Tramite il mio amico romano Nino Lisi ricevo questa analisi-appello che volentieri rilancio.
*UN, DUE, TRE... STELLA!*
*Sulla necessità a Roma di uno scatto della città*
I primi due mesi della nuova amministrazione di Roma Capitale hanno visto
una pressione mediatica e politica senza precedenti a cui è stata e
continua ad essere sottoposta la Giunta Raggi. Al contempo, sono emersi
anche alcuni deficit evidenti e allarmanti del Movimento Cinque Stelle
nell'idea di governo della città che rischiano di rendere vano qualsiasi
reale cambiamento.
Il primo deficit è nella mancanza di una visione sistemica della città. Per
trasformare una città come Roma affrontando le pressioni dei suoi poteri
consolidati, mediatici ed economici, serve una capacità di visione delle
complesse dislocazioni dei differenti poteri (rendita fondiaria e
immobiliare, sistema bancario e finanziario, multiutility in borsa come
Acea, partecipate come Atac e Ama, governo centrale, prefettura e questura,
Vaticano, solo per citare i più evidenti) altrimenti si rischia di cadere
nell'errore di pensare che l'aver preso il governo della città coincida con
l'aver preso il potere nella stessa. Ma il governo della città è in realtà
solo uno degli strumenti del potere.
Due sono le immediate conseguenze di questo equivoco.
La prima è che si pensi che con la vittoria elettorale il più sia stato
compiuto e che si tratti ora solo di amministrare meglio delle precedenti
esperienze di governo, come se fosse un semplice dato tecnico. La stessa
idea che la squadra di governo debba essere scelta solo attraverso i
curricula e le competenze tecniche, astrae totalmente il governo della
città dai terreni del conflitto e della partecipazione, ovvero dalla
politica in quanto tale, e la direzione delle scelte viene affidata ad una
somma di competenze individuali, di per sé immaginate come oggettive e
neutrali rispetto alle contraddizioni della città. Ma con questo metodo
possiamo trovarci all'assessorato al bilancio tanto un liberista di destra
come il defenestrato De Dominicis, quanto un antiliberista attento ai
diritti e ai movimenti sociali. Entrambi magari con nobili curricula, ma
con visioni opposte della città. Governare la città è un atto politico, non
procedurale e impone delle scelte strategiche. Se invece si guardano solo
le carriere professionali e le referenze di "amici fidati" senza una
visione politica verso cui tendere, si rischiano di imbarcare anche
personaggi come Marra – già frequentatore delle giunte di destra di Comune
e Regione – o Muraro – che dentro Ama non si sa in cosa si sia distinta dal
resto dei dirigenti e consulenti dell'azienda dei rifiuti capitolina.
La seconda conseguenza è che, paradossalmente, proprio i Cinque Stelle, che
devono il proprio successo alla feroce critica verso le forme della
rappresentanza istituzionale e all'idea che i cittadini possano
rimpadronirsi della politica, rischiano di diventare, loro malgrado, gli
ultimi epigoni di una democrazia rappresentativa in crisi – per giunta
ulteriormente attaccata dalle proposte di riforma costituzionale del
governo Renzi – dimenticandosi dell'importanza della partecipazione diretta
e dal basso.
Se al contrario, si avesse la consapevolezza che l'aver preso il governo
non coincide con l'aver preso il potere, si avrebbe anche l’intelligenza di
capire che la trasformazione della città può avvenire solo attraverso la
reale implementazione della partecipazione diretta dei cittadini, delle
fasce escluse e periferiche, delle esperienze di autorganizzazione, nonché
manifestando un sincero interesse per quelle pratiche di conflitto sociale
indirizzate contro quei poteri forti che nella capitale non saranno certo
disposti a mollare l'osso.
Il secondo deficit consiste nella mancanza di un'analisi convincente dei
concetti di legalità/illegalità, sul fenomeno della corruzione e del
clientelismo che tanto ha investito la nostra città.
Siamo tutti coscienti che la corruzione sia stata una delle cause che hanno
caratterizzato il malgoverno della città, ma insistere su un’idea di
legalità astratta e senza contenuto, fa perdere di vista che troppo spesso
in questi anni a Roma si è *legalmente* devastato il territorio proprio
attraverso il ricorso a norme urbanistiche dettate dalla sete di profitto
di alcuni settori economici, mentre *illegalmente* si sono restituiti alla
città spazi e immobili abbandonati autoproducendo servizi, cultura e
socialità.
