Considerazioni inattuali sulla
genitorialità omosessuale
Vorrei chiudere un
anno piuttosto triste per la riflessione politica e sociale con alcune
osservazioni su un tema piuttosto dibattuto e sul quale anche le istituzioni si
apprestano a darsi delle regole. E’ probabile che non tutti apprezzino quanto
dirò. Ben vengano le osservazioni critiche, a patto che non siano solo anatemi
o mere dichiarazioni di diversa opinione prive di ragioni a sostegno: di
partiti contrapposti ce ne sono anche troppi, è l’ora che il conflitto si
spinga fino alla comprensione delle strutture che sostengono le opinioni.
Diversamente da molti
cattolici conservatori, ritengo che chiunque sia sentimentalmente legato a
un’altra persona e voglia condividere con lei la propria vita abbia il diritto
di vedere riconosciuta la propria unione dalle istituzioni dello stato in cui
vive, con pari dignità e diritti di cittadinanza, a prescindere dalla
nazionalità, dalla razza, dal ceto e anche dal sesso dei membri della coppia.
Sempre diversamente
da molti cattolici conservatori, ma anche da alcuni psicologi senza cognizioni
critico-epistemologiche, non ritengo per niente necessario che “ogni figlio
debba avere un padre e una madre”: sono cioè certo che un bambino possa
crescere con le cure solo di una madre, o solo di un padre, o anche solo di uno
zio o di un gruppo di affezionati assistenti non congiunti, in assenza di padre
e madre. La riuscita o meno dipende da condizioni socioculturali che oggi
rendono forse un po’ più difficile la crescita “extra-familiare”, come sempre
avviene nei cambiamenti della cultura umana, ma certo non impossibile.
Tuttavia,
diversamente da molti sedicenti progressisti, non ritengo neppure che la
genitorialità sia un diritto universale di cui dovrebbe godere qualunque coppia
sentimentalmente legata, anzi, mi appare molto chiaro come in alcuni casi una
tale pretesa sia del tutto priva di senso. Tra quei casi ci sono appunto quelli
delle coppie omosessuali.
Con qualche
inevitabile semplificazione assertiva, cercherò di spiegare perché.
La ragione concreta
per cui nel mondo umano esistono le coppie è che esse generano figli e che
questi, diversamente dalla maggior parte dei “cuccioli” di altri esseri
viventi, impiegano un tempo lunghissimo per diventare autonomi: ciò ha reso
necessaria una “stabilizzazione” della coppia, “stabilizzazione” che, nel corso
dei millenni di cultura umana, ha prodotto fenomeni spirituali quali il
sentimento e l’amore di coppia. Senza la lunga gestazione dei figli, un legame
stabile di coppia forse non sarebbe neppure mai nato, o comunque non sarebbe
oggi egemone, perché si basa su un progetto esistenziale comune – crescere i
propri figli – terminato il quale almeno fino a non molto tempo fa ci si
ritrovava o ormai legati quanto bastava per non desiderare di cambiare partner,
oppure stanchi e anziani quanto bastava per non poterlo fare neanche
desiderandolo.
Questo significa che
la coppia stessa esiste come fenomeno umano solo perché “funzione” dei figli.
È tuttavia vero che
in tempi recenti le cose sono repentinamente cambiate. Da almeno cinquant’anni,
nelle società materialmente più avvantaggiate, è del tutto possibile per un
genitore crescere figli senza il supporto dell’altro genitore e – soprattutto –
già da oltre un secolo non mancano coppie formatesi sulla base di progetti
diversi dalla procreazione: coppie di scienziati, artisti, animatori
sociali e politici, professionisti, che si scelgono e si amano con il progetto
condiviso di affermare “valori” e realizzare “cose”, assieme, nel mondo, e
non di fare figli.
Tuttaciò non toglie
però il fatto che la coppia, in quanto tale, poggi ineludibilmente su un
progetto comune. Quel che cambia, con la modernità, è che si apre la
possibilità di mantenere i contenuti spirituali della coppia (sentimento,
legame, amore) poggiandoli però su una base materiale diversa: non più
“crescere figli”, ma “fare cose importanti per i figli degli altri” (e anche
per i padri e le madri). Perché il progetto esistenziale su cui poggia la
coppia è poi la ragione nascosta a seguito della quale ci si innamora “di
quella” persona, tra le mille che incontriamo: perché proprio lei ci appare la
più adatta per realizzate assieme il nostro progetto di vita. Che questo di
solito non ci sia pienamente consapevole ma passi solo attraverso la sfera del
sentimento non cambia la sostanza del discorso.
È vero che, qualche
volta, ci si sbaglia: il perfetto genitore dei nostri figli, o il fantastico
partner per il nostro progetto di vita da scienziati, risulta a posteriori
inaffidabile, inadeguato, perfino indecente. Ma questo fa parte del gioco
umano: non abbiamo la sfera di cristallo, mai.
