“A SUD EUROPA”
anno IX, n. 6
La rivoluzione, ma a partire da sé
Se bastasse un menù per fare della nostra vita un pasto prelibato, allora la
tavola dell’esistenza
umana sarebbe sempre imbandita di piatti gustosi e invitanti. Ogni individuo
sarebbe chef della propria vita per
la quale sceglierebbe gli ingredienti più giusti per condire
al meglio il proprio cammino di vita. Tra le componenti della sua ricetta c’è certamente il
pensare positivo, che tuttavia non sempre basta. Talvolta è necessario usare degli integratori per sopperire laddove ci
sono delle carenze. Certamente bisogna sempre aggiungere quel pizzico di sale e
pepe che restituisce sapore a tutti i palati.
Il nocciolo
della questione è sciorinato nel nuovo libro di Augusto Cavadi , La rivoluzione, ma a
partire da sé. Un
sogno ancora praticabile (IPOC. Milano 2014, pp. 105, euro 16,00). Il segreto di un’esistenza sensata è racchiuso nella
capacità di pensare e di riflettere. Per poi ritornare a mettere in
discussione ciò che abbiamo asserito in prima istanza. Per i Greci,
infatti, il logos - il pensiero - era imparentato con l’atto di raccogliere - legein-
i sassi della vita. Pensare, dunque, è colligere fragmenta, cioè raccogliere i frammenti e provare a ricostruire qualcosa di
coerente ed unitario.
In poco più di cento pagine l’autore non cerca imitatori pedissequi, e dunque insipienti,
ma si limita ad offrire ipotesi di percorsi possibili. Gli eventi della vita
modificano le persone, talvolta le forgiano, altre le indeboliscono. Ci sono
poi azioni che rifaremmo esattamente allo stesso modo, altre che non rifaremmo
assolutamente. Unitario è l’essere
umano che si interroga, unitario - seppur nella varietà delle sue articolate manifestazioni- il cosmo sul quale e a
partire dal quale egli si interroga. Quando è in gioco il saper
vivere, nessuna forma di conoscenza può pretendere il
monopolio e nessuna può essere deprezzata al punto da non essere neppure
considerata. Ed ecco che Augusto Cavadi affronta il problema da diverse
prospettive avendo -
prendendo in prestito un verso di Edgar Lee Master - “fame di
significato della vita”.
Infatti, come asserisce Karl Marx, quando c’è fame davvero ci si
avventa sul piatto senza preoccuparsi di usare educatamente coltello, forchetta
e cucchiaio.
Nel menù esistenziale
trovano spazio una serie di interrogativi. Se la gente non si impegna
attivamente, ciò significa prima di tutto che non “crede” in qualcosa per cui
valga la pena di impegnarsi. Ecco allora il disimpegno. Un primo orientamento è la necessità di elaborare un
progetto esistenziale: seppur inseriti in una società colma di disvalori è necessario dare
valore. E’ indispensabile dedicare a tale impegno tutte le circostanze
favorevoli, ma soprattutto un po’ di spazio
quotidiano: dieci, quindici minuti di silenzio e riflessione possono essere
sufficienti, ma sono senz’altro
necessari. Senza una meditazione perseverante non si può pretendere di fare chiarezza. Occorre allora individuare
gradualmente degli obiettivi. Ed è proprio in vista di
un obiettivo dominante, di una mèta, che si sceglierà il tipo di studi,
il lavoro, gli amici, il modo di impiegare le forze, il tempo, la vita.
Occorre essere
fedeli al reale andando oltre il “soggettivismo” e guardare il mondo
come per la prima volta. Non è escluso, tuttavia,
che ci si imbatta nella sofferenza. Imparare a leggere il senso delle cose, a
riconoscere gli appelli della storia, significa anche imparare a decifrare l’esperienza del dolore. Seguendo le
orme dell’orientamento
valoriale non bisogna perdere la fiducia nell’essere umano. Anche dinanzi all’esperienza della delusione, dell’amarezza, e ai conseguenti fallimenti
dei rapporti umani, ci sono indubbiamente degli aspetti salutari: queste
situazioni ci aprono gli occhi su come vanno veramente le cose, liberandoci da
ingenuità infantili e, talora, da mitizzazioni frettolose.
La prima forma d’impegno
è la “vigilanza
intellettuale” seguita dalla “fruizione della bellezza” passando per l’acquisizione e la testimonianza di
una “cultura
della sobrietà e del rispetto ecologico”. Non bisogna affatto sottovalutare il momento del dialogo
personale e intenzionale con gli altri. Una società non è una società progressista se
manca fra i suoi membri il dibattito pubblico e, soprattutto, il colloquio
privato. All’impegno
occorre attribuire una dimensione sociale - che può essere locale e
mondiale - dedicandosi anche al volontariato. Ed ecco che arriva la
rivoluzione: la felicità si può perseguire intenzionalmente o inconsapevolmente, ma di
certo non si può cessare di desiderarla. E se è vero
che tutte le ciambelle non riescono col buco, è necessario mettere
nella vita tutti gli ingredienti giusti.
Melania
Federico
1 commento:
Complimenti a Melania Federico per questa bella recensione (e al tuo libro, ovviamente!).
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