COME E’ ANDATA LA XVIII
EDIZIONE (nuova serie) DELLE “VACANZE FILOSOFICHE PER NON…FILOSOFI” A CAVALESE (Trento) DAL 21 AL 27 AGOSTO
2015 ?
La
mattina di giovedì 27 agosto (2015) si è chiusa l’ennesima “Vacanza filosofica
per non…filosofi” svoltasi a Cavalese (Val di Fiemme, provincia di Trento). E’
stata una settimana di bel tempo, con passeggiate, gite, escursioni in funivia
e seggiovia, qualche festa popolare serale e persino un dopo-cena
auto-organizzato di sckech e canzoni…Quando, nel bilancio conclusivo, qualcuno
ha detto che si è trattato dell’edizione più bella degli ultimi dieci anni, mi
è venuto spontaneo pensare: ma se questa dichiarazione è stata espressa anche
altri anni, vuol dire che il trend di
questa pratica filosofica è decisamente in salita !
Comunque sia, è certo che quest’anno si è vinta una bella scommessa. Il
tema della settimana (“Democrazia: realtà o utopia?”) si prestava almeno a un
duplice errore: o ribadire, retoricamente, le lodi della democrazia oppure
criticarla a colpi di obiezioni dettate dalla squallida cronaca quotidiana. Mi
pare, invece, che l’alto gradimento dell’esperienza di riflessione e di confronto
sia dovuto sia alla problematicità
teoretica con cui il tema è stato sviscerato dai tre relatori sia alla sobrietà con cui sono stati suggeriti
dei riferimenti all’attualità (riferimenti tanto più opinabili quanto più
distanti dai nodi teorici, come la proposta di spezzare l’identificazione “una
testa – un voto” o la tesi della
sostanziale anti-costituzionalità di qualsiasi metodo elettorale che non sia il
proporzionale puro).
Che anche questa edizione sia stata molto apprezzata non esclude, ovviamente,
che la struttura e la metodologia dei seminari possano essere sottoposte a
revisione sperimentale: alcune proposte in tal senso sono circolate (a mio
avviso sarebbe stato preferibile che fossero state formalizzate in momenti più
‘ufficiali’ e indirizzate soprattutto a chi - dopo il passaggio di consegne da me a Elio
Rindone – ha la regia scientifica e organizzativa).
Nell’impossibilità di sintetizzare i sei giorni di informazioni e
discussioni, mi limito - a
beneficio della mia memoria e dei tanti lettori di questo blog che mi hanno
chiesto affettuosamente aggiornamenti sul tema – a qualche riga molto succinta.
Nei primi tre incontri Elio Rindone (Roma) ha ripreso alcuni studi
recenti (soprattutto di Canfora e Zagrebrelsky) per evidenziare come la
“democrazia” in Grecia, nel senso contemporaneo del termine, non sia mai
esistita. Nel vocabolario ufficiale designava un regime patologico, degenerato:
lo strapotere della classe popolare (demos)
rispetto alle classi aristocratiche e plutocratiche. Per nominare qualcosa che
si avvicina alla nozione odierna di “democrazia” alcuni pensatori greci hanno
coniato il vocabolo polithia che
designava una sorta di regime misto in cui un “signore” (o una ristretta
cerchia di aristocratici) governava non in aperto contrasto con le classi
popolari, ma in una qualche forma di cooperazione. L’Atene di Pericle è stata
dunque un “principato” a partecipazione popolare: ma forse anche oggi negli
Stati così detti “democratici” -
ha suggerito Elio - è una ristretta cerchia di oligarchi a manovrare - con il consenso formale delle
maggioranze – la storia dei popoli. Le riforme costituzionali tentate o
realizzate dai governi Berlusconi e Renzi sembrerebbero andare in questa
(pericolosa) direzione.
Nei successivi quattro incontri Francesco Dipalo (Bracciano) ha
focalizzato alcune aporìe della democrazia effettiva. Il principio di
rappresentanza è un principio liberale, non democratico. Solo dopo la seconda
guerra mondiale il filone liberale e il filone democratico si sono
tendenzialmente congiunti nel regime liberal-democratico. Ciò non ha impedito
che, sempre nel XX secolo, il vocabolo “democrazia” sia stato declinato in
accezioni diverse dal registro liberale: per esempio nel nazional-socialismo e
nel socialismo sovietico. Questa gamma di accezioni semantiche è legata alla
polivocità della parola “popolo” e alla differenza fra “democrazia formale”
(come metodo, come tecnica) e “democrazia sostanziale” (come uguaglianza
tendenziale dei cittadini anche dal punto di vista delle opportunità
economiche, sociali, sanitarie, di istruzione…). Comunque, mentre discutiamo di
questioni ‘interne’ alla democrazia, non pochi studiosi parlano - con toni in genere allarmati – di
“post-democrazia”: uno spazio inedito dove i rischi sembrano di gran lunga prevalere
sulle possibilità che si aprono.
