“Comunicazione filosofica”
Maggio 2016-06-07
Francesco Dipalo, Nulla
e dintorni. Aforismi per un anno, Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp.
169, euro 22,00.
Gli storici della filosofia si dedicano al compito,
prezioso, di analizzare e commentare le opere di predecessori e contemporanei.
Non meno prezioso il compito dei filosofi che, sfidando ogni genere di
resistenze, osano proporre nuove idee, nuovi scenari complessivi: o, per lo
meno, antiche concezioni in modo nuovo. In questa tipologia s’inscrive Nulla e dintorni. Aforismi per un anno
(Diogenemultimedia, Bologna 2015, pp. 169, euro 22,00), frutto di un filosofo
che, sulla base di una ricca conoscenza della storia del pensiero occidentale e
orientale, vince la remora di risultare
presuntuoso o ingenuo e offre delle considerazioni personali sul mondo e
sulla vita. Fa metafisica? Sì. E, quel che è più grave, non se ne vergogna,
convinto che “anche l’antimetafisica militante del positivista o del
nichilista” è un modo di fare metafisica in quanto espone “una visione del mondo, prova a
rispondere alle inaggirabili domande fondamentali” (p. 11).
Ma procediamo
con ordine.
In principio
– almeno per noi Occidentali – è
Parmenide. A suo avviso solo l’Essere è: il molteplice e il divenire sono
opinione, se non addirittura falsità. Come possiamo nominare questo Assoluto
che riposa immobile – “la ben rotonda sfera che nessun intelletto può penetrare”
(p. 140) - al di là del “velo di Maya”? La mistica - occidentale come orientale – ha
moltiplicato metafore e allegorie (Uno, Nube oscura, Sole nero, Al di là di
tutto…) ma sembra acquietarsi solo quando approda alla negazione di ogni ente e
di ogni nome: Nulla. Erede della
mistica renana, Heidegger preferisce Sein
(Essere), ma ne parla - o meglio ne tace
– come se si trattasse del Nulla.
Il silenzio
al cospetto dell’Ineffabile è infranto da quanti non resistono a simili,
stratosferiche, altezze e cedono alla tentazione di ritenere che (accanto,
sotto o grazie a ) l’Essere si diano, realmente e non solo illusoriamente, gli
enti. E’ la tentazione ricorrente nella filosofia occidentale, da Platone (teso
a “salvare i fenomeni” dal rasoio implacabile del “tremendo” Parmenide) al
neopositivismo contemporaneo (con l’eccezione di un pensatore che Dipalo non
cita mai ma di cui in queste pagine si avverte continuamente la silenziosa
presenza: Severino). Perché si tratta di una tentazione – e pericolosa per
giunta ? Perché chi crede nell’ente, chi ritiene che un’innumerevole famiglia
di enti origini per davvero, getta le basi per la credenza nell’annichilimento:
la metafisica dell’ente implica, come risvolto inevitabile, la metafisica del
ni-ente. L’orizzonte intellettuale contemporaneo è l’esito di questa parabola:
dall’infondata esaltazione dell’ontologia al nichilismo.
Il testo di
Dipalo è un testardo, generoso, accompagnamento dalla foce del nichilismo alla
sorgente che sola ce ne può guarire: la riscoperta dell’Indicibile. Dunque nel
cammino dal “niente” al “Nulla”. Infatti “niente” è la bandiera del nichilismo,
“il destino che si ritiene attenda le
cose che sono, ossia gli enti (persone, animali, piante, oggetti ecc.), cioè la
prospettiva – considerata ineluttabile – del loro annientamento (del loro
volgersi da enti a ‘ni-enti’) “ (p. 9); “nulla” allude, invece, allo “sfondo,
che consente alle cose che sono di manifestarsi, per il tempo loro accordato” ,
“vuotezza” e non “annichilimento”, “utero, matrice ontologica” (pp. 9 –
10).
Questo
accompagnamento dalla caverna degli enti (illusori) alla luce del Nulla avviene
su due binari. Un primo livello è didattico, parenetico, quasi omiletico: ed è
il tono (almeno alle mie orecchie) meno convincente. Molto più suggestivo e
accattivante un secondo taglio: autobiografico ed esistenziale. Qui l’autore
non intende insegnare, raccomandare o mettere in guardia, ma testimoniare.