Ed è vero anche che,
qualche volta, le cose vanno storte: il partner ideale per la nostra esistenza
artistica diventa lentamente ma inesorabilmente cieco e non può più
supportarci, oppure il genitore ideale dei nostri figli scopre di essere
sterile. Qui siamo di fronte a deficit imprevisti e imprevedibili, a malattie
che si manifestano, o si scoprono, quanto ormai è tardi. Talvolta arrivano a
causare la fine del sentimento e della coppia stessa, altre volte le fanno
rivedere progetti, più spesso fanno assumere la consapevolezza della patologia
e spingono a provare a curarla.
L’ultima situazione,
però, è completamente priva di senso nel caso di una coppia omosessuale, che
non è malata, bensì diversa: la sua diversità consiste proprio
nel non essere una coppia procreatrice, di non esserlo fin
dall’inizio, mancandole – di principio e non per accidente – le
caratteristiche necessarie. Il sentimento che lega una tale coppia, perciò, o è
semplicemente distorto (frutto cioè dell’errore umano elencato prima, che ci fa
vedere il partner giusto laddove invece oggettivamente non lo è), oppure non
può che scaturire da tutt’altro progetto, così come da altro scaturisce quello
che lega coppie di artisti, scienziati e via dicendo.
Detto diversamente:
se uno dei due membri di una coppia omosessuale prova un sentimento genitoriale
ha semplicemente sbagliato partner: deve cercarne uno dell’altro sesso, uno
cioè adatto a realizzare il progetto procreativo. E, forse, deve anche
interrogarsi sulla sua omosessualità, per capire se sia vera, cosa la sostanzi.
Ciò significa che
rincorrere la genitorialità ha, per una coppia omosessuale, tutta una serie
conseguenze nefaste:
- fa perdere la consapevolezza della diversità della coppia rispetto a quelle eterosessuali, spingendola a scimmiottarle invece che a realizzarsi in modo originale e congruo;
- fa perdere anche senso e ragioni del sentimento che la lega assieme;
- rende la coppia dipendente e al tempo stesso sfruttatrice (spesso con scambio economico mercantile) di terzi, i fornitori del “servizio” procreativo;
- la rende perciò anche parassitaria delle esistenti situazioni di degrado (bimbi abbandonati, povertà o assenza di scrupoli emotivi di chi “vende” il servizio, ovvero il proprio figlio, ecc.), invece che farne un agente del loro superamento;
- torna a dare una parvenza di legittimità alla categoria della patologia per l’omosessualità, perché solo quella categoria permette di riconoscere bisogno ineludibile una cosa irrealizzabile di principio.
Dovrebbero essere le
coppie omosessuali stesse, pertanto, a opporsi a chi si batte per un presunto
loro diritto alla genitorialità, perché ne va della dignità della loro
diversità. E personalmente ne conosco diverse che si oppongono, ma
evidentemente non sono abbastanza, visto che il tema viene portato avanti
rivendicativamente a livello anche politico e che a breve il nostro Parlamento
potrebbe votare una legge che, in buona sostanza, istituzionalizza questo non
senso. Ovviamente – com’è normale nella nostra ridicola realtà politica – senza
una discussione che meriti di essere chiamata tale ma solo avanzando a spallate
tra partiti contrapposti.
Personalmente, da frequentatore
di omosessuali fin dall’adolescenza e da critico della famiglia – origine delle
più profonde e sofferte problematiche esistenziali che l’uomo porta con sé,
oltre che luogo ove avvengono il maggior numero di violenze – è proprio da
“coppie diverse” che mi attendo una spinta e una lungimiranza per superarla.
Sentire anche da loro riprendere, per giunta in modo incongruo, il tema del
“diritto alla genitorialità” è profondamente sconsolante.
