“Repubblica – Palermo” 4.8.2015
ADDIO A MONSIGNOR CASSISA, ARCIVESCOVO AMICO DEI
POTENTI E CONTESTATO DAI FEDELI
Per quasi un ventennio (1978 – 1997) mons. Salvatore
Cassisa è stato l’arcivescovo di Monreale, una delle più vaste e ricche diocesi
della Sicilia, il cui territorio va dal trapanese al corleonese. Il Concilio
Vaticano II, conclusosi nel 1965, aveva diviso i prelati in due
schieramenti abbastanza netti:
alcuni avevano preso sul serio l’invito a vivere il ministero pastorale in
sobrietà e distanza critica dai poteri civili; altri, ritenendo questa
conversione un indebolimento dell’influenza sociale della Chiesa, avevano
ritenuto opportuno mantenere lo stile pre-conciliare di un cardinal Ernesto
Ruffini. Cassisa non ebbe dubbi su quale versante riconoscersi e, con una
sincerità che poté talora risultare sfrontata, non fece nulla per nascondere le
sue relazioni con i potenti dell’isola. Alcuni ruoli istituzionali, più o meno
strettamente legati alla sua funzione episcopale, lo costrinsero quasi a
tessere un’intricata tela di rapporti impegnativi. Intanto come Presidente (e pressocché
dominus unico) della Fabbriceria del
duomo, una sorta di cantiere perenne che ha macinato, durante gli anni di
Cassisa, almeno quarantacinque miliardi di lire di contributi finanziari
pubblici tra lotta alle termiti, interventi di restauro e “investimenti per
l’occupazione”. Poi come Priore dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro,
organizzazione fortemente elitaria dal punto di vista sociale di cui hanno
fatto parte, durante il priorato dell’arcivescovo, funzionari dello Stato come
Bruno Contrada e imprenditori come Arturo Cassina, per decenni “re degli
appalti” nella Palermo democristiana. Rinomati i suoi ottimi rapporti anche con
scienziati di fama internazionale come Antonio Zichichi.
Da buon siciliano, Sua Eccellenza non si è mai rifiutato di dare una
mano né ai parenti né agli amici. Non potranno certo accusarlo di scarsa
generosità le sue due nipoti che, grazie a piccoli risparmi e a qualche
regaluccio dello zio, sono riuscite a costruirsi due ville di settecento
milioni di lire ciascuna . Celebre, poi, la protesta di Leoluca Orlando quando
fu da lui pressato invano affinché versasse un centinaio di miliardi delle
casse comunali al Luogotenente dell’Ordine del Santo Sepolcro, Arturo Cassina,
per lavori che il sindaco di Palermo ritenne mai eseguiti. Lo stesso Orlando che rinunciò ad accogliere
papa Wojtyla all’aeroporto di Punta Raisi, nel 1995, per la presenza di Cassisa,
in quel momento nel pieno di una tempesta giudiziaria.
Da parte loro, poi, anche i beneficiati dell’arcivescovo sono stati spesso
fedeli: il giorno dopo l’assassinio di Salvo Lima, Cassisa espresse ai cronisti
tutto il proprio dispiacere per la fine di “un amico che, proprio alcuni giorni
fa, è corso in arcivescovato perché avevo bisogno di chiedergli un
favore”. (In realtà,
l’eurodeputato democristiano era anche un mezzo parente da quando un suo cugino
in seconda aveva preso in moglie una delle nipoti dell’arcivescovo).
