“Repubblica – Palermo”
31.3.2016
LA CRISI DELLE SCUOLE CATTOLICHE NON E’ SOLO
ECONOMICA
Il calo
d’iscrizioni nelle scuole cattoliche in Sicilia
– di cui si è occupato un servizio della nostra testata - è certamente
legato a contingenze finanziarie, soprattutto al combinato disposto di riduzione dei contributi pubblici e
impoverimento dei bilanci familiari. Ma sarebbe un po’ riduttivo limitarsi a
questo livello di analisi. Al di sopra, o al di sotto, agiscono infatti
motivazioni culturali su cui varrebbe la pena accendere le luci della
riflessione. Mi riferisco, innanzitutto, al mutamento di mentalità politica:
fasce sempre più nutrite di popolazione capiscono che lo Stato non può esigere
imposte senza offrire servizi. Chi -
volentieri o a collo storto – paga le tasse ha imparato a pretendere la gratuità
(o quasi) del soddisfacimento di alcuni diritti primari come la sanità e
l’istruzione. La credibilità dello Stato dipende sempre di più dalla sua
capacità di essere, e di mostrarsi, Stato sociale: Welfare State.
Ma il
mutamento culturale riguarda anche il punto di vista ideologico-pedagogico. Una
motivazione tradizionale induceva molti genitori a iscrivere i figli in scuole
cattoliche per garantirgli un ambiente protetto, una sorta di serra extra-territoriale in cui potessero
evitare le influenze negative di ideologie pericolose (più o meno imparentate
con lo spettro del comunismo) e ricevere un’educazione religiosa. Ma, dopo la
crisi delle “grandi narrazioni”, la prima di queste due ragioni è venuta meno:
in quale scuola statale un ragazzo corre il rischio di diventare “troppo” di
sinistra ? Si può discutere se questa scomparsa sia un bene o un male per la
società, ma non si può certo negare che sia un dato oggettivo e notorio.
Spendere soldi per difendere la progenie da nefasti influssi rivoluzionari
sarebbe come investirli in tende protettive anti-tempeste di sabbia al Polo
Nord. Nell’epoca del “pensiero unico” - intessuto di individualismo,
competitività, rampantismo sociale, liberismo economicista, lusso
esibizionistico, xenofobia – è da questa “visione del mondo” che, se mai, le
famiglie dovrebbero tentare di difendere i figli. Però non passa neppure
dall’anticamera del cervello: una solida formazione borghese-perbenista, ai
nostri giorni, può riuscire sempre utile nella vita.
Ma,
almeno, funziona la seconda motivazione? Le scuole cattoliche, dalle materne
alle medie superiori, assicurano una formazione religiosa maggiore delle scuole
statali? Basta interrogare gli ex-alunni e soprattutto le ex-alunne per sapere
che la risposta è negativa.
E’
negativa se, un po’ sommariamente, s’intende per “educazione religiosa”
l’affezione alle pratiche liturgiche, alla preghiera personale o di gruppo,
allo studio delle Scritture. La precocità
( e non di rado l’insistenza) di alcune forme di catechesi
ottengono - di norma – l’effetto
contrario a ciò che si propongono: messe e novene, ritiri spirituali e raduni
oceanici in piazza San Pietro, provocano un senso di sazietà che qualche volta
assomiglia al disgusto. Per non parlare degli effetti controproducenti di
omelie unilateralmente incentrate sulla “purezza sessuale” e sui modelli di
“famiglia cattolica”. Espressioni come “I miei figli non vogliono sentir
parlare di religione: sono stati otto anni a scuola dalle suore” sono ormai
diventate dei ritornelli.
La
situazione non appare molto diversa se, in accordo con le nuove prospettive
teologiche di cui anche papa Francesco si sta facendo portavoce, intendiamo per
“educazione religiosa” – ben al di là dell’addestramento a pratiche
confessionali - la formazione di una coscienza evangelica. Sono le scuole
cattoliche una palestra di sincerità con sé stessi e con gli altri, di
cooperazione fra compagni di classe, di sobrietà nei consumi, di solidarietà
verso gli strati sociali più deboli, di legalità democratica, , di attenzione
all’ambiente? Anche sulla base di recenti esperienze professionali devo, con
tristezza, rispondere anche qui negativamente. E’ una tradizione che viene da
lontano: ho sulla punta della lingua
vari nomi di protagonisti attuali della cronaca politica che, educati in
prestigiosi istituti cattolici, non hanno certo offerto testimonianze esemplari dal punto di vista
etico. Non che – invece – nelle scuole statali quei principi (che sono anche
evangelici, ma condivisi dalle coscienze laiche più mature) siano coltivati
meglio: ma, se non si vede nessuna differenza (e qualche volta la si nota a
vantaggio delle scuole statali) , a che pro le famiglie dovrebbero impegnarsi a
spendere di più ?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Disamina interessante. E poi la tempesta della "liquidità sociale" (ben preconizzata da Zygmunt Bauman) non risparmia nessuno ...
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