“Adista”
29 ottobre 2016
“Fuoritempio.
Commenti al Vangelo di chi è ‘svestito’:
senza parametri, dottrina e gerarchie, ma non per questo
‘senza Dio’ ”
Commento al vangelo della I domenica di Avvento
(27 novembre 2016)
Mt 24, 37 –
44
Una pericope
sofferta, quasi antinomica, quella da cui è tratto il vangelo odierno. Si
incontrano, e in qualche misura si scontrano tensivamente, due flussi. Il
primo, più antico, sembra risalire a Gesù stesso: egli riteneva prossima la
fine del mondo, o per lo meno del suo mondo, e l’avvento del regno di Dio sulla
terra (“Io vi dico in verità che questa generazione non passerà prima che tutte
queste cose siano avvenute”, v. 34). Il secondo, successivo, si direbbe opera
di Matteo (o meglio del redattore di tradizione matteana) : constatato che,
nonostante la morte di Gesù, la storia continua con gli alti e i bassi, le luci
e le ombre di sempre, si trasforma la previsione originaria in imminenza
indeterminata (“Vegliate, dunque, perché non sapete in qual giorno il vostro
Signore sia per venire”, v. 42).
L’incertezza, imbarazzata e imbarazzante, ci ricorda quel che il teologo
Sergio Quinzio ha sottolineato nel suo La
sconfitta di Dio: i cristiani sono figli di un clamoroso insuccesso, di una
colossale smentita storica. A loro non si addice alcun trionfalismo: il Maestro
in nome del quale si sono radunati in movimento, e poi organizzati in strutture
comunitarie, aveva promesso una rivoluzione anche fisica, anche sociale, anche
economica che non si è realizzata. E, potremmo aggiungere esplicitando la
stessa linea interpretativa, che resta tutta da realizzare.
E’ dunque con
umiltà - o come meglio si voglia
denominare il senso dei propri limiti al cospetto della propria responsabilità
– che chi osa dirsi discepolo di Gesù deve non soltanto annunziare la
possibilità sempre incombente di un’irruzione di Dio nella storia (rischiando
con simili annunzi di impelagarsi in categorie mitiche incompatibili con quanto
è lecito prevedere sulla base delle scienze contemporanee), ma anche – e
soprattutto – sbracciarsi affinché la sovranità divina entri, effettivamente,
nel tessuto delle vicende umane. Affinché quello che si suppone essere il
progetto del Creatore si vada, lentamente ma continuamente, realizzando.
Se è così,
l’esortazione con cui si conclude la lettura prevista dalla liturgia di oggi
(“Perciò, anche voi siate pronti, perché nell’ora che non pensate, il Figliuolo
dell’uomo verrà”, v. 44) non va accolto, moralisticamente, come ingiunzione a
non farsi trovare in “peccato mortale” dall’evento che suggella la nostra fragilità
costitutiva; bensì - mi pare – come
invito a non sprecare il tempo, individuale e collettivo, a nostra
disposizione. Non si tratta neppure di abbandonarsi a previsioni, o a
farneticazioni, escatologiche, quanto di prendere coscienza della precarietà
dell’avventura umana sulla Terra (come sosteneva Michel Foucault, l’uomo è
un’invenzione recente con una data di scadenza prossima) e della
irreversibilità di molte sue scelte: sia quando avvengono nel segno della
costruttività promozionale sia, soprattutto, quando avvengono nel segno della
distruttività.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Nessun commento:
Posta un commento