“Viottoli”, 1/2016
SPIRITUALITA’ CREATIVA
Augusto Cavadi ci racconta, in MOSAICI DI SAGGEZZE. Filosofia come nuova
antichissima spiritualità (Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357, € 25,00),
l’avventura umana e spirituale che può essere vissuta da chi sceglie come
propria guida la filosofia e impara a “pensare da sé”, ovvero tenta “di
risolvere con mezzi propri e indipendenti da ogni autorità il problema
dell’esistenza” (p. 25). Avventura personale e per ciò stesso creativa, perché
diversa per ogni uomo e ogni donna che “rinunzia a ricette o formule che
possono, nel concreto, prescrivere luoghi, modi e tempi” della propria vita e
della propria ricerca spirituale.
Qui la consonanza di pensiero si
è rivelata consonanza di vita: non solo tra me e lui, ma anche tra le sue
scelte e l’esperienza delle nostre comunità. La delusione accumulata nel “mondo
cattolico, imbevuto di spiritualità e povero di critica”, e nel “mondo
universitario, dichiaratamente critico ma privo di spiritualità” (p. 280),
invece che all’indifferenza e alla chiusura l’ha spinto piuttosto a cercare e a
proporre altre forme e altre pratiche per alimentare la propria vita
spirituale. Incontrando l’adesione di tante persone.
Nell’Appendice del volume – le
ultime 15 pagine – descrive queste pratiche, che provo a sintetizzare qui di
seguito, grato per l’emozione che mi ha procurato il riscontro con le nostre
pratiche in CdB e nei gruppi di autocoscienza maschile.
Vacanze filosofiche
“Dal 1996 a oggi le vacanze filosofiche per non-filosofi
sono state organizzate puntualmente ogni estate, intorno a interrogativi
filosofici di immediato impatto esistenziale: il dolore, la felicità, il tempo,
il linguaggio, la giustizia, il sacro, la politica...”. Una settimana estiva in
qualche bel luogo di montagna, all’insegna della laicità e della spiritualità,
dove si partecipa” senza filtri ideologici né confessionali”, con la “massima
libertà” di espressione di sé e “con l’unico impegno di ascoltare le ragioni
altrui”, evitando qualsiasi tentazione di “proselitismo religioso o politico”.
Ed è un evento spirituale, perché
“i partecipanti sono invitati a mettersi in gioco non solo come cervelli che
pensano ma anche come soggetti che cercano col cuore in senso biblico”, cioè con l’intero di sé.
Cenette filosofiche
Ogni 15 giorni, sul modello del Simposio platonico o dei Discorsi a tavola di Lutero: la mensa è
il luogo a cui “si conviene da parti diverse”, in cui “ci si alimenta per
fortificarsi” e in cui “si passano di mano in mano in mano pietanze che
ciascuno è libero (ma sempre con un sorriso di gratitudine) di accettare o
rifiutare”.
Si parte dalla lettura, fatta a
casa da ciascuno, di un testo adottato di ciclo in ciclo e “la parola è sin
dall’inizio ai non-filosofi presenti che possono chiedere a qualche filosofo di
mestiere dei chiarimenti esegetici... o proporre considerazioni personali”.
Sul piano del metodo tre sono i
principi ispiratori fondamentali: l’accordo tra pensiero ed esperienza
personale; la non-violenza, che invita a evitare atteggiamenti negativi,
ostili, nei confronti dei discorsi altrui; ma non basta astenersi
dall’aggredire: bisogna saper adottare un atteggiamento davvero positivo nei
confronti di ogni persona. Perché tutti sono consapevoli che ci si incontra
“non per riempire spazi vuoti ma per sostenersi a vicenda in una riflessione
filosofica”.
Domeniche di chi non ha chiesa
Una volta al mese, “a turno, qualcuno
mette a disposizione la casa e si candida ad offrire uno spunto di riflessione
comunitaria (un brano musicale, una poesia, una pittura, una pagina di
filosofia...): poi, per poco più di un’ora, in atmosfera di raccoglimento, chi
vuole socializza brevemente le risonanze interiori che gli sono state suscitate
dall’input iniziale... e restituisce
al gruppo intuizioni, ricordi, propositi, sentimenti, progetti... senza paura
di essere criticato né volontà di conquista”. Poi si pranza in convivialità.