La medesima logica astratta della legalità porta ad evitare ogni
riflessione sui beni comuni e sui servizi pubblici, rifugiandosi nella
legalità del bando di appalto: come se Mafia Capitale non avesse preso la
città attraverso la vittoria di regolari bandi dell'ente locale e come se
beni comuni e servizi debbano essere naturalmente messi sul mercato, con
l'unica avvertenza di avvisare l'autorità anti-corruzione per un parere
sulle modalità. Al contrario è la filosofia di gestione dei beni comuni
della città che va profondamente cambiata, ed è un cambiamento che di
tecnico ha ben poco.
Il concetto di legalità e onestà, su cui i Cinque Stelle hanno raccolto
tanti consensi, va urgentemente riempito di contenuti alternativi, poiché
il rischio è che leggi ingiuste potranno rovesciare il loro significato,
facendo diventare illegale l'interesse della collettività e legale
esclusivamente quello del profitto privato. Onesto è, per noi, chi si
adopera per l'interesse collettivo. Legale, quell’amministrazione che crea
le condizione di legittimità per far emergere ed esprimere l’interesse
collettivo stesso, ratificando, ad esempio, che l’utilizzo del patrimonio
(sia esso occupato e/o in concessione, pubblico e/o privato) con finalità
sociale è consentito o che i servizi pubblici - come quello erogato dai 96
lavoratori del canile comunale di Muratella in autogestione da più di tre
mesi – non possono essere sottoposti a un bando a vantaggio di una società
privata la cui unica *mission* è il profitto.
Allo stesso modo, il coraggioso NO alle Olimpiadi non può essere
interpretato come una strada per eludere processi d’illegalità, né un mero
terreno di contrapposizione al Governo Renzi. Al contrario, dovrebbe essere
valorizzato come la volontà politica di governare le città fuori dai grandi
eventi e grandi opere che negli ultimi trent'anni hanno prodotto una
concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, mentre quello che serve è
mettere al centro l’idea di un reale piano partecipato, come anche una
gestione alternativa dell'urbanistica, dei beni comuni e dei servizi
pubblici locali.
Il terzo deficit consiste nella mancanza di un'analisi sulla
contrapposizione fra vincoli finanziari dettati dalle politiche liberiste e
risposta ai bisogni della città. L'idea che l’efficienza del governo
cittadino si misuri sulla stabilità dei conti e sul contenimento delle
spese rimuove totalmente l'utilizzo ideologico del debito come strumento
per l'espropriazione sociale, e dunque della necessità di una lotta
partecipata contro i vincoli imposti dallo stesso per l'affermazione dei
diritti sociali insopprimibili degli abitanti della città. L'audit del
debito e la sua radicale ristrutturazione non può che essere una battaglia
politica di trasformazione della città, e non una semplice operazione
tecnica di compatibilità tra gli attori coinvolti (città, governo centrale,
banche, costruttori).
Siamo di fronte, per la prima volta da anni, ad un'amministrazione che, con
tutti i gravi limiti sopra descritti, non è l'espressione dei poteri forti
della città e su alcuni temi – come il NO alle Olimpiadi – segna coraggiose
discontinuità con il passato, rovesciando la tovaglia di una tavola
imbandita da tempo. Ma se alle lobby finanziarie e immobiliari non si
contrappone un'amministrazione con una visione complessiva, disposta a
riconoscere l’indipendenza della partecipazione sociale e la sua forza come
principale ostacolo ai poteri dominanti, allora è facile prevedere, già da
ora, il risultato finale della partita sul futuro della città.
Noi non staremo a guardare e come movimenti sociali cittadini non abbiamo
intenzione di delegare a nessuno il conflitto sociale nei territori che
rilanceremo già nelle prossime settimane.
Il *1 ottobre* saremo insieme ai lavoratori dei servizi esternalizzati per condividere una piattaformacomune, a partire dal primo grande risultato conquistato dagli operatori del canile comunale di Muratella dopo mesi di lotta: la riassegnazione del servizio ai lavoratori come passaggio verso l'internalizzazione.
Il *4 ottobre* saremo in piazza del Campidoglio a ricordare alla Giunta comunale che Roma vuole cambiare, e vuole decidere del suo futuro. Starà
all'amministrazione con i suoi atti concreti scegliere da che parte stare.
*Decide Roma - Decide La Città*
*Sulla necessità a Roma di uno scatto della città*
I primi due mesi della nuova amministrazione di Roma Capitale hanno visto
una pressione mediatica e politica senza precedenti a cui è stata e
continua ad essere sottoposta la Giunta Raggi. Al contempo, sono emersi
anche alcuni deficit evidenti e allarmanti del Movimento Cinque Stelle
nell'idea di governo della città che rischiano di rendere vano qualsiasi
reale cambiamento.
