domenica 5 luglio 2015

QUANDO GLI STUDENTI INSEGNANO...L'ESPERIENZA DI ROSARIA CASCIO A PALERMO


“Centonove”
2.7.2015

QUANDO GLI STUDENTI INSEGNANO


Una scuola “buona” ha bisogno di aule pulite, luminose, protette dall’eccesso del caldo e del freddo. Di bagni decenti (difesi da punizioni esemplari per i ragazzi che li imbrattino). Di palestre attrezzate, di laboratori scientifici aggiornati, di biblioteche aperte dodici ore al giorno. Di…Ma soprattutto ha bisogno di insegnanti adeguati.  Che significa discretamente preparati nella propria disciplina ma, ancor più, appassionati di essa. E così sinceramente rispettosi  degli alunni da consentire il contagio della passione, senza lo schermo della conflittualità emotiva. Preparazione, passione, rispetto: certo, se poi c’è dell’altro (simpatia, tenerezza, senso dell’humor, pazienza…) meglio ancora. Ma l’essenziale è in queste tre qualità.
Quanti sono gli insegnanti in questo senso adeguati al ruolo? Dopo sessant’anni di vita scolastica (da alunno e poi da docente) mi sbilancerei per un cinquanta per cento: abbastanza per non far crollare l’istituzione scolastica, troppo poco per assicurare al Paese un futuro dignitoso. Se poi ci si chiedesse come potrebbero i nuovi docenti imparare il mestiere e adeguarsi al compito, risponderei: innanzitutto con l’osservazione ravvicinata dei colleghi più anziani che abbiano le caratteristiche richieste. L’arte si impara, essenzialmente, in bottega. Un’altra possibilità è leggere racconti esperienziali di colleghi che – con tutti i limiti e le imperfezioni – possono considerarsi validi modelli di riferimento. Io pretendo la mia felicità (ho pagato tanto e adesso me la merito), a cura di Rosaria Cascio (Navarra, Marsala 2015, pp. 80, euro 8,00) è uno di questi racconti di vita scolastica che possono alimentare, senza enfasi fuoriluogo, una vocazione pedagogica. Nel volumetto, infatti, l’insegnante di lettere cuce  - con il filo rosso della narrazione di un anno in aula – testi scritti da vari alunni proprio in vista della pubblicazione di un libro che ne rappresenti progetti, timori, emozioni, sofferenze.
L’idea-guida è esposta nella Prefazione di Pia Blandano, la  Dirigente scolastica dell’istituto (il Liceo psico-pedagogico “Regiona Margherita” di Palermo): “Qualsiasi intervento formativo si qualifica sempre come autotrasformazione di tutti gli attori (alunni, insegnanti, genitori ecc.) che entrano, direttamente o indirettamente, con finalità e modalità differenti, nel sistema oggetto d’intervento”. E, in effetti, da un’ora di lezione o di correzione di compiti d’italiano a casa, non si esce così come vi si è entrati: si agisce, si reagisce, si viene ‘agiti’.
La gamma degli stati d’animo esistenziali è vasta. Dalla insoddisfazione (“Ho bisogno di voler cambiare, non mi sento accettata dal mondo, mi sento sola anche in compagnia, mi sento inutile”) al disagio di essere straniero (“Con il mio trasferimento qui a Palermo, ho subito capito che i rumeni non stanno molto simpatici agli italiani, per vari motivi, forse a volte è anche la televisione che esagera un po’ troppo e poi ho capito che gli italiani son così, si fanno ingannare dalle apparenze”); dal dolore per un lutto (“Otto mesi fa se n’è andata mia nonna. E’ stata una delle esperienze più brutte. In quegli attimi in cui la vedevo nella barella, rimpiangevo di non aver passato più tempo con lei, e a pensarci, rimpiango ancora, amaramente”) alla gioia di sperimentare i primi innamoramenti (“Lei non è solo un’amica, ma ualcosa di più. Tengo a lei in una maniera incommensurabile, come se fosse mia figlia, anche se non so cosa si prova ad avere dei figli, ma penso sia la cosa più bella che nasca dall’amore di due persone. Si è sempre presa cura di me. Con lei non mi preoccupo di parlare di nulla, abbiamo moltissima confidenza. Penso che rapporto più bello di questo non esista”). Anche la presenza di Angelo, il compagno “con qualche problema in più di noi”, diventa silenziosa lezione di vita: “Penso che sia una fortuna avere Angelo in classe con noi perché quando qualcuno prenderà in giro questi ragazzi un po’ meno fortunati non credo che ce ne staremo zitti, piuttosto gli faremo capire che anche quei ragazzi hanno un cuore, dei sentimenti, sono come dei bambini innocenti che non sanno cos’è il male, la cattiveria”.