Fondamentale è che “a suggerire i
temi di meditazione sia una persona ogni mese diversa: troppo facile sarebbe
altrimenti ricostituire una struttura gerarchica attorno a un
guru-maestro-illuminato, una struttura insomma verticistica e clericale che
rappresenta uno degli aspetti deteriori delle esperienze religiose” (p. 285).
Raccolgo ancora due riflessioni
dal racconto di Cavadi:
- “Non può esservi conoscenza senza una comunità di ricercatori, né esperienza interiore senza comunità di quanti la vivono. Comunità s’intende in senso diverso da Chiesa o ordine”.
- Alle “domeniche di chi non ha chiesa” partecipano sia persone senza appartenenza ecclesiale sia cattolici e protestanti che frequentano abitualmente le rispettive comunità: “Questa convivialità delle differenze potrebbe risultare, in futuro, segno premonitore della società che ci aspetta: una società che riesca, finalmente, a gettarsi alle spalle delle contrapposizioni (tipicamente occidentali) fra in credere e il pensare”.
Seminari di teologia critica
Una volta al mese, “per quanti,
soprattutto se lontani da appartenenze ecclesiali, desiderino un’occasione di
studio e di conversazione senza barriere né reti di emergenza (...) per
esplorare le tematiche teologiche in una prospettiva razionale, aconfessionale,
laica nell’accezione più positiva e aperta dell’aggettivo”. Proposta accolta
con entusiasmo da persone che, da sole, avevano trovato “difficoltà quasi
insormontabili” a leggere certi testi teologici a causa del “linguaggio
specialistico”.
Celebrazioni comunitarie
A poco a poco, grazie agli
incontri periodici raccontati fin qui, “si è andato creando un giro di amici e
conoscenti... che ha trovato spontaneo sperimentare – con lo stesso taglio e
con la medesima intenzionalità -
l’invenzione di modalità inedite per celebrare nascite, matrimoni,
morti”.
Senza seguire “rituali
predeterminati”, ma anche senza “abbandonarci all’improvvisazione totale che
comporterebbe distrazione e abbassamento di tensione emotiva”, hanno preparato
delle tracce essenziali, lasciando che i presenti si esprimano liberamente.
La considerazione “complessiva”
di Cavadi nasce dalla constatazione che ci sono persone che semplicemente
disertano i luoghi del sacro e altre che si rassegnano a usufruire da “clienti”
dell’offerta liturgica tradizionale. Lui ritiene che “ogni atto che non nasce
da convinzione meditata, ma solo dal conformismo sociale, è poco dignitoso.
Senza contare che perpetuare gesti ipocriti insegna a diventare ipocriti, a
perdere fiducia in se stessi e negli altri” (p. 293).
E conclude augurandosi che un
giorno diventi prevalente, anche nelle comunità cattoliche, l’idea “che
trasformare le chiese in fabbriche del sacro e i preti in funzionari del
divino, senza chiedere un percorso di conversione consapevole a giovani e adulti,
davvero liberi di autodeterminarsi, è solo un modo per perpetuare gli equivoci
e differire la scoperta della verità oggettiva”.Ho sentito questi stessi
pensieri risuonare nelle parole di uomini e di donne – soprattutto di donne –
che negli ultimi anni abbiamo incontrato e ascoltato: a Torino, a Roma, a
Verona... e in tanti libri, articoli, online... Chiosando le parole di Giovanni
Franzoni a Verona, durante il recente incontro nazionale delle CdB: “Non con un
atto d’imperio il papa può eliminare il papato, ma lasciandoselo scippare”,
penso che non saranno i preti a mollare la loro presa sul sacro: tocca a noi,
uomini e donne in libertà, riappropriarcene. Come sempre.
Questa “comunità filosofica”
animata da Augusto Cavadi mi sembra un segno dei tempi che cambiano e un’anima
nuova non solo per la splendida terra di Sicilia.
Beppe Pavan
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