Il primo deficit è nella mancanza di una visione sistemica della città. Per
trasformare una città come Roma affrontando le pressioni dei suoi poteri
consolidati, mediatici ed economici, serve una capacità di visione delle
complesse dislocazioni dei differenti poteri (rendita fondiaria e
immobiliare, sistema bancario e finanziario, multiutility in borsa come
Acea, partecipate come Atac e Ama, governo centrale, prefettura e questura,
Vaticano, solo per citare i più evidenti) altrimenti si rischia di cadere
nell'errore di pensare che l'aver preso il governo della città coincida con
l'aver preso il potere nella stessa. Ma il governo della città è in realtà
solo uno degli strumenti del potere.
Due sono le immediate conseguenze di questo equivoco.
La prima è che si pensi che con la vittoria elettorale il più sia stato
compiuto e che si tratti ora solo di amministrare meglio delle precedenti
esperienze di governo, come se fosse un semplice dato tecnico. La stessa
idea che la squadra di governo debba essere scelta solo attraverso i
curricula e le competenze tecniche, astrae totalmente il governo della
città dai terreni del conflitto e della partecipazione, ovvero dalla
politica in quanto tale, e la direzione delle scelte viene affidata ad una
somma di competenze individuali, di per sé immaginate come oggettive e
neutrali rispetto alle contraddizioni della città. Ma con questo metodo
possiamo trovarci all'assessorato al bilancio tanto un liberista di destra
come il defenestrato De Dominicis, quanto un antiliberista attento ai
diritti e ai movimenti sociali. Entrambi magari con nobili curricula, ma
con visioni opposte della città. Governare la città è un atto politico, non
procedurale e impone delle scelte strategiche. Se invece si guardano solo
le carriere professionali e le referenze di "amici fidati" senza una
visione politica verso cui tendere, si rischiano di imbarcare anche
personaggi come Marra – già frequentatore delle giunte di destra di Comune
e Regione – o Muraro – che dentro Ama non si sa in cosa si sia distinta dal
resto dei dirigenti e consulenti dell'azienda dei rifiuti capitolina.
La seconda conseguenza è che, paradossalmente, proprio i Cinque Stelle, che
devono il proprio successo alla feroce critica verso le forme della
rappresentanza istituzionale e all'idea che i cittadini possano
rimpadronirsi della politica, rischiano di diventare, loro malgrado, gli
ultimi epigoni di una democrazia rappresentativa in crisi – per giunta
ulteriormente attaccata dalle proposte di riforma costituzionale del
governo Renzi – dimenticandosi dell'importanza della partecipazione diretta
e dal basso.
Se al contrario, si avesse la consapevolezza che l'aver preso il governo
non coincide con l'aver preso il potere, si avrebbe anche l’intelligenza di
capire che la trasformazione della città può avvenire solo attraverso la
reale implementazione della partecipazione diretta dei cittadini, delle
fasce escluse e periferiche, delle esperienze di autorganizzazione, nonché
manifestando un sincero interesse per quelle pratiche di conflitto sociale
indirizzate contro quei poteri forti che nella capitale non saranno certo
disposti a mollare l'osso.
Il secondo deficit consiste nella mancanza di un'analisi convincente dei
concetti di legalità/illegalità, sul fenomeno della corruzione e del
clientelismo che tanto ha investito la nostra città.
Siamo tutti coscienti che la corruzione sia stata una delle cause che hanno
caratterizzato il malgoverno della città, ma insistere su un’idea di
legalità astratta e senza contenuto, fa perdere di vista che troppo spesso
in questi anni a Roma si è *legalmente* devastato il territorio proprio
attraverso il ricorso a norme urbanistiche dettate dalla sete di profitto
di alcuni settori economici, mentre *illegalmente* si sono restituiti alla
città spazi e immobili abbandonati autoproducendo servizi, cultura e
socialità.
La medesima logica astratta della legalità porta ad evitare ogni
riflessione sui beni comuni e sui servizi pubblici, rifugiandosi nella
legalità del bando di appalto: come se Mafia Capitale non avesse preso la
città attraverso la vittoria di regolari bandi dell'ente locale e come se
beni comuni e servizi debbano essere naturalmente messi sul mercato, con
l'unica avvertenza di avvisare l'autorità anti-corruzione per un parere
sulle modalità. Al contrario è la filosofia di gestione dei beni comuni
della città che va profondamente cambiata, ed è un cambiamento che di
tecnico ha ben poco.
Il concetto di legalità e onestà, su cui i Cinque Stelle hanno raccolto
tanti consensi, va urgentemente riempito di contenuti alternativi, poiché
il rischio è che leggi ingiuste potranno rovesciare il loro significato,
facendo diventare illegale l'interesse della collettività e legale
esclusivamente quello del profitto privato. Onesto è, per noi, chi si
adopera per l'interesse collettivo. Legale, quell’amministrazione che crea
le condizione di legittimità per far emergere ed esprimere l’interesse
collettivo stesso, ratificando, ad esempio, che l’utilizzo del patrimonio
(sia esso occupato e/o in concessione, pubblico e/o privato) con finalità
sociale è consentito o che i servizi pubblici - come quello erogato dai 96
lavoratori del canile comunale di Muratella in autogestione da più di tre
mesi – non possono essere sottoposti a un bando a vantaggio di una società
privata la cui unica *mission* è il profitto.
