“Centonove”
23.4.2015
IL VINILE TRA FILOSOFIA E LETTERATURA
Come si fa a distinguere un
testo di letteratura da un testo di filosofia? In alcuni casi, estremi, la
differenza è abbastanza visibile: la Critica
della ragion pura di Kant è filosofia, Lolita
di Vladimir Nabokov è letteratura. Ma, tra l’una e l’altra opera, si collocano
migliaia di testi in cui il confine è labile e solo per convenzione consolidata
riteniamo il Simposio di Platone
filosofia e le Operette morali di
Leopardi letteratura. In proporzioni differenti, infatti, possono riconoscersi
due “istanze distinte”: “l’istanza filosofica, dimostrativa” e “l’istanza
letteraria o creativa” (E. Bencivenga, La
filosofia come strumento di liberazione, Cortina, Milano 2010, pp. 196 –
197).
Salvatore La Porta, nel suo
recentissimo Il giradischi trascendente (Villaggio Maori, Catania 2014, euro
13.00), si diverte a giocare su questa linea di confine fra - per continuare a citare Ermanno
Bencivenga - “inventare senza curarsi che quel che s’inventa sia plausibile”
(l’atteggiamento dei letterati) e “provare la reale possibilità di quel che si
è inventato” (il mestiere dei filosofi). Ne vien fuori un volumetto coraggioso
nella sua voglia di sperimentare la commistione dei generi tradizionali,
apprezzabile da chi abbia una conoscenza solida, per quanto elementare, della
storia del pensiero occidentale e che invece potrà distogliere definitivamente
dalla tentazione di aprire un testo di filosofia chiunque non abbia mai letto
una riga di Zenone di Elea o di Ludwig Wittgenstein.
L’enigma da cui decolla la
narrazione/speculazione è l’ascolto di una canzone registrata su un disco in
vinile il quale, essendo “materia” , << ha certamente un inizio e una
fine, ma è composto da elementi non discreti. Quali? Elementi spaziali,
materiali. Tra il punto x sul solco del vinile e quello y ci sarà sempre un
punto n di mezzo. Il vinile, come la realtà, è infinitamente denso e per questo
non è affatto compatibile alla mente umana. Il fatto che la puntina del mio
giradischi compia il miracolo di attraversare tutti gli infiniti punti presenti
nel microsolco e, giungendo alla fine, possa sollevarsi con noncuranza e
tornare al proprio posto è semplicemente incomprensibile. E’ il gesto pacato di
un dio. Ovvero: trascende la nostra comprensione >>. Per spiegare questa
affermazione <<bizzarra>> La Porta deve però avventurarsi nella
trattazione di tre questioncelle facili facili (scomodando il tremendo
Parmenide e il fido discepolo Zenone): il nulla, l’essere e l’infinito. Come se
ciò non fosse abbastanza, prima di inoltrarsi nel labirinto dell’ontologia,
avverte correttamente l’esigenza di un chiarimento preliminare: possiamo noi,
esseri umani immersi nell’essere, avere uno sguardo per così dire “esterno”
sull’essere? O siamo come l’occhio che può guardare tutto tranne sé stesso?
Ovviamente, a questo punto, l’autore non poteva fare a meno di scomodare
Wittgenstein, il suo spietato rigore (gnoseo)logico, la sua convinzione
“mistica” che <<di ciò di cui non si può parlare è necessario
tacere>>.
Alla fine del libro emerge
qualcosa che potrebbe assomigliare a un’autodefinizione della prospettiva
filosofica dell’autore: <<stoicismo solipsistico>> (formula che
<<farebbe saltare sulla sedia parecchia gente>>). Se ho capito
almeno in parte, saremmo come i personaggi sognati da un Pensiero assoluto:
come tali, essenzialmente ciò che siamo stati sognati, senza margini di manovra
rispetto alla nostra “essenza” costitutiva. Un Pensiero originario e
onni-avvolgente, un Logos, la cui
esegesi sarebbe <<l’unica plausibile motivazione del nostro essere nel
mondo>>.
E’ allora la filosofia,
incessante tentativo di spiegare il Logos
che ci precede e ci fonda, a dare senso all’esistenza? Così sarebbe se essa
fosse in grado di decodificare il Logos
alla sua maniera: cioè in modo razionale, rigoroso, dimostrativo. Per La Porta
però si tratta di <<una pratica privata, narrativa o politica>>,
<<mai veramente filosofica>>. Più precisamente: <<L’esegesi
privata del Logos è la religione,
quella narrativa è la letteratura e quella pubblica è la politica>>: in
nessun caso, dunque, <<una pratica strettamente teoretica>>. Forse
ci si potrebbe chiedere chi avverta religione, letteratura e politica di essere
modi di spiegare il Logos e forse si
potrebbe rispondere: la filosofia. La quale, come Socrate, sarebbe dunque
bravissima nel far partorire gli altri, pur essendo in sé infeconda.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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