UNA RELIGIONE SENZA DIO O, PIUTTOSTO, UNA RELIGIOSITA' ?
Una religione senza Dio o, piuttosto, una religiosità ?
Ronald Dworkin, scomparso a 82
anni nel 2013, è considerato uno dei più importanti filosofi del diritto
contemporanei. Ma l’ultima sua pubblicazione (Religione senza Dio, Il Mulino, Bologna 2014) affronta una tematica
filosofica che precede, logicamente, la riflessione sui temi politici e
giuridici: la “religione”. Egli ne propone una definizione sin dalle prime
righe: “una visione del mondo profonda, speciale ed esaustiva, secondo la quale
un valore intrinseco e oggettivo permea tutte le cose”. Dunque permea
“l’universo” (che custodisce in sé “un
ordine”) e, in esso, “la vita umana” (che custodisce in sé “uno scopo”) (p.
17).
a) Buoni contenuti in
contenitore fuorviante
In questa definizione concetti del tutto condivisibili sono incorniciati
in una categoria semanticamente infelice.
Che i contenuti siano
condivisibili mi pare evidente: nel senso che tutti (credenti o meno)
condividono la tesi che appartiene necessariamente a ogni atteggiamento religioso il
riconoscimento di “un valore intrinseco e oggettivo” presente in ogni
manifestazione del cosmo (vita umana compresa). Controprova: ritengo che si
debba alla genialità di Nietzsche la formula essenziale - “In principio era
l’Assurdo” - di ogni serio atteggiamento irreligioso (o a-religioso o
ateo).
Perché questi concetti
sono, a mio avviso, formulati in maniera semanticamente inadeguata? Perché
Dworkin chiama religione ciò che
andrebbe denominato, se mai, religiosità.
Può sembrare una questione di lana caprina, ma non ritengo che lo sia. La
“religiosità” può avere tutte le caratteristiche elencate da Dworkin e può
prescindere – come vuole l’autore - dall’adesione a una precisa confessione
religiosa, a una determinata tradizione ecclesiale, a una concreta e delimitata
organizzazione istituzionale: la “religione”
- invece – no. In particolare -
ed è qui il motivo decisivo della mia obiezione alla terminologia (non alla
concettualizzazione) di Dworkin – la religiosità
può essere agnostica (o ‘a-tea’ nel senso di non assumere neppure come tema di
indagine l’ipotesi di una qualsiasi figura divina), ma non lo può essere una religione. Quando dunque il pensatore
statunitense scrive che “il filo conduttore del libro” è nella tesi secondo la
quale “la religione è più profonda di Dio”
- nel senso che “credere in un dio è solo una delle manifestazioni o
conseguenze possibili” della religione (p. 17) – rischia di pagare col fraintendimento
l’obiettivo di essere costruttivamente provocatorio. Perché non preferire la
formulazione, meno dirompente ma più comprensibile, che “la religiosità è più profonda e più estesa
della fede in un Dio”? Personalmente la
troverei molto più plausibile e illuminante. Ancora di più se asserisse che “la
spiritualità è più profonda e più
estesa della fede in un Dio”.
Queste modifiche (più
terminologiche che concettuali, mi pare) aiuterebbero a capire che tutti gli
esseri umani possono avere una “spiritualità” (nell’accezione laica, basica,
naturale, che ho provato a illustrare in Mosaici
di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità, Diogene
Multimedia, Bologna 2015); che una porzione di quanti vivono una “spiritualità”
possono declinarla in senso “religioso” (e sono quanti accettano - in cuor proprio e tendenzialmente nelle
scelte concrete di ogni giorno - le leggi dell’universo e della vita, sia
riconoscendo in esse una valenza divina di stampo panteistico sia ritenendo di
non avere ragioni sufficienti per affermarlo); che una porzione, ancor più
ristretta, di persone animate da “religiosità”, decidono di appartenere inoltre
a una determinata “religione” (e dunque si riconoscono in testi sacri, in una
dottrina teologica, in una liturgia canonica, in una morale ben articolata e
così via).
b) Oltre l’aut-aut fra “religione” e “ateismo”: tertium non datur ?
Se si adottasse il
vocabolario che propongo, molti passaggi del libro di Dworkin diventerebbero
più trasparenti e meno opinabili.
Per esempio, là dove scrive
che “diversi milioni di persone che si considerano atee hanno convinzioni ed
esperienze molto simili a – e altrettanto profonde di – quelle persone che i
credenti giudicano religiose. Quei milioni di persone dicono che, pur non
credendo in un dio ‘personale’, credono tuttavia in una ‘forza’ nell’universo
‘più grande di noi’ ” (pp. 17 – 18), l’autore qualifica “atei” dei
concittadini che, se credono in una “forza…più grande di noi”, non vedo perché
dovrebbero considerarsi tali: sono senza “religione”, ma non senza
“religiosità”. Se fossero davvero “atei” non penserebbero che “la verità morale
e le meraviglie della natura suscitino, e debbano suscitare, un timore
reverenziale” (p. 18). Non è un caso che Albert Einstein, dichiaratamente
estraneo alla religione ebraica e a ogni altra religione istituzionale della
sua epoca, abbia utilizzato proprio il sostantivo “religiosità” (e l’aggettivo “religioso”) per autodefinirsi. E
ciò proprio nella prima citazione che Ronald Dworkin riporta nel suo testo
! Leggiamo infatti questo splendido
autoritratto di Einstein: “Sapere che ciò che ci è inaccessibile esiste
realmente, manifestandosi come la più grande saggezza e la più grande bellezza
che le nostre deboli facoltà possono comprendere solo in forma assolutamente primitiva:
questa conoscenza, questa sensazione, è al centro della vera religiosità. In questo senso, e solo in
questo senso, appartengo alla schiera delle persone devotamente religiose” (p. 18). Forse la progressiva secolarizzazione della
società, soprattutto occidentale, ci potrà liberare - se avremo un po’ di accuratezza nell’uso
delle parole – dall’angusto aut-aut:
o credente (in senso teologico, confessionale, all’interno di una religione
istituzionale) o ateo. Ho il sospetto che, fra le due sparute minoranze (pochi
credenti consapevolmente aderenti a un’ortodossia e pochi atei consapevolmente
negatori di qualsiasi valenza divina del cosmo fisico e morale), si estenda una
vasta maggioranza di uomini e donne, lontana da ogni “religione” come da ogni
“ateismo”, che coltiva una propria “religiosità” à la Einstein.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
www.nientedipersonale.com/2016/03/21/una-religione-senza-dio-o-piuttosto-una-religiosita/
2 commenti:
quanto mi piace ciò che scrivi, caro Augusto, e ciò che scrive Einstein! quante persone, che oggi si definiscono non religiose, agnostiche o addirittura atee, si riconoscerebbero nelle ultime due righe del tuo commento a Dworkin ? io credo molte, moltissime, quasi tutte! solo prendendone coscienza si potrebbe costituire un popolo "spirituale" dalle tante potenzialità. Armando Caccamo
Pur sicuramente estraneo al caso di specie non di rado tali piccoli disastri sono procurati dai traduttori.
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