la sola ipotesi di una sfera
dell’essere a-temporale: il regno dell’immanenza gnoseologica, del fenomenico,
del materico sarebbe non solo (come è) l’unico certo, ma anche (come non
ritengo si possa affermare) l’unico possibile. Su questo punto Biuso non è
disposto a concedere nulla: “la materia è senza un inizio e senza una fine; la
materia è l’Intero” (p. 54). Se non li interpreto male, Kant, Bergson
(l’ultimo), Wittgenstein (il secondo) sarebbero disposti a darmi qualche
ragione: la materia è certamente reale, ma non altrettanto certamente è l’unica
valenza della realtà. Senza considerare che, alla luce delle teorie fisiche
contemporanee, la nozione stessa di materia esige d’essere rivista: sembrerebbe
sempre meno ‘dura’, opaca, passiva e sempre più fluida, energica, zampillante.
Dunque sempre più difficilmente distinguibile da ciò che abbiamo imparato a
chiamare forma, atto, energia, anima, spirito.
La domanda sul tempo, quindi, ne apre
numerose altre: e merito non trascurabile della monografia di Alberto G. Biuso
è di non aver temuto di aprirle per gettarvi uno sguardo indagatore.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
Caro Augusto, ti ringrazio per questa attenta e dialogica lettura del mio libro.
Riprenderemo il tema -fondamentale!- anche domenica prossima.
Intanto, ti segnalo un piccolo refuso nella citazione da p. 103: non "gli eventi sono tempi in atto" ma " gli eventi sono tempo in atto". Non è la stessa cosa :-)
Se puoi, correggi il testo qui (molto più difficile modificare il pdf della Rivista. Pazienza!).
Ho corretto il refuso. Provo con il mio amico webmasteracorrggere il testo anche sul sito della SFI.
Caro Augusto, fermo con qualche certezza alla percezione empirica dell’ente tempo, necessariamente prodotta dal relazionarsi tra, almeno, due enti dei quali, almeno uno, soggetto capace di avvertirla, la tua recensione mi ha stimolato ad andare più in là e si sono presentate così tante domande -tra queste: divenire e accadere sono sinonimi?-, categorie, livelli e complessità quanti ne contiene il vivere e l’universo. Ci sono molteplici punti di partenza per indagare la realtà, ma quello del tempo è probabilmente, seppur articolatissimo e difficoltoso, tra i più efficaci. Libro ordinato, tempi di attesa con IBS tre settimane; quanto “tempo”!
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