Riproduco, per quei pochi che volessero andare al di là degli slogan di un colore o di un altro, il documento a suo tempo emanato dalla sezione italiana del movimento internazionale"Noi siamo chiesa": chi sa se, gira e rigira, non dovesse capitare pure sotto gli occhi di papa Bergoglio...
***
La campagna contro il gender combatte
contro un nemico che non esiste. Valorizziamo la ricchezza della differenza
sessuale e nelle scuole educhiamo ad accettare
serenamente le diversità.
Il fantasma
Un
fantasma si aggira nelle nostre parrocchie e nelle nostre scuole, è quello del
gender (oppure della teoria del gender, dell’ideologia del gender o espressioni
simili). Si aggira e crea ansie, preoccupazioni e problemi, soprattutto nelle
persone semplici. Il fantasma usa parole semplificate e slogan tipo:
“attenzione! la differenza sessuale tra maschio e femmina nel percorso
inevitabile del progresso, nell’avanzare della civiltà finisce con l’essere
ridotta e poi cancellata”. Il fantasma, sarebbe promosso – si dice- da una
specie di complotto, supportato da molto denaro e da grandi media, e
organizzato da una lobby che fa capo al circuito degli omosessuali,
genericamente intesi. Il complotto cercherebbe di penetrare nelle scuole di ogni
ordine e grado, a partire da quelle dell’infanzia per portarvi lentamente un
vero e proprio pensiero unico per quanto riguarda il rapporto tra i sessi.
Nelle formulazioni più elaborate, secondo i suoi detrattori, esso mirerebbe a
distruggere la famiglia, a lasciare l’uomo nella sua solitudine di consumatore
e di suddito di fronte alla prepotenza del potere economico.
Insomma
la propria identità la si costruisce, il sesso viene scelto, la percezione del
proprio genere prescinde dal sesso biologico, la realtà e il valore delle
differenze sessuali viene negato. Questo fantasma, così presentato con poche
analisi e ragionamenti, suscita, in modo comprensibile, emozioni su un terreno
molto sensibile, quello del rapporto con i figli e della famiglia considerata
da molti come qualcosa –forse l’unica- che “tiene” nel contesto della crisi
economica. “Vogliamo una famiglia con mamma e papà e i bimbi al centro protetti
nella loro innocenza che il gender si ripromette di traviare”: sono parole di
Massimo Gandolfini , presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli” e
leader nazionale di tutta la campagna sul gender.
Prospettiva di genere, non gender
In
realtà quanti si sono occupati seriamente degli “studi di genere” sanno che
essi hanno forme e teorie diverse tra loro, che non ha senso parlarne in modo
univoco, indistinto e caricaturale come se fossero una cosa sola e che esistono
riflessioni teologiche, elaborate anche nell’ambito della teologia femminista,
che ne propongono un’assunzione critica che può essere positiva per
l’antropologia cristiana. E’ appunto quello che facciamo noi quando parliamo di
“prospettiva di genere” che è il rapporto tra la differenza sessuale e il
contesto sociale e culturale con cui essa si confronta.
Il
movimento delle donne poi, che ha avuto tra i suoi riferimenti l’elaborazione
della “teoria della differenza sessuale”, ha affrontato da tempo il ruolo che
ha la società nelle relazioni uomo-uomo-donna-donna e nella formazione delle
famiglie. In tali approfondimenti la questione di genere e gli studi sul genere
sono ben differenti dalla teoria gender, come sopra detta, da cui anzi prendono
ampiamente le distanze. Essi muovono una forte critica alla definizione
tradizionale dei ruoli attribuiti ai due sessi. Ciò ha significato per le donne
la relegazione alla subalternità, alla funzione passiva nella famiglia, alla
inferiorità giuridica e sociale e alla generalizzata discriminazione, mentre
per gli uomini ha significato un ruolo forte, possessivo e di superiorità,
anche di violenza. L’intrecciare l’uguaglianza per quanto riguarda i diritti,
le pari opportunità e la uguale rappresentatività dei due sessi nella sfera
pubblica e privata, con la valorizzazione delle differenze è quindi un
obiettivo da perseguire. Ciò significa non relegare i due generi sessuati in
ruoli prestabiliti ma salvaguardare le loro differenze. L’educazione al
superamento dei ruoli e la formazione delle diverse personalità nella libertà
d’espressione è la modalità con cui educare le bambine ed i bambini fin dalla
prima età. L’assunzione di una prospettiva di genere, nel senso che abbiamo
detto, in ogni contesto della vita famigliare e sociale può consentire a
ciascun soggetto di sviluppare a pieno la propria personalità e anche, di
conseguenza la possibilità della migliore espressione della sessualità, etero
od omo.