Allo stesso modo, il coraggioso NO alle Olimpiadi non può essere
interpretato come una strada per eludere processi d’illegalità, né un mero
terreno di contrapposizione al Governo Renzi. Al contrario, dovrebbe essere
valorizzato come la volontà politica di governare le città fuori dai grandi
eventi e grandi opere che negli ultimi trent'anni hanno prodotto una
concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, mentre quello che serve è
mettere al centro l’idea di un reale piano partecipato, come anche una
gestione alternativa dell'urbanistica, dei beni comuni e dei servizi
pubblici locali.
Il terzo deficit consiste nella mancanza di un'analisi sulla
contrapposizione fra vincoli finanziari dettati dalle politiche liberiste e
risposta ai bisogni della città. L'idea che l’efficienza del governo
cittadino si misuri sulla stabilità dei conti e sul contenimento delle
spese rimuove totalmente l'utilizzo ideologico del debito come strumento
per l'espropriazione sociale, e dunque della necessità di una lotta
partecipata contro i vincoli imposti dallo stesso per l'affermazione dei
diritti sociali insopprimibili degli abitanti della città. L'audit del
debito e la sua radicale ristrutturazione non può che essere una battaglia
politica di trasformazione della città, e non una semplice operazione
tecnica di compatibilità tra gli attori coinvolti (città, governo centrale,
banche, costruttori).
Siamo di fronte, per la prima volta da anni, ad un'amministrazione che, con
tutti i gravi limiti sopra descritti, non è l'espressione dei poteri forti
della città e su alcuni temi – come il NO alle Olimpiadi – segna coraggiose
discontinuità con il passato, rovesciando la tovaglia di una tavola
imbandita da tempo. Ma se alle lobby finanziarie e immobiliari non si
contrappone un'amministrazione con una visione complessiva, disposta a
riconoscere l’indipendenza della partecipazione sociale e la sua forza come
principale ostacolo ai poteri dominanti, allora è facile prevedere, già da
ora, il risultato finale della partita sul futuro della città.
Noi non staremo a guardare e come movimenti sociali cittadini non abbiamo
intenzione di delegare a nessuno il conflitto sociale nei territori che
rilanceremo già nelle prossime settimane.
Il *1 ottobre* saremo insieme ai lavoratori dei servizi esternalizzati per condividere una piattaformacomune, a partire dal primo grande risultato conquistato dagli operatori del canile comunale di Muratella dopo mesi di lotta: la riassegnazione del servizio ai lavoratori come passaggio verso l'internalizzazione.
Il *4 ottobre* saremo in piazza del Campidoglio a ricordare alla Giunta comunale che Roma vuole cambiare, e vuole decidere del suo futuro. Starà
all'amministrazione con i suoi atti concreti scegliere da che parte stare.
*Decide Roma - Decide La Città*
2 commenti:
Ciao Augusto,
ho seguito attraverso i giornali le vicende di Roma capitale, perché, proprio come capitale, deve interessare ogni cittadino italiano e devo dirmi sempre più preoccupato per il suo destino. Personalmente, pur non avendo mai votato M. 5 Stelle, ho accolto con grande soddisfazione la vittoria di Virginia Raggi alle ultime elezioni amministrative. Come ho detto, sono però preoccupato per la situazione attuale. Infatti era prevedibile che si sarebbero scatenati i poteri forti contro la nuova Giunta, ma la guerra all'interno del M 5 stelle rischia di aggiungere nuovi e pesanti danni. Sono completamente d'accordo con il contenuto e lo spirito del documento che riporti e vorrei aggiungere che non si può governare né uno Stato (lo vuol fare Renzi con la "deforma" costituzionale) né una città contro, ma quando si tratta di un bene comune, si deve far di tutto per coinvolgere anche le forze migliori degli avversari: invece, i cinque Stelle si considerano come unici detentori dell'onestà e del bene, incorrendo in errori macroscopici v. scelta degli assessori. Vorrei ricordare la frase bellissima, mai troppo conosciuta e soprattutto non applicata, di Lettera a una professoressa: "ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia".
Mauro
Caro Augusto, grazie della condivisione dell'analisi attenta, acuta ed equilibrata del tuo amico Nino Lisi.
Mi trovo abbastanza d'accordo col commento del sig.Matteucci.
Maria D'Asaro
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