Il prestigioso mensile interculturale "Confronti" ha inserito, nel numero di aprile, un dossier sulle varie sfaccettature del fenomeno mafioso oggi. Sono stato lieto di contribuire, su richiesta della Direzione, con alcune pagine su chiese e mafie che riproduco qui di seguito.
“Confronti”
Aprile 2015
LA STRATEGIA DEL BASTONE E DELLA CAROTA
Sul rapporto fra le chiese
meridionali (cattolica, soprattutto ma non esclusivamente) e le associazioni di
stampo mafioso è facile opporre apologia a demagogia. A chi sostiene - soprattutto in ambienti di “sinistra”
– che clericali e mafiosi vanno a braccetto si obietta – soprattutto in
ambienti “moderati” – che non è vero; che anzi i cristiani di varie confessioni
si sono sempre opposti con fermezza alla violenza criminale e che in alcuni
casi (Piersanti Mattarella, Paolo Borsellino, Rosario Livatino… ) hanno pagato
con la vita la loro opposizione. Chi
ha ragione? Per rispondere con un minimo di oggettività storica bisogna
premettere che i cristiani del Meridione italiano si atteggiano nei confronti
della mafia esattamente come la media dei loro concittadini. Una piccola parte
ne è complice più o meno intimamente; un’altra parte, altrettanto piccola, si
impegna seriamente nel contrastarla. E la maggioranza ? La maggioranza, per
riprendere un’amara metafora di Giovanni Falcone, sta a guardare dagli spalti dell’arena
come si svolge la corrida, alternando il tifo per il torero (le istituzioni
statali sane) al tifo per il toro (le criminalità organizzate).
C’è una logica
nell’alternarsi di rifiuto della mafia e di consenso sociale ad essa?
Approssimativamente, sì. Ci sono momenti in cui le associazioni mafiose
mostrano il loro volto armato, violento, talora terroristico: i cadaveri
insanguinati per le vie di Catania e di Napoli, di Bari o di Palermo suscitano
il ribrezzo e le maggioranze “silenziose” scendono in piazza, affollano le
cattedrali in lutto, stendono lenzuoli bianchi dai balconi. Ma la mafia spara
quando è in difficoltà. Ordinariamente le basta l’intimidazione. Anzi, spesso,
non solo non deve esercitare violenza, ma neppure minacciarla: le basta comprare
la libertà delle persone di cui vuole servirsi, corromperne le coscienze.
Quando prevale questo volto apparentemente mite, o addirittura benevolo, la
mafia ritrova il consenso sociale della maggioranza dei cittadini. E dei
credenti. Insomma – per essere sintetici ma spero chiari – la strategia mafiosa
alterna la carota della seduzione corruttiva con il bastone della punizione
violenta ai disobbedienti: e sperimenta che con la carota guadagna più adepti
di quanto ne ottenga con il bastone. L’era dello stragismo imposto dal
boss Totò Riina è durata circa
dieci anni (e ha portato alla repressione giudiziaria e al conseguente scardinamento della struttura militare
di Cosa nostra); l’era del clientelismo corruttivo del politico Totò Cuffaro è durata il doppio (e, per
molti versi, sopravvive alla condanna giudiziaria del suo Demiurgo pacione per
favoreggiamento mafioso).
Per capire un po’ più a
fondo questo affresco storico-sociologico bisognerebbe accordarsi su una
interpretazione della mafia come fenomeno complesso quale emerge, ad esempio,
dagli studi di Umberto Santino e, più in generale, del Centro di studi
siciliano “Giuseppe Impastato”: un’associazione
di cosche criminali che hanno come obiettivo l’accumulazione del denaro e l’esercizio
del potere mediante un vasto consenso
sociale ottenuto mediante la condivisione di un codice culturale e la minaccia della violenza. Il punto nevralgico per intendere le relazioni fra mafie
e chiese mi pare proprio il tassello del “codice culturale”. I mafiosi vogliono
il controllo del territorio e sanno che, tradizionalmente, esso è in mano alle
organizzazioni religiose (in primis
le parrocchie cattoliche). Come fare per scalzare in un quartiere la presenza e
l’influenza ecclesiale (che accompagna gli abitanti dalla culla alla tomba,
passando per le tappe più significative dell’esistenza)?
In astratto essi avrebbero
due vie: la contrapposizione frontale e l’infiltrazione mimetica. Nei rari casi
in cui hanno adottato la prima strada (assassinando don Pino Puglisi, don Peppino
Diana…) hanno sperimentato una sorta di effetto
– boomerang : hanno scosso l’indifferenza dei fedeli, provocato sconcerto e
sollecitato l’intervento più incisivo delle autorità giudiziarie. Più spesso i
mafiosi hanno preferito, alla contrapposizione frontale, l’affiancamento
complice. O in forma diretta (per esempio finanziando costruzione di chiese,
erezione di oratori, festeggiamenti in onore di santi…) o, più spesso, in forma
mediata: attraverso “amici” in comune che occupano ruoli istituzionali. I
politici, collusi e compiacenti,
costituiscono il ponte dorato che lega abitualmente mafiosi e cristiani.
Due osservazioni su questa
triangolazione mafia-politica-chiese.
La prima: non sono sempre e
soltanto i soldi che passano dai forzieri mafiosi, macchiati di sangue
innocente, alle casse parrocchiali, grazie alla mediazione dei politici
(nazionali e soprattutto locali). I mafiosi sono sempre disposti a offrire agli
ambienti cristiani (soprattutto cattolici) il supporto contro i “nemici” del
momento: tipico (come ha documentato molto accuratamente lo storico della
chiesa cattolica don Francesco Michele Stabile) il caso dei movimenti di lotta contro i latifondi patronali
ed ecclesiastici, i sindacati socialisti, il partito comunista. Schierandosi
contro la “sinistra”, i mafiosi hanno lanciato un patto alla Democrazia
cristiana e alle gerarchie cattoliche: un’alleanza (o per lo meno una
convivenza non belligerante) in nome del principio per cui i nemici dei miei
nemici sono miei amici.
La seconda osservazione:
nessuna alleanza politica regge nel lungo periodo senza una consonanza ideale
(o, per lo meno, ideologica). Più o meno sinceramente, i mafiosi vogliono
adottare il punto di vista cristiano sul mondo, sulla storia, sulla vita.
Un’impresa impossibile, a prima vista: come conciliare il vangelo della
fraternità, della pace, della tenerezza con una mentalità ossessionata
dall’accumulo del denaro, dal dominio sugli inermi, dalla minaccia della
violenza? Tra annunzio cristiano e filosofia mafiosa l’incompatibilità è netta,
insuperabile. Ma nei venti secoli del cristianesimo quel messaggio originario
non è rimasto inalterato nella sua forza innovatrice, rivoluzionaria. E’ stato
addomesticato, normalizzato, imborghesito. E’ diventato sempre più una dottrina
dogmatica da accettare ciecamente e una ritualità formale da praticare. In
particolare (come ho cercato di dimostrare ne Il Dio dei mafiosi), i membri delle cosche e i loro sodali hanno
potuto adottare molti princìpi qualificanti del cattolicesimo mediterraneo:
l’enfatizzazione della tradizione, l’assolutizzazione dell’obbedienza, il
familismo esasperato, il maschilismo anaffettivo, la concezione riduttiva della
donna…Il risultato di questi processi è un groviglio di simboli religiosi,
interessi borghesi e atteggiamenti mafiosi che non sarà facile sciogliere.
Soprattutto sino a quando ci rifiuteremo di vederlo senza schermi protettivi.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com