Vi trovate, fra l'altro, la seconda puntata della rubrica affidatami con il titolo "I siciliani spiegati ai turisti". Qui di seguito il testo.
“Gattopardo”
MAGGIO 2015
I SICILIANI SPIEGATI AI
TURISTI
I siciliani siamo portati a
valutare enfaticamente ciò che ci capita. Non accettiamo di restare a metà di
nessuna scala: allergici all’aurea
mediocritas di oraziana memoria, ci
percepiamo o molto in alto o molto in basso. La cosa strana è che questa
percezione soggettiva spesso
corrisponde alla realtà oggettiva: ci
vediamo abnormi e, non di
rado, lo siamo davvero.
Una dritta preliminare per
entrare nell’enigma “siciliani” l’ha offerta già nel Settecento un viaggiatore
celebre, Goethe: “L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine
nell’anima: qui è la chiave di tutto”. Duecento anni dopo sarà un siciliano,
Sciascia, a riformulare, con altre
parole, la stessa idea: la Sicilia è una metafora del mondo. Essa porta in scena sentimenti e
passioni, virtù e vizi, dell’umanità intera: ma con indomabile tendenza a esagerare. Se taciturni come Enrico
Cuccia ieri o Sergio Mattarella oggi, non diciamo poche parole: non parliamo
proprio. Se siamo politici alla mano, non siamo cordiali: come Salvatore
Cuffaro baciamo uno per uno, e su entrambe le guance, le migliaia di elettori
(effettivi o potenziali) che incontriamo. Se scriviamo romanzi, non ne
scriviamo dieci o trenta, ma come Andrea Camilleri non siamo disposti a spirare
prima di aver firmato il centesimo volume. Se decidiamo di delinquere, non ci
limitiamo a qualche sporadica ammazzatina:
come Totò Riina e Binnu Provenzano organizziamo decimazioni, mattanze, stragi.
Ecco, forse i siciliani siamo essenzialmente questo: degli esagerati.
Se Montesquieu aveva anche
un po’ di ragione, il nostro carattere rispecchia i contesti ambientali.
Viviamo in un’isola dove c’è un solo vulcano, ma è il più alto d’Europa: la
neve quasi perenne e la lava infuocata convivono, sfidando la mitezza del clima
nel resto della regione. Dove ci sono poche riserve naturali, ma quelle che ci
sono (lo Zingaro o l’Alcantara, per fermarci a due esempi) sono di un fascino
abbagliante. “Fare un viaggio in Italia senza vedere la Sicilia vuol dire
guardare il portone di un bel palazzo senza ammirare la bellezza e la rarità
del suo interno”: così Jouvin de Rochefort nel Seicento. Come stupirsi che gli abitanti di questo “palazzo”,
per quanto spesso incuranti della “bellezza” ereditata, tendano ad atteggiarsi
a semidei?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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