28. 2. 2016
“Niente di personale”,
28.2.2016
IL MEZZOGIORNO D’ITALIA E’ STATO, E’ E RESTERA’ A LUNGO
UN’ITALIA DI SERIE B ?
La tentazione dei filosofi è di generalizzare,
astraendo dai dati particolari.
All’opposto gli storici avvertono talmente il fascino dei dettagli da
diffidare delle sintesi più ampie, quasi ad affidarle all’acume del lettore:
che, nella maggior parte dei casi, è incapace di formularle proprio perché non
è uno storico di professione. Il saggio di Salvatore Lupo, La
questione. Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi
(Donzelli, Roma 2015), conferma questo rischio: ancora una volta uno degli studiosi contemporanei (e contemporaneisti)
più apprezzati dimostra acume nel decostruire gli schemi interpretativi
canonici, sulla base di una serie di documenti meticolosamente rintracciati, ma
evitando di offrire al lettore-non-specialista (come me) un quadro organico
innervato da un chiaro filo rosso. Anzi, presentando questa rinunzia a una
teoria complessiva come esito obbligato delle sue indagini storiografiche.
A compensare
la mancanza di una visione d’insieme conclusiva troviamo, però, una nitida Introduzione in cui è agevole
riconoscere alcune tesi di fondo del saggio. A cominciare dalla tesi-madre (poi
suffragata da una serie di tesi-figlie o corollari riguardanti sia singoli
aspetti che singole aree geografiche): dal 1861 al 2011, “il Sud è
effettivamente rimasto indietro
(rispetto al Nord), ma nel contempo è anche andato
avanti (rispetto al suo passato). Il punto è che, delle due questioni, la
prima occulta la seconda”. Perché ? “Per il fascino della grande metafora che
sta dietro e sotto la questione meridionale: progresso vs. arretratezza, modernità vs.
arcaismo, civilizzazione vs. barbarie
– A contro B, Nord contro Sud”. Questo “dualismo” ha portato, inevitabilmente,
a omologare tutto il Meridione, sottovalutando “le differenze regionali
propriamente dette”.
A questa
concezione troppo schematica avrebbe concorso la storiografia “meridionalista”
, troppo spesso tentata di accentuare l’immobilismo del Sud a confronto con un
dinamismo (in buona parte effettivo, in qualche misura esagerato) del Nord. Secondo
Lupo è il momento di ribadire, anche alla luce di decenni di ricerche storiche
del gruppo intorno alla rivista “Meridiana”, che “il Mezzogiorno va considerato,
al pari di un qualsiasi luogo di questo mondo, un frammento della modernità”.
(Da qui l’avvertimento di non adottare supinamente la categoria di
“modernizzazione passiva” per rappresentare l’ultimo secolo e mezzo di storia
meridionale).
Per liberarsi
dal dualismo stereotipo l’autore suggerisce, inoltre, di evitare di leggere la
storia del Mezzogiorno come storia della mafia sia per quanto riguarda il
passato che, soprattutto, il presente, nel quale, “per la criminalità violenta,
la quota-parte addebitabile al Sud è oggi
molto più prossima alla media nazionale di quanto fosse all’inizio del
Novecento” (anche se – si potrebbe obiettare in margine – il livellamento è
avvenuto più verso l’alto che verso il basso; e probabilmente per effetto
dell’esportazione dei metodi mafiosi fuori dai territori di origine).
A suo parere
non contribuiscono certo a sfatare il mainstream
storiografico né Le basi morali di una
società arretrata di Edward Banfield
(dove la fortunata categoria del “familismo amorale” viene proposta
senza convincenti basi empiriche) né La tradizione civica nelle regioni italiane
di Robert Putnam (dove la categoria della un-civicness
viene adoperata senza adeguate basi storiche) né il più recente Mappe del deserto. Atlante del capitale
sociale in Italia di Roberto Cartocci (in cui si afferma, con sospetta
secchezza, che “il paese è diviso in due grandi aree, con un Centro-Nord ricco
di capitale sociale e un Centro-Sud dotato di questo tesoro”).
Messo a fuoco
lo stereotipo dominante delle “due Italie” , Lupo dedica il suo libro a
ricostruirne la genesi, con particolare attenzione al ruolo degli studiosi
“meridionalisti” (a partire dal triennio 1875 – 1877), in particolare di
Gaetano Salvemini, i cui testi dovrebbero dunque essere utilizzati “come fonti
storiche – senza appiattirli nella dimensione di una presunta, eterna
attualità, riportandoli nel loro tempo (nei loro tempi) e nelle loro
intenzioni”. E senza dimenticare, neppure per un momento, che fra loro c’erano
punti di vista “molto differenti, anche opposti”, che “non definivano se stessi
meridionalisti e non erano definiti come tali”.
Non mancano i
riferimenti polemici – o, per lo meno, dialettici – a studiosi contemporanei
come Emanuele Felice, il cui Perché il Sud è rimasto indietro è stato
presentato e discusso in questo stesso nostro periodico online.
Augusto
Cavadi
ww.augustocavadi.com
http://www.nientedipersonale.com/2016/02/28/il-mezzogiorno-ditalia-e-stato-e-e-restera-a-lungo-unitalia-di-serie-b/
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