“Centonove”, 27.9.2015
VECCHI OMICIDI DI … VELLUTO
Sergio Velluto ha già mostrato, con il
triller Il pretesto (Claudiana,
Torino 2011), propensione e stoffa per
i romanzi storici. E, in attesa del secondo volume della medesima saga
sui codici valdesi, ha dato alle stampe questo Vecchi omicidi (Web & Com, Torino 2013) che gioca su due piste
temporali: la contemporaneità e gli anni della resistenza antinazista fra il
1943 e il 1945. Poiché anche questo romanzo appartiene al genere “giallo” non
possiamo dire come, e perché, si incrociano le esistenze di due signori molto
anziani: Renato, ingegnere in pensione dopo decenni di lavoro in Fiat, e un suo
coetaneo ebreo – di cui non
conosciamo il nome – emigrato negli Stati Uniti d’America da bambino perché rimasto
orfano di guerra. Ciò che invece possiamo dire è che anche questo racconto di
Velluto riesce ad avvincere il lettore sin dalle prime pagine e sorprenderlo
con colpi di scena imprevisti. Sullo sfondo si avverte lo sguardo panottico dei
servizi segreti israeliani e vaticani : l’onniscenza di questi ultimi, a
differenza del Mossad, si estende non solo nello spazio ma anche nel passato.
Qua e là non mancano scorci di dinamiche sentimentali e di esperienze erotiche,
a riprova che la grande storia non cancella le microstorie private di cui è
invece intessuta.
Le vicende narrate, senza
minimamente mettere in dubbio chi avesse ragione e chi torto nella Seconda
guerra mondiale (in particolare, in Italia, fra “partigiani” democratici e
“repubblichini” fascisti), evidenziano comunque che le sofferenze implicate da
ogni guerra si distribuiscono equamente fra chi vince e chi perde: che, dunque,
in ogni ipotesi, ci sono giochi in cui – come sentenzia il cervellone
elettronico del film Joshua citato da
Eva, la bella figlia di Renato – “l’unica mossa vincente è non giocare”. In
situazioni di guerra non solo si patisce, ma si fa patire dolore agli altri. Si
dà il peggio di sé. Lo ricorda la saggezza di una casalinga, sposa e madre:
“Non crediate di essere migliori di loro. Anche noi siamo molto vicini a toccare
il fondo”. “Loro” sono i fasci-nazisti; “noi” i resistenti e la popolazione
civile.
Se è così, dopo ogni guerra
bisognerebbe che, da una parte e dall’altra, si sbarrasse una pagina e se ne
aprisse una nuova. Nel senso non di
seppellire nell’oblìo i caduti, ma di sradicare ogni – sia pur legittimo
e umano – risentimento. Come
insegna anche questo romanzo, la vendetta ha sempre la mira sbagliata: per
quanto mossa da intenti accettabili (“La mia non è una vendetta, è solo
un’azione necessaria per rimettere le cose nel loro giusto ordine”), spesso
finisce con lasciare indenne il vero colpevole e abbattere gli innocenti.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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