“Centonove” 5.2.2015
MEZZOSECOLO DI DISASTRI
Nell’era degli sms, dei post telegrafici su blog e
social network, pubblicare un volume
di 1263 pagine è una sfida che sa di follia. Se poi a scriverlo non è un autore
anziano al termine della sua carriera, ma un giovane trentenne, l’operazione
appare ancora più sfrontata. Eppure Giacomo Di Girolamo, giornalista e saggista
siciliano, con la complicità di una grossa casa editrice lombarda, ha gettato i
suoi dadi. Ed è molto probabile che vinca pure la difficile scommessa, almeno nei
casi in cui un lettore inizi a leggere le prime pagine,. Memoria storica,
valutazioni filosofiche, notazioni poetiche si intrecciano – infatti – in Dormono sulla collina. 1969 – 2014 (Il
Saggiatore, Milano 2014, pp. 1263, euro 24,00), testo di ardua collocazione in
un genere letterario e, forse, proprio per questo particolarmente intrigante.
Chi ha letto l’Antologia di Spoon River
del poeta statunitense Edgar Lee Masters (o direttamente o attraverso la
rilettura musicale che ne ha fatto Fabrizio De André) riconosce subito il
celebre verso che dà il titolo al volume e – soprattutto se inizia dalla fine (La collina) – intuisce il filo
conduttore dell’opera che ha avuto l’ardire di prendere in mano: “Dov’è Sandro,
il partigiano con la pipa? E Francesco, che dava di matto? / Dov’è Aldo,
aspetta ancora la sua liberazione?/ E Giulio il Divo, l’ha poi capita la
differenza tra cos’è il bene e cos’è il male? / Dove sono Bettino, Amintore,
Enrico?/ Tutti, tutti dormono sulla collina”.
Ovviamente ognuno di noi recepirà il
libro secondo varie griglie interpretative, condizionato innanzitutto dall’età
anagrafica: chi, come me, il 12 dicembre 1969 (strage di Piazza Fontana a
Milano, primo evento evocato da Di Girolamo) aveva appena compiuto 19 anni
sfoglierà le pagine quasi come un diario, ricordandosi ora confusamente ora
esattamente dove si trovava, e come era, a una certa tappa della storia. Tutti,
comunque, a prescindere dalle precomprensioni individuali, potranno apprezzare
la longanimità che attraversa e sostiene l’intera narrazione: senza
negare identità, ruoli e responsabilità differenti, i morti sono però
accarezzati da uno sguardo equanimamente pietoso. Fascisti neri, brigatisti
rossi, democristiani bianchi; giudici ammazzati perché onesti e ragazzi uccisi
perché protestavano in piazza in nome di propri ideali; scrittori e cantanti,
attori e designer, personaggi
ricchissimi quanto famosi e persone anonime colpite per caso da tragedie più
grandi delle loro piccole vite: tutti, ora che “dormono sulla collina”,
meritano che gli venga riconosciuta quella parte – anche solo microscopica – di
ragione, di senso, che avevano dato all’esistenza e che la morte ha, più o meno
brutalmente, lacerato.
Mentre scorre la sceneggiatura della
commedia/tragedia dell’ultimo mezzo secolo si profila nella retro-mente un
pensiero, più una speranza che un’ipotesi: e se fosse davvero solo una
rappresentazione teatrale? E se cadesse il sipario e ci scoprissimo tutte e
tutti solo attori che hano recitato, piùo meno bene, l propria parte?
Molte altre le
domande che nascono, anche senza che l’autore le suggerisca esplicitamente. Su
tutte: tanto dolore sarà sufficiente per smetterla con la violenza ? Tanta
sofferenza basterà a distogliere i terroristi dal terrorismo e gli apparati
statali dal terrore? “Allora,io, la collina, contemplo questo paesaggio di
rovine./Tutti ascolto, tutti assolvo./ E canto”. Sono convinto di indovinare
anche la canzone: How many roads must a man walk down. Before
you call him a man? Yes, 'n' how many seas must a white dove sail. Before she
sleeps in the sand? Ma non
sono sicuro della voce: è proprio Bob Dylan o Joan Baez ?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Il testo mi pare intrigante. Mi sa che raccolgo la sfida di leggerlo (magari quest'estate, vista la mole). Grazie della segnalazione.
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