Natura immutabile
Purtroppo
però la proposta di assumere “una prospettiva di genere”, se non capita e
presentata in modo grottesco, suscita subito una reazione immediata e contraria
che radicalizza tutto e blocca in partenza ogni riflessione pacata su problemi
veri. Si sostiene allora che esisterebbe- anzi che esiste- un ordine
trascendente, presociale, immutabile, non negoziabile, di segno del tutto
opposto a quello del gender, come sopra inteso e che pensa solo al matrimonio
ordinato alla procreazione. Questa opinione ha alle spalle una cultura fondata
sulla gerarchizzazione delle differenze tra uomo e donna, sulla diffidenza o
l’esclusione nel confronto di tutto quanto sta al di fuori del predeterminato
binarismo sessuale, sulla presa di distanza a priori nei confronti delle
riflessioni del movimento femminista, a favore del controllo solo naturale
della fecondità e, alla fine, sul mantenimento di una posizione di potere
maschile nella società e anche nella Chiesa.
Natura e cultura
Questa
questione coinvolge grandi problemi che riguardano cosa intendiamo oggi, come
cristiani, per natura e per cultura e se sappiamo considerare anche la storia
in questo percorso di riflessione. Sono tematiche complesse, non possono essere
banalizzate, semplificate, ci dispiace che di esse non si riesca a parlare
serenamente. Esse hanno ripercussioni immediate sulla percezione che abbiamo
del nostro stesso essere come persone credenti, con i nostri vincoli affettivi
e famigliari, che vivono e agiscono nella comunità cristiana. E’ diverso
ritenere che la Natura sia solamente qualcosa di immutabile, da sempre perenne,
creata da Dio, solo da capire e da rispettare, o pensare invece che essa fa i
conti col flusso del divenire nei secoli e nel quotidiano, perché è parte dello
scorrere della Creazione nella sua ricca pluralità che si manifesta nella
storia. Anche nel pensiero cattolico ufficiale è acquisito che il discorso
sulla natura non può essere sviluppato senza tenere conto della cultura (si
legga il testo della Commissione Teologica Internazionale del dicembre 2008
“Alla ricerca di un’etica universale: un nuovo sguardo sulla legge naturale”
leggibile su
<http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html#3.2.
Natura, persona e libertà>).
Il
messaggio di verità dell’Evangelo non discetta sulla Natura ma dice parole di
verità sulla misericordia, sulla fraternità e la sororità nei rapporti umani di
ogni tipo a partire da quelli tra i due sessi, nella vita e nella Chiesa. Non
ci sono più, allora, “sabati” pesanti da osservare, criteri di esclusione nei
confronti dei “diversi” a causa della loro condizione che è anch’essa opera di
Dio, oppure attenzione solamente alla difesa della propria identità o della
propria (presunta) ortodossia. E’ certamente più difficile cercare di capire i
segni dei tempi che affermare certezze e trovare antagonisti a cui contrapporre
la propria verità. La posizione dei cattolici “conciliari” sui segni del
divenire ha -ci sembra- in questo momento due punti fermi: la differenza tra
uomo e donna è una realtà ed una ricchezza da ribadire a piena voce contro ogni
mistificazione da qualsiasi parte provenga; contemporaneamente l’assunzione
della “prospettiva di genere” - per come noi la intendiamo- esprime il
carattere variabile delle esperienze e della relazioni tra i sessi che,
soprattutto in questo momento storico, significa il superamento delle logiche
patriarcali nel rapporto uomo/donna e l’accettazione delle diversità, nelle
loro multiformi manifestazioni, in particolare di quelle conseguenti
all’esistenza di fratelli e di sorelle di tendenza omosessuale.
