“Repubblica – Palermo”
21.3.2015
COME RICONOSCERE L’ANTIMAFIA AUTENTICA
Giovanni Fiandaca ha
opportunamente avviato la riflessione sul doloroso frangente del fronte
antimafia: spaccato per accuse contrapposte e, per giunta, in alcuni casi
fondate. Del suo articolato ragionamento vorrei estrarre un passaggio e
approfondirlo: con quali criteri possiamo distinguere l’antimafia autentica dal
suo alias strumentale? Diciamolo
subito: non è un test agevole. Ma
irrinunciabile. L’esercito in
guerra contro il sistema di dominio mafioso non può permettersi doppiogiochisti tra le proprie fila, soprattutto se
occupano posti di rilievo.
Mi pare che, per un esame
approssimativamente attendibile,
si possa provare a formulare tre domande. La prima: questo personaggio,
o questo insieme di personaggi, sta guadagnando in termini finanziari dal suo
impegno antimafia? Negli ultimi quarant’anni ho conosciuto centinaia di
cittadini che hanno attivato associazioni, centri studi, movimenti, riviste,
coordinamenti, centri sociali…non solo senza ricavare profitti ma investendo
denaro di tasca propria. Questo non significa che le organizzazioni antimafia
che ricevono fior di quattrini dalla Regione siano senz’altro inquinate:
tuttavia la gratuità dell’impegno è un indicatore di cui tener conto.
Si potrebbe obiettare che
individui e collettivi siano mossi
- quando non da cupidigia finanziaria – da desiderio di carriera. E’ uno
dei sospetti formulati da Leonardo Sciascia nella famigerata polemica contro i
“professionisti dell’antimafia”.
Una disamina onesta dei dati statistici conferma, da una parte, che in
alcuni casi dichiararsi antimafiosi agevola il successo nella propria
professione; ma che in molti più casi o non comporta vantaggi o comporta seri
svantaggi. Ai magistrati, agli assistenti sociali, agli insegnanti, ai preti…
che si sono schierati con decisione contro i mafiosi, di solito ciò non ha
comportato privilegi. Se mai sorrisetti di compatimento, quando non aperta
diffidenza. Ritengo un indizio di autenticità dell’impegno antimafioso di un
funzionario pubbblico constatare
(senza aspettare necessariamente che venga assassinato dalle cosche criminali)
che, proprio in conseguenza del suo impegno, viene scavalcato nell’assegnazione
degli incarichi di responsabilità da colleghi più ‘moderati’, più ‘prudenti’. Talora persino ricorrendo a modifiche
della normativa vigente pur di bloccarlo.
Anche qui vorrei essere chiaro: ciò non significa, automaticamente, che
chi fa carriera combattendo la mafia sia un opportunista. Significa solo che
chi continua a fare antimafia, nonostante gli svantaggi in termini di carriera professionale (e persino
mettendo a repentaglio la stessa vita), offre un elemento di autenticità non
trascurabile.
Ma – e siamo a un terzo
criterio di discernimento – se non per fame di denaro e di carriera, non ci si
potrebbe collocare fra gli antimafiosi per fame di notorietà, di successo
massmediale? E’ questa una
tentazione ben radicata, e ben diffusa, fra i militanti dell’antimafia. La
visibilità nella carta stampata o in televisione appare troppo spesso la
passione segreta, ma divorante, di minoranze consistenti . Va precisato che si
tratta comunque di minoranze numeriche e che solo per imperdonabile e
qualunquistica ingenerosità si può semplificare il quadro ed affermare che in
Sicilia ci si schiera contro la mafia per strappare quello straccio di
notorietà che non si è stati capaci di raggiungere in altri campi e con altri
mezzi. A piccole dosi, questa pulsione esibizionistica è un vizietto più ridicolo che
pernicioso. Grave diventa quando provoca spaccature fra un’organizzazione e
l’altra solo per un’intervista in più o per un servizio televisivo in meno.
Ancora più seria si fa la situazione quando l’esponente antimafia investe il
patrimonio di visibilità pubblica candidandosi nelle fila di un partito
politico. E’ lecito affermare che
passare dall’impegno antimafia (nella professione o a titolo di volontariato)
all’impegno politico-istituzionale sia un chiaro sintomo di inautenticità?
Ovviamente, no. Specie quando la decisione di candidarsi non è esclusivamente
individuale ma nasce come risultato di una sinergia più ampia, come risposta
all’invito di una fetta rilevante del movimento antimafia. Solo chi ha lo
sguardo impuro proietta, in chiunque si renda disponibile alla politica attiva,
volontà di dominio. Se però questo stesso esponente del movimento antimafia non
si limita a dichiararsi disponibile, ma briga per candidarsi; una volta eletto
non si mostra né capace di espletare il nuovo compito né di studiare per
rendersene degno; non si limita a un periodo determinato della sua vita, ma si
abbarbica alla poltrona violando
le norme statutarie del proprio partito o aggirandole saltellando da una lista
all’altra… Ecco altrettanti indizi di una strategia che, per parafrasare don
Lorenzo Milani, si serve
dell’antimafia anzicché servirla.
Augusto Cavadi
2 commenti:
Grazie, Augusto, per questo ulteriore contributo a questa più che spinosa questione che è la mafia e l'autenticità di quanti si battono sul fronte dell'antimafia. Per nostra fortuna, abbiamo esempi luminosi di un'antimafia autentica. Penserei al "Centro Impastato" e al suo Presidente, che da decenni ormai si batte con coerenza e costanza contro la mafia senza guardare in faccia nessuno e senza cedere, per quel che mi consta, a lusinghe, 'avanzamenti di carriera' e spazi di notorietà.
Ottima disamina. Penso di "rilanciarla" nel mio blog. Grazie.
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