“Madrugada”, dicembre 2015
SPERANZISMO VERSUS SPERANZA LAICA
Spero di non morire giovane, ma neppure tanto vecchio e
decerebrato da non essere più padrone
del mio corpo; spero di essere accompagnato, sino al momento di spirare, dalla
comprensione affettuosa di una compagna; spero di non dover mai sperimentare in
prima persona l’assurdità della guerra, ma neppure di finire i miei giorni in
condizioni di passiva schiavitù; spero di poter
assistere, prima di lasciare questo strano mondo, alla scomparsa – o
quasi – di carestie ed epidemie dalla faccia della terra…La lista delle cose
sperate è virtualmente indefinita, eppure comprende un pugno di desideri comuni
alla maggior parte – se non proprio alla totalità – dei mortali.
Un motto
avverte, cinicamente, che “chi di speranza vive, disperato muore”: solo
un’esplosione irragionevole di pessimismo? Ritengo di no. Ci sono molti modi di
“sperare” che ci introducono, sia pur cortesemente, nelle braccia della
disperazione. Tra queste modalità autolesionistiche della speranza
evidenzierei, se mi è concesso
brevettare un neologismo, lo speranzismo:
l’assolutizzazione, decontestualizzante, della speranza. Lo speranzismo sta
alla speranza come il fideismo sta alla fede. Proprio come il fideismo, è
cieco; non si chiede, preliminarmente, in che direzione e su quali indizi
orientare il proprio slancio; non si interroga sulle implicazioni e sulle
conseguenze del proprio atteggiamento. Rischia, a ogni passo, di scambiare
l’originale con le copie contraffatte. E, proprio perché si nutre di illusioni,
si condanna alla delusione.
Come
funzionerebbe, invece, una speranza autentica, adulta, consapevole? Sarebbe
molto attenta a smascherare gli spacciatori di false speranze (i quali, spesso,
sono riconoscibili perché vivono esattamente come se non sperassero in ciò che
suggeriscono o predicano agli altri). Inoltre accetterebbe volentieri il
supporto del buon senso, dell’esperienza, della competenza scientifica, della
rettitudine etica, senza la pretesa di bastare a sé stessa. Dunque suggerirebbe
a chi non vuol morire giovane di curare un po’ la salute psico-fisica; a chi
non vuol morire solo, di curare un po’ le relazioni affettive e amicali; di chi
non vuol più assistere a guerre né vedere morire gente di fame e di malattie,
di impegnarsi un po’ in politica. Una simile forma laica di speranza non
esclude nessun’altra modalità ulteriore, teologico-confessionale; anzi, è la
sola che può offrirle un fertile terreno dove fiorire.
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Caro Augusto sto leggendo «Gesù simbolo di Dio» del gesuita americano e (moderatamente?) eretico Roger Haight, Fazi (collana Campo dei fiori), che a pagina 26 dice riguardo la fede - ritengo con te - così: “Il contenuto della fede (ovvero ciò che si crede) è espressione della fede e come tale è distinto da essa”, ovvero faith (fede) e beliefs (possiamo tradurlo con credenze) sono correlate ma non equivalgono. Fede, dunque, forte ma non fissa, in quanto correlata estemporaneamente, mutevolmente, dinamicamente, con il suo contenuto.
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