Chi
sostiene che il patrimonio genetico e l’anatomia fanno i conti con
l’educazione, i simboli, le ideologie, il linguaggio, le credenze e soprattutto
il contesto sociale ed economico, non sta organizzando alcun complotto. In
questo “fare i conti” con la realtà ogni cristiano dovrebbe cercare di
acquisire quanto di più evangelico vi si può cogliere. La ricchezza della
pratica e della riflessione femminile, sia interna che esterna alla Chiesa,
costituisce l’esempio -ci sembra- di un apporto creativo e positivo in quella
che abbiamo detto essere la “prospettiva di genere”.
La Chiesa è ferma
La
Chiesa dovrebbe arricchirsi riflettendo su queste tematiche. Per esempio,
potrebbe prendere atto che “i documenti conciliari non si soffermano a definire
la specificità femminile; nella Gaudium et Spes il soggetto umano è presentato
in modo apparentemente neutro; rari sono gli accenni a questioni che riguardano
il genere sul piano della pratica ecclesiale e della visione di Chiesa” (Serena
Noceti). Anche i testi conciliari risentono di come ogni teoria antropologica
occidentale sia nata e si sia sviluppata intorno a un “maschile”
universalizzato e dichiarato neutro. Il Concilio fu tenuto in un periodo in cui
la riflessione a partire dal femminile era ben più scarsa di adesso.
Proprio
perché bisogna cogliere i segni dei tempi attendiamo dei passi in avanti nella comprensione
del genere. I vecchi modelli dei ruoli maschili autoritari dovrebbero essere
modificati più rapidamente, quelli femminili dell’apparenza e della
subalternità altrettanto, i ruoli maschili e femminili dovrebbero essere meno
separati, le disuguaglianze, ancora molto evidenti, soprattutto nella struttura
e nella pastorale della Chiesa, eliminate. Siamo ancora al punto di partenza.
Gli attuali ruoli sono rigidi, quasi come lo erano nei tempi preconciliari,
pietrificati. Il popolo cristiano, salvo importanti minoranze, è poco reattivo;
sulle questioni di morale sessuale scattano diffidenze e silenzi. La Gerarchia
su queste questioni è arretrata e intimorita oppure subisce la realtà degli
aspetti negativi della secolarizzazione senza avere idee o iniziative. Ci sono
purtroppo le condizioni perché la campagna contro il preteso complotto gender
trovi il mondo cattolico italiano, nel suo complesso, abbastanza impreparato,
in particolare su ogni dimensione nuova delle relazioni tra i sessi. E questa
campagna, da tutte le notizie che abbiamo, è contro i mulini a vento, cioè
contro un avversario che è solo immaginato ma non reale. Ma il futuro porterà
inevitabilmente al cambiamento. Vito Mancuso è convinto che la Chiesa cambierà,
comprendendo quanto ora non capisce su come il sesso è presente nella società e
nella storia e che sarà accettata “una pluralità di amori umani” in una società
e in una Chiesa capace di accogliere tutti. E allora le attuali situazioni di
“minoranza sessuale” saranno veramente accolte come fatto naturale, su cui la
discussione è chiusa, come ora è chiusa la discussione sulla democrazia
politica e sulla libertà di coscienza che furono demonizzate per troppo tempo.
Riassumendo,
ci sembra di poter dire che il complotto gender, per come viene presentato, non
esiste affatto, che la differenza sessuale invece esiste ed è importante, che
la comprensione del genere, inteso come abbiamo cercato di indicare in sintesi,
è un reale arricchimento per capire veramente le relazioni tra i sessi, il loro
evolversi e il loro miglioramento, ed infine che la Chiesa e il mondo cristiano
sono, in generale, in ritardo.
Come nasce la campagna
La
campagna è in corso da quasi due anni ed ha solo alcune caratteristiche di
quelle precedenti (Family Day, referendum sulla legge n.40). Gli strumenti
sono: l’Avvenire in modo martellante e con i suoi principali editorialisti, gli
intellettuali di area (appello del giugno scorso), un’area di parlamentari
molto attiva, molti siti Internet e un circuito di associazioni. Il casus belli
per il decollo della campagna è stato, nell’aprile 2014, la preparazione da
parte dell’Istituto A.T.Beck (associazione di psicologi e psicoterapeuti) di
tre opuscoli –uno per ogni ordine di scuola- dedicati agli insegnanti con lo
scopo di attivare interventi di educazione alla non discriminazione e contro il
bullismo omofobico nelle scuole mediante un piano triennale di azioni pilota
chiamato “Educare alla diversità nella scuola” (vedi i testi su
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/04/08/news/tutti-i-libretti-dell-unar-sull-diversita-nella-scuola-1.160258).