Vuole raccontare - direi confessare – le
fatiche e le gioie del proprio itinerario dal guazzabuglio della storia e del
cosmo alla quieta consapevolezza che, essenzialmente, c’è solo da abbandonarsi
alle braccia cullanti del Nulla.
Coerentemente
con questa pista teoretica neanche la lingua prescelta è filosofica in senso
tecnico: “perché non si tratta esattamente d’un libro che <<parla di
filosofia>> né in senso divulgativo né, tanto meno, accademico. Non un
trattato <<sul nichilismo>>,
dunque, quanto piuttosto una rapsodia di testi, più o meno brevi, stesi
utilizzando diversi registri filosofico-letterari, dall’aforisma alla prosa
poetica, dall’intuizione brevemente argomentata al flusso di coscienza, dalla
rammemorazione all’analisi concettuale ”(p. 12).
Se il libro
avesse avuto un suo “indice”, i diversi frammenti sarebbero stati scanditi in
tre “fasi”: “apokalypsis” (scoperta,
rivelazione) (“Corrisponde al momento in cui mi sono imbattuto, per la prima
volta – ero giovane ! – nell’ospite inquietante”); “deiotes” (duello, scontro) (“Superato lo smarrimento iniziale,
attutita la paura generata dall’ospite, viene il tempo della lotta, corpo a
corpo, feroce di critiche e senza esclusioni di colpi”); “hyperbasis” (valico, oltrepassamento) (“Dal niente che tutto
ottundendo riempie, addivenire, finalmente, alla meravigliosa vacuità del nulla.
E’ un tempo poetico, vitale, perché dal nulla e nel nulla la creatività
zampilla endemica”) (p. 13).
Difficile non
solidarizzare con l’autore quando si espone come ‘martire’ della ribellione
all’ “incantesimo d’un certo sterile mentalismo” per “tornare a vivere pensando”, convinto che “il vero potere non sta nelle
nozioni, ma nella capacità di sperimentare quel che si pensa”: nel “diventare quel che si pensa” (p. 141).
Ma altrettanto difficile condividerne la prospettiva metafisica di fondo che, riprendendo
con avvertita sensibilità contemporanea le linee essenziali dell’induismo e del
buddhismo, ritiene fallace l’esperienza del mondo sensibile.
Più precisamente: la prospettiva metafisica secondo
cui nessuna ‘cosa’ nasce davvero (infatti
“appare” soltanto, “si mostra”) e
nessuna ‘cosa’ muore davvero (infatti
“non può precipitare nel non-essere ciò che in nessuna maniera è”, p. 92). Che
il mondo degli esseri sensibili non sia realissimus
– pienamente e indefettibilmente reale – è una verità da richiamare
instancabilmente a fronte dei materialismi di ogni risma; ma ciò non toglie che
sia quodammodo
realis – almeno in certa misura reale- e che la sua consistenza sia preziosa
proprio perché fragile e precaria. Ben
venga dalla fisica quantistica ogni conferma dell’intuizione orientale dell’impermanenza
di ogni ente: entrambe – la scienza contemporanea e la sapienza antica - ci aiuteranno a liberarci da naturalismi grossolani; a capire che
ciò che chiamiamo ‘materia’ è qualcosa
di molto poroso, quasi trasparente; che essa è una sorta di energia condensata
in perenne movimento. Ma una realtà effimera, volatile, intrinsecamente
temporale, non cessa per queste caratteristiche d’essere reale. Forse il Nulla
è l’Alfa e l’Omega della storia cosmica: ma ciò che trascorre dall’Origine alla
Fine è più reale di un sogno.
