“Centonove”
4.6.2015
QUANDO L’EUCARISTIA E’ MAFIOSA
Le prese di posizione di papa Francesco contro la ‘ndrangheta hanno, ancora una volta, riaperto
l’annoso dossier dei rapporti fra
Chiesa cattolica e organizzazioni criminali di stampo mafioso. Per rinfrescare
la memoria su alcuni dati storici, e per aggiornare l’informazione su eventi
recenti, può riuscire senz’altro utile il recente saggio di Salvo Ognibene, L’eucaristia
mafiosa. La voce dei preti (Navarra, Marsala 2014, pp. 126, euro
12,00). Nonostante il sottotitolo, le persone intervistate non sono soltanto
preti, ma anche una suora e alcuni laici; di particolare interesse la
testimonianza di un collaboratori di giustizia, l’ex-‘ndranghetista Luigi
Bonaventura (“Io mi sono rivolto ad un prete, che si chiama don Mariano, quando
volevo collaborare e avevo dei contrasti con la mia famiglia. Più che
invogliarmi cercava di scoraggiarmi. Durante questo percorso, e con tutte le
difficoltà, mi sono rivolto anche ad altri preti, ma non c’è stato verso”).
Il
quadro che emerge non è monocromo. Ognibene non nasconde né le ombre né le
piccole luci evitando le demonizzazioni come le apologie d’ufficio. Cita
infatti cecità, ritardi, connivenze di ambienti ecclesiastici, ma anche i casi
di quei ministri di culto che vivono, prima di tutto, la funzione di pastori
del gregge capaci di affrontare – per difenderlo – anche i lupi più rapaci.
Se la
diagnosi è abbastanza chiara, meno evidente l’eziologia: quali presupposti
storici e teologici hanno reso possibili queste connivenze fra annunziatori del
vangelo e utenti della lupara? Non si tratta di un’indagine oziosa: solo si
decifrano alcune cause del fenomeno si può sperare di approntare delle terapie
adeguate.
Un’indicazione, per così dire involontaria, l’ho trovata nelle
dichiarazioni di un prete dell’Emilia-Romagna, monsignor Giovanni Silvagni: “Una
certa difficoltà affinché nella comunità cristiana si infiltri qualcosa di meno
limpido” va ricercata nel fatto che “la chiesa da noi è veramente un luogo di
poco potere, poco giro di denaro, poco clientelismo, non è il luogo in cui si
fanno le raccomandazioni. Oggi le raccomandazioni di un prete qui da noi non
contano niente”. Letta in controluce questa dichiarazione ci dice che le chiese
meridionali sono appetite dalle mafie perché la secolarizzazione non le ha
ancora abbastanza private di denaro e di potere clientelare. E che, in
prospettiva, saranno meno inquinate da presenze mafiose man mano che perderanno
potere economico e politico. Certo, sarebbe bello se questa spoliazione non
avvenisse come conseguenza meccanica dell’evoluzione storica ma fosse
accelerata dalla consapevolezza evangelica che l’unica ricchezza dei cristiani
dovrebbe essere la forza della solidarietà con i più poveri e i più deboli
della società.
In
questa direzione, tra l’altro, vedrei la soluzione più saggia alla controversia
sulla scomunica ai mafiosi. Come risulta anche dalle pagine di questo libro,
alcuni la criticano dal punto di vista “buonista” (la Chiesa deve essere madre
misericordiosa e non condannare nessuno); altri dal punto di vista “cinico” o
“realista” (i boss se ne fregano di essere scomunicati). A mio avviso,
bisognerebbe capovolgere il punto di vista e chiedersi come fare in modo che i
mafiosi si scomunichino da sé: come fare in modo, intendo, che essi si
allontanino dalle chiese e dalla sacrestie. La risposta è di nuovo la stessa:
rendendo le comunità cristiane talmente pacifiche, talmente lontane dagli
affari economici e dagli intrallazzi elettorali, da renderle poco appetibili
per i criminali. Una chiesa libera e fraterna apparirebbe alle mafie non un
modello gerarchico da imitare, ma un luogo di matti da evitare con cura.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
Grazie Augusto per le tue sempre limpide riflessioni. Un abbraccio dal "lontano nord".
Paola
Questa dell'autoscomunica da parte dei mafiosi è troppo forte...Cavadi aveva già espresso quest'idea in altri scritti altrettanto limpidamente. L'ideale sarebbe che la stessa cosa avvenisse per i luoghi della politica: sarebbe bello che i mafiosi li trovassero talmente lontani da intrallazzi, abusi di potere e interessi privati da non avere più alcuna utilità nel frequentarli.
Generalizzando: eccetto le frequentazioni lavorative e qualche incontro accidentale come i vicini di casa, la cassiera al supermercato e quello che ti ritrovi a fianco nella coda al semaforo, per il resto tutto sommato ognuno ha (o se eremita non ha) gli amici e i "nemici", gli interlocutori e le frequentazioni che probabilmente si merita.
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