Questi opuscoli avrebbero potuto essere utilizzati nelle scuole solo se
richiesti dai dirigenti scolastici. Erano quindi un sussidio solo proposto
senza che vi si fosse niente di obbligatorio. Gli opuscoli sono stati
violentemente accusati di essere diretta espressione della lobby LGBT
(lesbiche, gay,bisessuali,transessuali) e quindi strumento principe del
“complotto”.
L’iniziativa
degli opuscoli era partita dalla Presidenza del Consiglio (Ufficio Nazionale
Antidiscriminazioni Razziali-UNAR all’interno del Dipartimento delle Pari
Opportunità), anche sulla base di input provenienti dal Consiglio d’Europa. A
quanto si capisce, il Ministero della Pubblica Istruzione si è trovato scavalcato
e, all’inizio delle polemiche, ha subito bloccato la diffusione degli opuscoli.
In seguito nel settembre 2015, il Ministero, davanti all’incalzare della
campagna, ha dovuto diffondere una circolare (n.1972 del 15-9) per assicurare
che la nuova legge sulla “buona scuola” non avvallava in alcun modo le
iniziative paventate dalle associazioni promotrici della campagna. La ministra
Giannini su queste iniziative è stata esplicita “Si tratta di una colossale
truffa ai danni della società”. Se si leggono i tre opuscoli ci si rende conto
facilmente che si tratta di validi e accurati strumenti per una didattica di
tipo sperimentale all’intermo della realtà della scuola di oggi, dove episodi e
comportamenti di bullismo sono presenti e anche in crescita. Vi appare evidente
lo scopo di promuovere presso la generalità della popolazione studentesca
interventi di informazione e di formazione per quanto riguarda il comportamento
nei confronti dei ragazzi e delle ragazze che manifestino tendenze omosessuali
o che appaiano averle e che, nel periodo scolastico, vivono il momento più
delicato della presa di coscienza della loro condizione.
La campagna in corso
La
campagna sul gender con le caratteristiche descritte è ora diffusa nelle nostre
scuole e coinvolge parrocchie e diocesi, anche se a macchia di leopardo ma in
alcune situazioni (per esempio Brescia e Verona) è presente in modo ossessivo,
organizza assemblee (per esempio oltre 200 a Brescia, dove un arco di forze
laiche e cattoliche ha reagito con un proprio manifesto), stampa molto
materiale propagandistico, affigge anche manifesti. Molti gruppi hanno fatto
propaganda sul territorio contro il gender con riferimento a situazioni
assolutamente estranee ad esso, come corsi di educazione affettiva e sessuale,
od usando notizie infondate e manipolate. Per esempio, la questione delle Linee
guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in materia sono state
presentate come se volessero indurre i bambini all’omosessualità e alla pratica
della masturbazione attraverso l’attività scolastica; cosa del tutto falsa (si
legga in proposito un’accurata disamina di questo testo e della manipolazione
che ne viene fatta su
:<http://www.ordinepsicologilazio.it/blog/psicologia-della-vita-quotidiana/educazione-sessuale-nelle-scuole-no-gender-no-party/>.
La
campagna è supportata in modo costante e incalzante dal Card. Angelo Bagnasco,
presidente della CEI, che non si è risparmiato in ogni sua trimestrale
prolusione agli incontri del Consiglio Episcopale Permanente e in altre
occasioni. “Il gender- egli dice-pone la scure alla radice stessa dell’umano
per edificare un “transumano” in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta
e a corto di identità” (23-3-2015). Il Presidente della CEI non usa più
l’espressione “valori non negoziabili” perché essa non piace al Papa ma la
sostanza è la stessa, quella di grande asprezza verso la cultura “laica” e
della difesa di principi ritenuti immutabili. Gli incontri nelle parrocchie
hanno quasi sempre le caratteristiche di appassionati e demonizzanti concioni,
intolleranti e molto preordinati nei contenuti. Li conosciamo dal vivo. Chi
voglia leggere due cronache efficaci le trova su
www.noisiamochiesa.org/?p=4592. Il vittimismo e la proposta di fare quadrato
contro una “aggressione esterna” sono altri elementi caratterizzanti questa
campagna, che si estende, cosa scontata, al contrasto nei confronti dei
progetti di legge Scalfarotto contro l’omofobia e Cirinnà sulle unioni civili.
