Repubblica – Palermo”
7.4.2015
COME NASCE IL FAR WEST QUOTIDIANO
Interi quartieri di Palermo fuori da ogni norma; sempre più insegnanti
in balìa di alunni scalmanati e in alcuni casi maneschi. Un anziano insegnante palermitano
non può non vedere il nesso fra le due fenomenologie. La scuola, infatti, non è
solo una metafora della città: è un microcosmo condizionato dal macrocosmo
sociale e, a sua volta, lo
condiziona.
Da studente osservavo alcune
dinamiche all’interno della classe (eravamo indisciplinati con i docenti
fragili e controllatissimi con i severi) e l’esperienza mi è stata preziosa nei successivi
quarant’anni di insegnamento. Come appurato dagli psicologi sociali (da Le Bon
a Freud in poi) in una “massa” – pensiamo agli spettatori di una partita di
calcio - il comportamento degli individui tende a livellarsi: per assestarsi
sulla media del peggiore di loro. E’
la spiegazione scientifica dell’osservazione empirica: “A uno a uno sono dei
signori, insieme sun branco assatanato”.
Chi (educatore nel micro, amministratore nel macro) vuole assicurare un
clima vivibile deve assolutamente evitare che la somma degli individui diventi
una “massa” anonima e irresponsabile.
Per
riuscire nell’obiettivo c’è una sola strada: sradicare, sul nascere, ogni
trasgressione ingiustificabile. Anche la meno appariscente, la più (a prima
vista) sopportabile. Cosa c’è di più innocente di un ragazzino che commenta con
il compagno di banco il taglio dei pantaloni della professoressa? Cosa può
cambiare nella vivibilità di una metropoli un’auto in doppia fila per
mezz’oretta? Per certo - ho
misurato con i miei occhi le conseguenze tragicomiche – dopo dieci minuti tutti
i compagni di banco saranno impegnati in conversazioni private e, poiché in
trenta si crea un fastidioso rumore di sottofondo, bisognerà progressivamente
alzare il tono della voce. A quel punto l’insegnante, per farsi udire e per
manifestare il disagio di parlare alle pareti, alzerà la voce ancora più degli
alunni, perdendo in proporzione autorevolezza e credibilità. Certi filmati che
girano su Facebook mi ricordano
episodi vissuti nei decenni da colleghi inesperti che sono finiti assediati in
cattedra da alunni che ballavano intorno a mo’ di indiani d’America. In un caso
ficcarono in testa al docente il cestino dei rifiuti, in un altro accesero un
fuoco sotto la sua sedia.
Non
molto diverse - e ben più note al
pubblico – le conseguenze di una falsa concezione della tolleranza per le mille
infrazioni dei cittadini. Non sono solo i quartieri ‘popolari’ (sia periferici
sia del centro storico): nei quartieri ‘bene’ la villania, la prepotenza, il
dispregio della cosa pubblica sono perfino amplificati dalla spocchia borghese
di chi ha soldi e potere per attenuare le eventuali sanzioni. Non so se corso
Tukory (pressi della stazione
ferroviaria) o via dei Cantieri (pressi della stazione marittima) vadano
considerati zone ‘popolari’ o meno: so che sono zone del tutto a-legali. Nella prima strada bus e pullman
turistici devono procedere sistematicamente fra due file di auto posteggiate a
sinistra e, perfino, una serie di bancarelle piazzate sulla corsia preferenziale a
destra: un vero slalom da campionati
europei. Nella seconda strada (dove, inutile specificarlo, la pista ciclabile è
spalmata di auto ) la doppia fila è a destra e a sinistra (quattro in tutte,
per capirci), ma - tra le auto in
seconda fila o posteggiate sulle strisce pedonali o sugli scivoli per
carrozzelle - ci sono perfino motoapi in pianta stabile che vendono vivande
d’ogni genere (ovviamente al di fuori di qualsiasi garanzia igienica).
L’imminente stagione estiva rialzerà il sipario sulle coste: dalla spiaggia di
Vergine Maria occupata da tende abusive (senza né docce né WC per i
campeggiatori improvvisati) al verde di Acqua dei Corsari (sommerso da
materiali edili di risulta). Riaprire il capitolo dell’immondizia per strada,
della elusione della raccolta differenziata, delle feci dei cani al guinzaglio
di azzimate signorine, delle discariche a cielo aperto on rifiuti ingombranti
in stradine residenziali a due passi da via Marchese di Villabianca…sarebbe
come accanirsi su moribondi agonizzanti.
In questa latitanza delle Forze dell’ordine (vigili urbani, carabinieri,
polizia e finanzieri passano e spassano davanti a questi scempi come se
facessero parte del paesaggio naturale) chi osa protestare, sia pur debolmente
e educatamente, per il mancato rispetto di uno stop o per un sorpasso da
destra, viene nei casi più fortunati sbeffeggiato. Purtroppo la cronaca
registra non di rado ben di peggio. Qualcuno sostiene che questo andazzo sia il
prezzo da pagare se si vuole salvare la democrazia, ma a me pare che sia la via
più diretta per distruggerla.
