“Centonove” 8.10.2015
IL CACCIATORE RCOPERTO DI CAMPANELLI
Un giornalista (fallito) di buona estrazione borghese è in una cella di
manicomio. Perché ci è finito? Il romanzo
- scritto in forma autobiografica – è il tentativo di risposta
narrativa. E scorre per intero sul registro linguistico
paradossale-ma-non-troppo della lucida follia, del matto che appare tale
essenzialmente perché non accetta la follia abituale su cui si adagiano i così
detti sani. Una mamma possessiva, una sorella anaffettiva, uno psichiatra
prigioniero dei parametri della ‘normalità’ sono solo alcuni dei fattori che
portano il protagonista - il
signor “B” – alla ribellione interiore, alla trasgressione esteriore e infine
alla detenzione. Egli sembra stritolato dalla contraddizione fra la sua
antropologia pessimista (“E’ caratteristico dell’uomo normale pensare soltanto
al proprio piacere, coltivare l’indifferenza e nuocere al prossimo senza
neppure accorgersene”) e l’aspirazione a un mondo diverso e migliore (“un modo
di vivere dal quale siano esclusi l’ingiustizia, la sciocchezza e la strage
degli innocenti”). Vuole attraversare questa contraddizione lacerante con le
sole armi della ragione (ritenendo falso, illusorio e deprimente tutto ciò che
denominiano “amore”) e finisce con l’essere “condotto all’assurdo da un eccesso
di ragione”. O, per lo meno, dall’essere così considerato dal contesto sociale
che preferisce l’ordine alla giustizia (proprio come il Dottor “A” il cui mondo
era “ordinato come l’armadio della biancheria di una borghese”, senza la minima
“mescolanza tra le mutande e le camicie, tra le calze e i fazzoletti”).
Il cacciatore ricoperto di campanelli
(Stampa Alternativa, Viterbo 2015, pp. 175, euro 14,00) non è un inedito. Era
già uscito, per i tipi della Mondadori, nel 1990 riscontrando un certo successo
per la somma di due motivazioni principali: lo stile, sanguigno e assai poco
accademico, e l’autore. Questi, infatti, era un siciliano - Giuseppe Lo Presti – che aveva
scritto il romanzo in carcere, dove era stato rinchiuso per varie azioni
criminali (compiute come militante del gruppo di estrema destra NAR) e da cui
uscirà qualche anno - dopo la pubblicazione dell’unica sua opera edita - per
gravi ragioni di salute che lo porteranno alla tomba, trentasettenne, nel 1995.
Ma è chiaro che, adesso, le vicende personali dell’autore non possono più
influenzare la sorte del libro: che vale ciò che vale indipendentemente dal
“luogo” in cui è stato concepito e generato.
Se oggi possiamo ritrovare in circolazione
quel testo letterario (abbinato all’inedito Vittorino
testa di bue, altro romanzo breve meritoriamente strappato all’oblìo) lo
dobbiamo a Salvatore Mugno che – scrittore egli stesso – non si stanca di
riportare alla luce, mettendole a disposizione di un più vasto pubblico, opere
poco conosciute o ingiustamente dimenticate. Egli ha inoltre arricchito questa
nuova edizione con un ampio saggio critico che dà conto anche dei giudizi
lusinghieri espressi da autorevoli lettori come Aldo Busi e Geno Pampaloni.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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