Il
momento più visibile e clamoroso della campagna è stata la manifestazione del
20 giugno scorso a piazza S. Giovanni a Roma promossa da un cartello dal nome
“Difendiamo i nostri figli”. La grande partecipazione testimonia di quanto il
gender, così presentato, tocchi un’area di base del mondo cattolico,
sensibilissima ad ogni questione che riguardi l’educazione e la famiglia,
pronta a mobilitarsi anche su parole d’ordine che a noi sembrano fuorvianti.
Che dubbi od opinioni perplesse sul 20 giugno, per i suoi contenuti ed i suoi
metodi, ce ne fossero è testimoniato dall’assenza di grandi associazioni (C.L.,
Azione Cattolica, Rinnovamento dello Spirito, S.Egidio, ACLI, AGESCI,
Focolarini) tra i promotori della manifestazione. E’ stata una iniziativa nata
dal basso e in parte sfuggita di mano alla CEI, soprattutto nel metodo. In
piazza è stato criticato Mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, per il
suo poco “entusiasmo”, ma il Presidente del Pontificio Consiglio per la
Famiglia Mons. Paglia ha scritto ai promotori auspicando “pieno successo”.
Dal
suo inizio, peraltro, tutta la campagna ha suscitato, sempre di più,
perplessità e critiche aperte da numerosi esponenti autorevoli della
riflessione teologica e culturale del mondo cattolico (ricordiamo, tra gli
altri, Christian Albini, Domenico Barillà, Paola Gaiotti, Vito Mancuso, Serena
Noceti, Alberto Pellai, Cristina Simonelli, Selene Zorzi). I punti di vista che
stiamo esponendo si sono serviti anche di questi contributi. Su tutte queste
questione è nato il circuito “Educare alle differenze”, che riunisce docenti,
genitori ed esperti. Esso ha già organizzato due incontri nazionali a Roma
(settembre 2014 e 2015) con centinaia di partecipanti e di adesioni da parte di
gruppi ed associazioni. Hanno parlato di positive esperienze presenti nelle
nostre scuole che vanno in direzione opposta alla campagna sul gender, nei cui
confronti c’è una polemica diretta e vivace. C’è anche una polemica nei
confronti del governo per lo scarso impegno concreto nel fornire strumenti e
incentivi nella didattica su questa questione.
Papa Francesco
Papa
Francesco è intervenuto poche volte sulla questione chiedendosi, per esempio,
se la cosiddetta teoria del gender “non sia anche l’espressione di una
frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza
sessuale, ma ciò è il problema non è la soluzione”. Altre volte ha parlato di
possibile “colonizzazione ideologica” e di “sbaglio della mente umana che crea
tanta confusione”. A noi sembra che il papa abbia usato un linguaggio
riguardante qualcosa che in realtà egli non conosce a fondo, perlomeno per come
essa si manifesta nel nostro paese. Possiamo affermare questa sua non
conoscenza anche per quanto riguarda il pensiero “femminile” elaborato da molte
teologhe del nostro paese e fuori. Il papa, in questo caso, ci sembra riprenda
quanto detto da altri senza essere consapevole - come ha scritto Vito Mancuso-
che “aldilà di singoli episodi legati al mondo dello spettacolo dove si fa di
tutto per emergere, in realtà nessuno nel mondo lgbt intende abolire il dato
del maschile e del femminile”. In questo modo però, tra le tante e fondamentali
parole che il papa dice per il rinnovamento della Chiesa, queste vengono
accuratamente selezionate ed usate per iniziative e per mobilitazioni che sono
ben diverse –ci sembra- dal senso generale del nuovo corso di papa Francesco.