A un certo
passaggio del libro l’autore focalizza il cuore speculativo del suo messaggio
pratico. Chi sostiene la serietà de divenire, come passaggio dal niente
all’essere e dall’essere al niente, la può
sostenere solo perché considera ogni ente nella sua individualità, nella
sua unicità: ma proprio questo sarebbe l’errore radicale. Ogni ente è
concepibile solo in relazione alla totalità degli enti: ed è questa totalità
che, a fil di logica, non può ammettere né incremento (assoluto) né decremento
(assoluto). “Relazione, prima di tutto”
è intitolato l’aforisma 290 dove si legge, fra l’altro, che “l’essenza del
reale è relazione. Essa precede ontologicamente il provvisorio intreccio di
linee energetiche che costituisce i nuclei, provvisori, fatti di nulla, di ciò
che s’indica col termine ‘sostanza’ o ‘ego’. ‘Io’, dunque, è relazione in fieri, così come ‘io e tu’. Ignorare nella prassi quotidiana
tale fondamentale dato ontologico significa aprire le porte a niente (poiché ci
s’illude che il nucleo preceda la relazione, che qualcosa – un ente – si dia a
prescindere dalla relazione o, finanche, che la fondi: solo ciò che si ritiene
sia qualcosa, può infatti volgersi in ni-ente; nulla, invece, non può
annientarsi” (p. 120). In linguaggio occidentale diremmo che ancora una volta
emerge l’alternativa Hegel o Aristotele: al di là delle versioni caricaturali
delle due proposte interpretative, è la relazione
dialettica che costituisce (provvisoriamente) l’essere o è l’essere sostanziale che rende possibile
(gnoseologicamente e ontologicamente) la relazione? A Dipalo le ragioni a
favore dell’una o dell’altra tesi interessano, ma molto meno dei risvolti
pratici (esistenziali e etico-politici) delle due teorie: al punto che qualche
volta dà l’impressione che il criterio di giudizio sulle due sia proprio da
rintracciare sul piano della preferenza pratica. Personalmente non condivido
questo approccio, ma non posso negare che l’autore lo presenta in maniera talmente
suggestiva da poter risultare convincente: “Ni-ente da realizzare, ni-ente da
possedere, ni-ente da cui separarsi, ni-ente da dimostrare a nessuno. Nulla di nulla. Morire giocando, così
pacificamente lontani da tutte le cose da riguardarle come balocchi e trastulli
del tempo che fu, del tempo che non s’è perso, del tempo che è adesso. Morire tornando fanciulli.
Nulleggiando” (p. 118).
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Chi vuole può scaricare gratuitamente il pdf. con l'intero numero della bella rivista della SFI (Società filosofica Italiana):
http://www.sfi.it/archiviosfi/cf/cf36.pdf
4 commenti:
Grazie di cuore, Augusto.
Un carissimo saluto.
F.
Grazie Augusto, ottima recensione per un libro che sicuramente non mi deluderà. Fabio Di Gennaro
Complimenti a Francesco Dipalo per l'acutezza del pensiero e ad Augusto per la "clarissima" recensione.
Condivido quattro pensieri stimolati dalla recensione:
1 «“nulla” allude, invece, allo “sfondo, che consente alle cose che sono di manifestarsi, per il tempo loro accordato»
Domanda: accordato da chi o cosa? Da un supposto indicibile funzionamento impersonale o dal soggetto, propendo dal soggetto: “diventare quel che si pensa” vale per l’uomo, e - se c’è - anche per Dio.
2 Riguardo il “c’è solo da abbandonarsi alle braccia cullanti del Nulla”
forse imprudente non considerare Freud per vederci chiaro evitando di smarrirsi in nebulose sublimi nostalgie forse precise, prossime e individuabili.
3 «Chi sostiene la serietà del divenire, come passaggio dal niente all’essere e dall’essere al niente, la può sostenere solo perché considera ogni ente nella sua individualità, nella sua unicità: ma proprio questo sarebbe l’errore radicale. Ogni ente è concepibile solo in relazione alla totalità degli enti: ed è questa totalità che, a fil di logica, non può ammettere né incremento (assoluto) né decremento (assoluto). “Relazione, prima di tutto” è intitolato l’aforisma 290 dove si legge, fra l’altro, che “l’essenza del reale è relazione.»
Per quello che sono riuscito a comprendere della fisica quantistica, è proprio così: l’ente accade – accadere non è divenire speculare al niente – realmente: accadere fluttuante nel movimento di interazione, accadimento assolutamente reale seppur provvisorio, tant’è che l’universo - Io-Altro-Natura - c’è.
4 Sperando di non cadere in interpretazione caricaturale annoto - mera osservazione senza giudizio - che:
«Ni-ente da realizzare, ni-ente da possedere, ni-ente da cui separarsi, ni-ente da dimostrare a nessuno. Nulla di nulla. Morire giocando, così pacificamente lontani da tutte le cose da riguardarle come balocchi e trastulli del tempo che fu, del tempo che non s’è perso, del tempo che è adesso. Morire tornando fanciulli. Nulleggiando»
corrisponde preciso a quadro clinico da overdose da oppio.
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