Neri
Pollastri (sul suo blog www.filosopolis.wordpress.com)
Perché non sono d’accordo
Neri caro, per brevità non riprendo i molti punti su cui
concordo con te e vado dritto al punto di dissenso: per me sarebbe bene che uno
Stato democratico prevedesse anche per gli omosessuali la possibilità di
diventare genitori. Conosco le ragioni contrarie alla mia opinione (tra l’altro
il quotidiano “La Sicilia”, anni fa, contrappose in una stessa pagina le
interviste a Rosario Crocetta, attuale presidente della Regione – gay e
contrario – e a me, eterosessuale e favorevole): ma non mi convincono. Un
passaggio decisivo del tuo ragionamento mi pare questo: “se uno dei due membri
di una coppia omosessuale prova un sentimento genitoriale ha semplicemente
sbagliato partner: deve cercarne uno dell’altro sesso, uno cioé adatto a
realizzare il progetto procreativo. E, forse, deve anche interrogarsi sulla sua
omosessualità, per capire se sia vera, cosa la sostanzi”. Francamente mi chiedo
come possa scrivere una cosa del genere uno che, come te, conosce e frequenta
coppie omosessuali: per chi è tale, è forse possibile optare fra un partner del
proprio sesso e uno del sesso opposto? Sappiamo che non è così e che dunque
l’alternativa che ventili è irrealistica. Né mi pare che la tua tesi sia
rafforzata dalla precisazione successiva: se uno avverte il desiderio di essere
padre (o madre), perché dovrebbe mettere in dubbio la propria omosessualità? Si
tratta forse di sentimenti che si escludono? Conosco molte coppie che si
mettono insieme per attrazione reciproca, che a un certo stadio della loro
storia decidono di fare un figlio e che – sperimentando l’impossibilità fisica
di realizzare questa decisione – continuano la relazione di coppia senza
pentimenti e senza ripensamenti.
Posta la pari opportunità giuridica per coppie omo- ed etero-sessuali, ad entrambe suggerirei piuttosto (ma sarebbe appunto una “persuasione morale”) di ricorrere alla procreazione fisica solo come extrema ratio: prima si dovrebbe esplorare e verificare l’ipotesi dell’adozione di bimbi già nati e abbandonati. Se il sentimento della paternità/maternità è autentico – e non è il travestimento della propria tendenza al possesso e alla proprietà – può esercitarsi altrettanto bene con minori già partoriti da genitori irresponsabili o sfortunati.
Nella speranza di aver portato qualche argomento e poche opinioni in libertà, approfitto anche di questo medium per augurarti uno splendido 2016.
Augusto Cavadi
Resto contrario. E
spiego meglio perché
Caro Augusto, Buon
2016 anche a te! Le tue osservazioni mi servono a precisare le cose che
scrivevo.
Sì, a me pare proprio
che omosessualità e genitorialità siano cose che si escludono. Perché non ci si
innamora “della persona”, bensì di ciò che essa dischiude nella realizzazione
della nostra vita, quindi se sono attratto solo da persone con cui palesemente
non posso realizzare un progetto esistenziale come la procreazione, allora
questa non è compatibile con il mio orizzonte emotivo-sessuale. D’altronde,
prova un po’ a prendere una coppia omosessuale desiderosa di genitorialità,
mettila su un’isola deserta e guarda se la loro attrazione è o non è
incompatibile con la procreazione… La realtà, come sempre, mi pare assai più
istruttiva di tanti discorsi su astratti diritti…
Concordo con te che non si possa con ciò imporsi di farsi attrarre dal sesso che non ci attrae: l’universo del desiderio si sottrare alla volontà, al massimo può essere obbligato, ma non è una bella cosa.
Concordo con te che non si possa con ciò imporsi di farsi attrarre dal sesso che non ci attrae: l’universo del desiderio si sottrare alla volontà, al massimo può essere obbligato, ma non è una bella cosa.
Non concordo invece con l’idea che due sentimenti contraddittori ed esclusivi non possano che rimanere tali: i desideri non sono “puramente naturali”, anzi, se lo fossero non sarebbero mai né contraddittori, né esclusivi; sono, invece, prodotti da condizionamenti culturali, svelando i quali cambiano consistenza, si trasformano in altro. L’idea dell’assoluta priorità del sentire e della sua totale indipendenza dal cosiddetto “razionale” è il cancro culturale delle nostre società individualistico-emotiviste, è il cosiddetto “errore di Cartesio”, è l'”ama e non pensare” delle riviste di “folk psychology”.
Tagliando le cose con l’accetta, io penso che ci siano molti omosessuali con sentimenti per i loro partner coerenti alla loro omosessualità e altri invece che non li hanno coerenti. Questo creerebbe loro insormontabili sofferenze sulla summenzionata “isola deserta”; non trovandosi su quella ma in un consesso sociale, chiedono a questo un aiuto per fare quello che non potrebbero, come tutti gli altri, fare da soli. Esattamente come fanno i soggetti portatori di handicap. Con ciò squalificando la dignità di quella coppia per la quale si battono. E uno stato che, di fronte a questa confusione emotiva, invece che preoccuparsi di dissiparla, l’accetti e le vada incontro legiferando sulla base di diritti astratti concretamente irrealizzabili a meno dell’affiancamento di altri non sensi (ne elencavo altri nel mio intervento) è a mio parere uno stato inadeguato e pericoloso.