Anche nella I E (come in molte classi del Meridione italiano), in vista delle feste di natale, arriva puntuale la febbre della contestazione. Lo sguardo di Rosaria Cascio si rivela qui particolarmente lucido: noi insegnanti “per ogni protesta fatta abbiamo ottenuto soltanto la detrazione dallo stipendio per la giornata di sciopero e, a lungo andare, ne abbiamo perso il senso e il valore. Ma voi no, voi non perdete la voglia anche se dietro a quell’improvviso senso di ribellione alberga, camuffata, una diversa voglia di mettere in mostra tutta la vostra tempesta ormonale spaventosamente in atto. […] Sempre meno si scrivono proposte ed ncor meno si chiedono audizioni nei palazzi del potere che, faranno pure ribrezzo, ma restano pur sempre i luoghi delle decisioni. Sulla scuola e sulle nostre teste. Alcuni di voi prendono la cosa sul serio; altri – soprattutto i più piccoli – ne approfittano per nascondere, sotto l’impegno dei grandi, la possibilità di divertimento e di libertà senza pericolo”.
Il libro si chiude con la testimonianza dell’ultima arrivata (a gennaio, dopo più di tre mesi di scuola): “Ehi turca ! Queste sono le parole che spesso mi sento dire. Queste parole ogni giorno mi feriscono sempre di più. Essere una di colore non vuol dire essere diversa. Io amo la notte, perché di notte tutti i colori sono uguali ed io sono uguale. Ho sempre lottato contro il razzismo; fin da piccola le persone non mi hanno mai accettato e penso che non mi accetteranno mai per quella che sono. Sono stufa di essere guardata dalla testa ai piedi solo perché sono nera…il razzismo esiste ovunque vivano gli uomini. Il razzismo è nell’uomo; si è sempre lo straniero di qualcuno…Alcuni pensano che noi neri non abbiamo un cuore invece ce l’abbiamo e soffriamo come tutti gli altri, non importa se la mia pelle è diversa dalla tua. Quello che conta è ciò che abbiamo dentro…un cuore è il mio ed è uguale al tuo. Dopo la strage dei migranti a  Lampedusa sentire dire: ‘Erano troppi; ora abbiamo poche bocche da sfamare’. Come si fa ad essere tanto crudeli? Già mi rattrista il cuore pensare al numero dei morti. La confusione lascia spazio al silenzio davanti alle immagini di quelle vite spezzate…forse per venire qua a trovare un lavoro e mandare del denaro alle famiglie. Prima che arrivassero i bianchi in Africa noi eravamo cittadini e anche se non sapevamo mangiare con le posate, non conoscevamo la fame. Oggi invece siamo solo dei “clandestini” che vengono nel loro paese a rubare il lavoro quando loro sono stati i primi a derubarci di dignità. Credo che il mondo deve essere un pianoforte che da testi neri e bianchi estare una dolce melodia…Non tutti i bianchi o neri sono razzsti e questo l’ho capito da come i miei nuovi compagni mi hanno accetatta per quello che sono. Mi fanno sentire una di loro ed è un sentimento bellissimo che dopo anni e anni finalmente mi sento me stessa: Il mio nome non è ‘turca’ …”. Insomma: la scuola come casa di risonanza delle dinamiche sociali, ma forse anche – in minima parte – agenzia di trasformazione delle coscienze e, in prospettiva, delle dinamiche sociali stesse.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

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