“CENTONOVE”, 2015
MIA CARA NOSTALGIA
“Mia cara nostalgia rimani
con me/non devi lasciarmi mai solo./[…] In tarda serata andremo a
casa,/dormiremo insieme abbracciati come sempre/e ti racconterò una bella
poesia / dedicata a te, mia cara nostalgia”. Che non sia proprio lei, questo
sentimento così intimo e così pervasivo, il “vero amore” a cui il poeta
pakistano Umeed Ali dedica la raccolta di composizioni liriche Bilancio
interiore (Morlacchi, Perugia 2014, pp. 114, euro 10.00)? Poiché gira
per l’Italia con i suoi volumetti da proporre, con discrezione, agli
interlocutori più o meno occasionali, è possibile chiedere la risposta alla
curiosità direttamente all’autore.
Diciamolo subito: non si
tratta di poesie imperdibili. O, se lo sono in una delle sue lingue
originariamente familiari ( urdu, saraiki, punjabi), non riescono altrettanto
suadenti nelle due lingue in cui sono pubblicate in questa edizione: l’inglese
e l’italiano. Tuttavia esse veicolano belle immagini e, soprattutto, intense
esperienze esistenziali. Belle immagini
come quelle adottate per evocare un antico amore (“Forse più non ricordi/quando
non potevo dormire senza sfiorare/ la tua mano./ Forse più non ricordi/ quando
neanche il vento poteva passare/ tra di noi”) o per cantare un amore attuale
(“Balla un po,/ ché si ferma il vento/ per guardare il tuo movimento./ Apri gli
occhi/perché le stelle possano vedere/la tua brillantezza”) . Intense esperienze esistenziali come
autore (“E’ difficile riuscire a trasmettere i sentimenti/ in una lingua
straniera, / perciò mi manca sempre qualche parola giusta/ o qualche frase,/ ma
quando finiscono queste lontananze, di lingua e colore, / siamo tutti
vicinissimi”) e, prima ancora, come migrante (“La povertà e la dignità./ Mi
trovo sempre in gabbia,/ in questi pesanti problemi uniti, / forse mi hanno
scelto tutti e due insieme,/ perché nessuno di questi due mi vuole lasciare.
Neanche vanno d’accordo l’uno con l’altro/ perché sempre la povertà fa male
alla dignità./ La dignità non dà valore alla povertà:/ come deve vivere in una
società materialista/ un pobero sensibile e pure dignitoso?”).
Come è stato notato da
altri, noi Occidentali – quando non ignoriamo del tutto la condizione degli
immigrati – ci concentriamo sul problema della accoglienza e (parola assai
ambigua) dell’integrazione: ma siamo sicuri che non ci si debba porre anche la
questione complementare dell’ascolto da parte nostra, di ciò che possiamo
imparare da queste culture lontane che ci vengono veicolate da corpi spesso
martoriati? “Tutti: neri, bianchi, rossi e gialli/ dal mio punto di vista è che
siamo tutti uguali. / Ali poeta pakistano vi lascia questo messaggio:/ questa
nostra vita è come un viaggio…”. Lo sguardo dell’altro può illuminare la nostra
condizione collettiva e aiutarci a comprenderla meglio di quanto possiamo fare
noi che vi siamo, da sempre, calati dentro: “Sto svendendo la mia vita/ in una
società triste/dove il sole non ha colore/ i fiori non hanno odore/e la gente
non ha cuore/non ha tempo di guardare/non ha tempo di ascoltare”.
Augusto Cavadi ( www.augustocavadi.com )
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