La
logica implacabile è sempre la stessa: se lo fanno gli altri e restano
impuniti, perché dovrei non farlo io a costo di qualche sia pur piccolo
sacrificio? E se un professore (nel suo ambiente) o un vigile urbano (per le
sue competenze) si permette di richiamare la legalità più elementare appare
come un moscone fastidioso che va schiacciato prima di mettere in crisi una routine generalizzata. Per non parlare
di ciò che rischia il cittadino ‘semplice’ se osa contestare la richiesta di
pizzo di un posteggiatore mafioso. Volete assaggiare la versione più
soft? Nella corsia laterale di viale Libertà, quasi all’angolo con
piazza Castelnuovo, prelevate lo scooter
senza versare l’obolo al vecchietto che si è autonominato padrone dell’intero
posteggio per ciclomotori: sarete immancabilmente investiti di improperi e
minacce. Quando si supera una certa soglia di “tolleranza”, tornare indietro è
impossibile. L’infrazione occasionale delle leggi degenera in stravolgimento
dei criteri stessi di legalità.
Dato
il contesto, la notizia di Palermo come nona città più caotica del mondo può
solo meravigliare: come possono esisterne otto ancor più caotiche? Forse si potrebbe dividere la città in
dodici aree, una per ogni mese. E, in ciascuna, proclamare il mese del senso
civico, nel quale la rigorosa repressione di ogni trasgressione (grazie alla
operatività sinergica di tutte le Forze dell’ordine coordinate dal Prefetto) si
intrecciasse con un’azione
pedagogico-politica rivolta ai cittadini di ogni età (dai bambini della
scuola elementare ai pensionati del circolo ricreativo). Ho motivi di ritenere
che basterebbe un mese l’anno di annusamento del “fresco profumo della
legalità” (Paolo Borsellino) per far capire alla maggioranza dei cittadini
quanto intollerabile sia la vita nei restanti undici mesi di Far West.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
Egr, dott. Cavadi,
da diversi anni seguo le Sue opinioni sull’edizione palermitana del quotidiano La Repubblica. Quest’oggi sono rimasto colpito dall’articolo “Ecco come nasce il far west quotidiano”. In particolare mi riferisco ai passaggi in cui Lei cita la latitanza delle forze dell’ordine, la consuetudine della vista nei confronti di cumuli di immondizia, feci di cani sui marciapiedi, automobili in doppia fila, atteggiamenti ai limiti della prepotenza di guidatori sconsiderati (tipicamente incarnati nell’infelice espressioni «Chi ci talii?»). A Palermo sembra di urlare nel deserto, di non avere interlocutori qualificati: troppo ristretta la frangia intellettuale della città, esageratamente ridotte le possibilità di intervento da parte delle forze dell’ordine.
Ho 44 anni, e solo da pochi mesi risiedo stabilmente a ridosso di un piccolo capoluogo di provincia del nord-est d’Italia. Sono differenti i rapporti interpersonali (ma ciò non indica che siano di qualità inferiore), c’è una gastronomia sicuramente meno allettante, c’è un’escursione termica notevole tra il giorno e la notte…ma c’è anche un più elevato livello di civiltà, ci sono controlli e risposte da parte delle forze di polizia, c’è un ordine più generalizzato, una maggiore tutela dell’ambiente, maggiore attenzione alle regole civiche e stradali. E se, a proposito di strada, accade (necessità peraltro poco frequente) di far notare una manovra azzardata ad un altro automobilista, si riceve anche qui un gesto con la mano: un inequivocabile segno di scuse.
Mi rattristo, ho studiato Palermo attraverso i libri e numerosissime visite come fossi un turista straniero, mi sono confrontato con numerose opinioni e documenti storici, giungendo alla diffusa idea che si tratta di una città il cui male è da individuare soprattutto nelle cattive abitudini dei suoi abitanti. È deludente, tanto più quando mi accorgo, soprattutto per effetto della distanza, che Palermo potrebbe contare su una propulsione fortissima che rimane però costantemente soffocata.
Ricordo che, da piccolo, un vicino di casa dei miei genitori mi raccontava che un suo zio rea solito ripetergli che la Sicilia è terra senza speranza. Lui – diceva – non intendeva dargli ragione, ma con il passare del tempo si era dovuto rassegnare a quel pensiero. Io, ripeto, ero poco più che bambino, e mentre ascoltavo queste parole provavo il medesimo desiderio di non credere, di non accettare quelle parole. Sono passati tanti anni e preferisco non confessare come sono cambiati i miei pensieri.
Cordiali saluti.
Francesco Patti
Come sempre, ottimo pezzo, centratissimo.
Michele Arcadipane
Da cittadina palermitana sottoscrivo la tua analisi e condivido la speranza che un fresco profumo di rispetto condiviso per le più elementari regole di convivenza possa aleggiare in questa metropoli.
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