Come tutte le personalità dai tratti
forti, anche Cassisa ha avuto i suoi critici e i suoi avversari. A qualche
giornalista, ad esempio, non fece ottima impressione una fotografia, proprio
all’ingresso del duomo, dell’arcivescovo con il papa (casualmente in secondo
piano). Qualche ex-tossicodipendente ricorda di aver ricevuto con un pizzico di
delusione, insieme ai suoi compagni, il dono per ciascuno di loro da parte dell’arcivescovo
in visita alla comunità di recupero di Pagliarelli: una foto gigante del
presule benedicente con lo stesso gesto del Cristo Pantòcrator dell’abside
della cattedrale di Monreale. Le accuse di monsignor Giuseppe Governanti (ex
presidente del Tribunale ecclesiastico regionale), riguardanti tangenti del venti per cento sui lavori
di restauro del duomo, costrinsero le procure di Palermo e di Milano a indagare
sul presule (che, comunque, uscì prosciolto, a differenza di Angelo Siino,
ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, condannato per gli stessi reati). L’arcivescovo
tentò di punire in maniera esemplare il suo presbitero che aveva “intaccato, svilito e pregiudicato, il
prestigio e la funzione dell'autorità diocesana", ma dovette fare marcia
indietro quando i parrocchiani di Governanti misero nero su bianco una lettera
indirizzata direttamente a Giovanni Paolo II. Se la
giustizia umana fu propizia (in altra occasione la Cassazione annullerà le
condanne per truffa all’Unione Europea in due gradi di giudizio) , molto più
severo si rivelò il giudizio del Vaticano che lo sostituì, con il cardinale
Pappalardo, nella carica di Priore dell’Ordine dei Cavalieri e gli
rifiutò qualsiasi proroga al compimento dei 75 anni. Furono dimissioni
laboriose con strascichi pirandelliani. L’arcivescovo, infatti, in vista del
pensionamento si era fatto ristrutturare un piano della curia con vista sull’ex
Conca d’Oro e lì continuò a ricevere clero e laici, in imbarazzante condominio
con i due vescovi successivi: Pio Vittorio Vigo e Cataldo Naro. Quest’ultimo –
notissimo e apprezzato storico dei rapporti fra Chiesa cattolica e cosche
mafiose - si oppose decisamente all’anomala convivenza e
ottenne dalla Congregazione romana per i vescovi un decreto ingiuntivo di
sfratto (pena la sospensione a divinis). Ma, secondo alcuni suoi intimi, la
tensione con l’ingombrante predecessore non fu estranea all’infarto cardiaco
che ne interruppe tragicamente la missione, a neppure sessant’anni, due giorni
prima che il decreto entrasse in vigore.
Un saggio a firma del filosofo del diritto della Sapienza di Roma,
Francesco Mercadante, ha reso pubbliche nel 2010 delle lettere esplosive. Da
una parte Cassisa che scrive al cardinale Re, suo referente a Roma: “Qui
a Monreale Naro non è al posto giusto.Si cerchi un’altra sede, si provveda
dall’alto”; dall’altra Naro che scrive a un amico: “Io temo che il cardinale Re
stenti a considerare che nella mia diocesi sono comprese capitali della mafia”.
Dove riposeranno le spoglie dell’Emerito che la Provvidenza ha voluto mantenere in vita sino ai 94
anni? Scartata una prima ipotesi da lui vagheggiata (una cripta nel duomo,
sotto la tomba in porfido di Guglielmo I il Malo e quella in marmo bianco di
Guglielmo II il Buono, gli ultimi re normanni in Sicilia), si era poi
accontentato di una tomba sotto la cappella di San Placido: ma da allora sono
passati alcuni decenni e tre
successori (di altra pasta e con altre concezioni ecclesiologiche). Basterà
attendere poche ore per saperlo con certezza.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
Ieri, quando ho appreso della morte di Cassisa dai media, il mio pensiero è corso alla sua controversa, ambigua e particolarissima azione episcopale.
Una fotografia nitida ed eloquente quella che Augusto fa del "Cardinale Re", come lo ha chiamato Cataldo Naro. Poi uno si chiede: ha avuto tanti anni post pensionamento per riflettere, avrà mai avuto qualche dubbio sul modo non perfettamente evangelico con cui ha esercitato il suo ministero, ad esempio perchè più vicino ai potenti che ai poveri?
Caro Pietro, ti segnalo un equivoco: il cardinale Re era un personaggio vero, starei per dire reale, a cui scriveva l'arcivescovo Cassisa (che NON era cardinale) e a cui si riferiva monsignor Naro. Dunque NON era un modo ironico di chiamare Cassisa...
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