Forse capirai adesso perché il tema mi appassioni: non perché abbia niente contro gli omosessuali né perché tema il loro (fingere di) essere genitori mi preoccupi, ma perché questo è un esempio di abdicazione dell’intelligenza e del pensiero di fronte a (pericolosi) dogmi della cultura contemporanea, qual è quello della priorità e intangibilità del desiderio. Esistono a profusione “desideri sbagliati”, com’è secondo me la genitorialità in una coppia omosessuale, di fronte ai quali non è questione di dar loro una risposta né di appellarsi al “diritto individuale”, bensì è questione di favorire la comprensione delle ragioni (e anche delle cause) per cui sono sbagliati, e poi vedere se ne nascono “desideri giusti”.
Per inciso, questo, in primo luogo e fondamentalmente in modo essenziale, è il compito e il lavoro di un filosofo consulente.
Neri Pollastri
4 commenti:
Caro Neri Pollastri, mi permetto di essere in disaccordo con Lei quando afferma (senza tentennamenti): "Sì, a me pare proprio che omosessualità e genitorialità siano cose che si escludono." Le argomentazioni contrarie sono quelle di Chiara Lalli (per esempio, in) "Dolce e Gabbana e la finta famiglia naturale" http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/03/16/dolce-gabbana-boicottaggio
Un cordiale saluto e buon anno.
Carla Crivello
La tematica è davvero notevole e tira dentro istinto, ontologia, religione, sessualità. Tra le righe di Neri Pollastri scorgo Schopenhauer quando osservava che siamo zimbelli della specie, pulsione alla genitorialità mero decreto biologico all’umana perpetuazione attraverso gli “escamotage” dell’innamoramento e dell’attrazione-piacere sessuale, diktat per Schopenhauer onnipervadente che Pollastri circoscrive agli omosessuali. Si potrebbe, ad esempio, applicarlo alla mariologia cattolica e correlati surrogati di padri e figli “spirituali” surrogati di quelli biologici, ma è nella sua universalizzazione (eterosessuali potenzialmente procreanti inclusi) che l’argomento non perde di forza e di interrogarci.
Caro Augusto,
dato l'interesse della questione, posto qui il mio ultimo commento all'articolo di Neri Pollastri che tiene già conto del complesso dibattito svoltosi sul suo blog (e non solo tra me e lui).
Se tu (Neri)contesti alle coppie omosessuali, in quanto “coppie”, la rivendicazione di uno specifico o “speciale” diritto alla prole, non posso darti torto. Infatti, in base alle tue stesse argomentazioni, questo diritto non sarebbe superiore, ad esempio, a quello dei single.
Partiamo dalle seguenti ipotesi: 1. un single (uno zio ecc.) potrebbe fare la felicità di un bambino; 2. esiste un “generico” diritto alla felicità (sancito p.e. dalla Costituzione americana e implicitamente riconosciuto dalla filosofia, almeno nella versione aristotelica, a ciascun essere umano in quanto tale); 3. la felicità di un genitore (anche adottivo) non sarebbe piena se non vi corrispondesse la felicità del proprio figlio e viceversa (quest’ultima ipotesi si basa su una mia teoria circa l’inconsistenza della contrapposizione egoismo-altruismo che dovrebbe ovviamente essere ulteriormente approfondita e discussa).
Su queste basi una coppia omosessuale può rivendicare il diritto all’adozione non diversamente da un single ben intenzionato (l’ipotetico “zio”, preferibilmente non pedofilo).
E fin qui, credo, possiamo essere abbastanza d’accordo. O mi sbaglio?
La coppia omosessuale, tuttavia, potrebbe ritenere di realizzarsi, “come coppia”, come tu stesso scrivi, facendo “cose importanti per i figli degli altri”… ad esempio adottandoli. Non si tratterebbe più di uno specifico “diritto” in senso stretto, ma di una legittima aspirazione.
Si potrebbe forse evocare la sottile distinzione giuridica (tipica a mia conoscenza del solo diritto italiano!) tra “diritto soggettivo” (all’adozione; da negare agli omosessuali, “in quanto tali”) e “interesse legittimo” (alla medesima, ad essi riconoscibile).
Ultima nota: se anche le coppie gay avessero formale accesso all’adozione, come ad esempio i single, vi sarebbero comunque criteri di “priorità” per assegnare gli addottandi (disponibilità economica della coppia ecc., ma, perché no, l’essere o meno eterosessuale, ossia “tradizionale”), che potrebbero vederla svantaggiata.
Giorgio Giacometti
Volevo postare qui una sintesi delle mie osservazioni alle tesi di Pollastri sul tema della legittimità per le coppie gay di adottare bambini, ma nel frattempo queste osservazioni si sono trasformate in una vera e propria discussione tra me e me stesso, che ho "postato" direttamente sul mio sito. Mi permetto di rinviarvi per chi fosse interessato a proseguire la riflessione sul tema con ulteriori elementi e spunti.
cfr. http://www.platon.it/2016/01/10/e-giusto-che-coppie-gay-possano-adottare-bambini/
Giorgio Giacometti
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