I tre incontri conclusivi sono stati
guidati da Giorgio Gagliano (Palermo) che ha esposto, criticamente, tre saggi a
diverso titolo illuminanti. Nel primo saggio Searle ricorda che ogni
istituzione vive nella misura in cui la collettività lo consente: persino i regimi
tirannici ci sono se, e sino a quando, la maggioranza della popolazione lo
vorrà (attivamente o passivamente). Nel secondo Krippendorff insiste sulla
necessità di fondare la politica su solide basi etiche, ma tali basi - a loro volta – su una forte ispirazione
estetica: le arti, e la musica in particolare, possono dare alla società le
energie indispensabili a vivere la politica da co-protagonisti e non da
sudditi; possono insegnare “l’arte di non essere governati”. Il terzo e ultimo
saggio (“Destra e sinistra” di Norberto Bobbio) ci ha ricordato che la
“democrazia” è il luogo di scontro-confronto di due prospettive ideologiche: la
“destra” e la “sinistra”. Molte le contaminazioni (talora auspicabili, più
spesso adulteranti) fra i due schieramenti, ma con una chiara linea di
separazione: la “destra” constata le differenze ontologiche fra i cittadini e
le cristallizza in “diseguaglianze”, la “sinistra” constata le differenze
ontologiche fra i cittadini e prova ad attenuarle in nome della tendenziale “uguaglianza”.
Personalmente, tra tante
considerazioni, ne porto a casa una. La democrazia è una “realtà” ma
soprattutto una “utopia”: si
tratta di una utopia auspicabile, desiderabile ? Qui mi capita di confondere i
miei sogni con le mie conoscenze. Se gli esseri umani fossimo sani, sinceri,
generosi, la democrazia (soprattutto nelle sue forme estreme come l’anarchia)
sarebbe il regime migliore. Ma poiché non c’è dubbio che siamo anche
esseri malati, ipocriti, egoisti non è per nulla detto che il massimo della
democrazia ‘formale’ sia una méta per cui lottare effettivamente (almeno nel
breve periodo: due o tre secoli…).
Con disappunto sentimentale, emotivo, ciò che ho capito del “legno
storto dell’umanità” mi induce a ritenere che anche in ambito politico l’ “ottimo” può essere nemico del “bene”; che il vestito splendido della
democrazia diretta e universale possa non calzare a pennello sul corpo deforme dell’umanità concreta (finendo con il rovinare sia
il vestito sia il corpo da vestire); che, in nome della conoscenza lucida,
bisogna avere il coraggio di riconoscere l’oniricità dei nostri sogni e la
saggezza per lottare affinché, in ogni fase dell’umanità, si abbia il massimo
di democrazia praticabile (che, purtroppo, non coincide - e forse non coinciderà mai – con il
massimo di democrazia auspicabile). Bisogna avere l’onestà di affermare (contro
ogni asserzione più coinvolgente, più appassionante) che in molti campi il
riformismo è più rivoluzionario delle rivoluzioni. Nella biografia individuale dare
a un bambino o a un adolescente l’intera auto-determinazione sarebbe più un
gesto malevolo che benevolo: è attraverso una libertà sempre meno condizionata
e limitata che può essere accompagnato alla maturità come età dell’assoluta
auto-determinazione. Così, se non sbaglio troppo, per la biografia della specie
umana: siamo ancora tra l’infanzia e l’adolescenza. Dare a tutti gli uomini
l’intera responsabilità del pianeta e di sé stessi sarebbe prematuro e dannoso (pensatori di primo piano, come Hans Jonas, pongono senza falsi pudori la questione).
Per Marx siamo alla preistoria di ciò che sarà un giorno la storia
dell’umanità. Aveva ragione, ma
proprio per questo mi stupisce che si sia illuso che bastasse una rivoluzione ‘puntuale’ per segnare il passaggio
repentino dalla preistoria alla storia (come le vicende tragiche dell’Unione
Sovietica si sono incaricate di dimostrare): forse gli è stato fatale credere
che la contrapposizione fosse fra ricchi e poveri, non tra titolari di potere e
privi di esso ( avendo ritenuto, per dirla con Dahrendorf, che il potere fosse
una forma di ricchezza e non – come è davvero – la ricchezza una forma di
potere). Il vero e indilazionabile obiettivo non è che tutti abbiano gli stessi
diritti civili e politici: ma che tutti, con il contributo faticoso e diuturno
di ognuno di noi, ne diventino degni.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com