Riflettendo sulla scuola
Quanto
abbiamo scritto ci sollecita a dire qualcosa sulla scuola, soprattutto
dell’infanzia e dell’adolescenza, per cercare di essere propositivi sulle
questioni che la campagna, comunque, ha imposto alla discussione. I/le giovani
e i/le giovanissimi/e, nel loro crescere in questa società, si trovano di
fronte a una situazione ben diversa da quella statica della famiglia
tradizionale di una volta. Sulla realtà delle “famiglie” di oggi siamo
intervenuti spesso. Sulla realtà della situazione delle persone omosessuali
pure. Rimandiamo ai nostri convegni e ai nostri libri in materia. In sintesi
abbiamo detto che le nuove situazioni famigliari e il nuovo modo di intendere i
rapporti tra i sessi, etero od omo, vanno conosciuti bene e capiti ma né
pensando né dicendo che tutto, comunque, va bene. Anzi va scritta una nuova
etica molto critica nei confronti del sesso come consumo, dell’uso del corpo
della donna, della scarsa attenzione all’educazione sessuale “buona” nell’infanzia
e nell’adolescenza e così via. Bisogna oggi educare senza soffermarsi solo
sulla ripetizione di moduli rigidi, pure importanti (appunto la “famiglia”),
bisogna puntare su valori, che comportino diritti e doveri, sulle relazioni di
affetto, di solidarietà, di rispetto per le persone che vivono insieme, sposate
o non sposate, coppie omosessuali od eterosessuali, che fanno crescere bambini
e bambine, che sono aperte all’accoglienza, ai bisognosi, e anche alla
politica, nel senso migliore del termine.
I
genitori dovrebbero preoccuparsi di dare ai propri figli e alle proprie figlie
una educazione non individualista, aperta alla socialità e alla non esclusione,
a partire dai luoghi dove i ragazzi e le ragazze vivono, nelle classi della
scuola, nelle compagnie di amici e di amiche, nei giochi, nello sport. Tutti
noi dobbiamo essere impegnati a contrastare ogni forma di facile permissivismo
in campo sessuale, senza stabilità negli affetti e nelle relazioni, non
accettando una cultura in cui tutto sia possibile, sperimentabile e
continuamente modificabile. Bisogna proporre e realizzare alleanze educative
tra genitori e insegnanti. Per fare questo ci vuole pazienza e prudenza, il
modo sbagliato è quello di bloccare tutto con questa campagna sul gender, o con
iniziative simili, che creano muro contro muro anche tra credenti di diversa
formazione. Troppi genitori non sono preparati. Nella scuola la pazienza e la
perseveranza sono necessarie per comprendere situazioni tanto diverse, nei
confronti delle quali fare crescere l’accettazione delle diversità. Per
esempio, può essere intempestivo o controproducente scrivere sui moduli
amministrativi della scuola “genitore A” e “genitore B”, ma è necessario
trovare i modi perché le famiglie non convenzionali facciano parte della
normalità della vita scolastica.
Piuttosto
bisognerebbe fare una campagna nei confronti dei pericoli che, da qualche anno
ormai, vengono dall’accesso alle nuove tecnologie online. Esse permettono ai
giovani e ai giovanissimi di avere una iniziazione alle questioni del sesso e
dell’affettività nel modo peggiore possibile. Perché tutta la Chiesa non
dovrebbe mobilitarsi veramente in questa direzione piuttosto che in una
campagna sul gender che genera ansie infondate, disperde energie e provoca polemiche
continue?
E
poi perché non si riduce l’attenzione su queste questioni, pure molto
importanti, per un maggiore impegno comune sui problemi posti dalla crisi
economica e sociale, che colpiscono da vicino soprattutto le famiglie
(occupazione, casa, reddito…)? Le provvidenze pubbliche a favore della famiglia
sono tra le più basse dell’Unione Europea e ciò in un paese, come il nostro,
che è governato da cattolici ininterrottamente da settanta anni.
Una campagna per il dialogo
Le
nostre speranze e il nostro appello è quello che si determini un clima diverso
per conoscere prima, capire e approfondire poi e infine dialogare nelle nostre
comunità, nelle nostre scuole. Cessi la campagna sul gender, si abbandonino i
toni con cui viene condotta con accuse facili di malafede, di secondi fini, di
complotti e via di questo passo nei confronti di chi non è d’accordo. Cresca
nelle nostre scuole un clima inclusivo e sereno che proponga una discussione
comune e poi collaborazione tra tutti (genitori, docenti, dirigenti scolastici,
psicologi, senza trascurare l’ascolto delle giovani generazioni appena l’età lo
consente). E’ possibile, è auspicabile pensare ai bambini e alle bambine, ai
giovani e alle giovani con la preoccupazione e la tenerezza che, come leggiamo
nel Vangelo, aveva per loro Gesù.
Roma,
15 gennaio 2016 NOI SIAMO CHIESA
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