Il punto estremo della venerazione per Maometto, uomo
perfetto da imitare
Afferma il
Corano che «Voi (si riferisce agli uomini tutti) avete nel Messaggero di Dio
(cioè Muhammad / Maometto) un esempio buono per chiunque speri in Dio e
nell'ultimo giorno e molto menzioni Iddio» (33,21).
Dunque,
Muhammad costituisce il punto di riferimento per l'azione del credente, a tal
punto che la sua imitazione risulta indispensabile per conseguire la salvezza
eterna. Il grande teologo medievale al-Ghazali (m. 1111) diceva che
l'imitazione del Profeta purifi-ca l'esteriorità del credente per renderlo
idoneo alla purificazione interiore dell'anima. Così bisogna fare come il
Profeta anche nei gesti quotidiani della vita, come lo scendere dal letto o il
tagliarsi le unghie o il non mangiare cibi che lui non consumava. E non bisogna
sorridere di ciò, ammoniva al-Ghazali, perché nessuno può pretendere di essere
puro dentro se non osserva un comportamento esteriore adeguato. E siccome
Muhammad è stato l'uomo perfetto, si capisce quanta importanza abbia la sua
sunna (ovvero il suo modo di essere e di pensare).
La venerazione
per il Profeta ha raggiunto nell'Islam punti estremi. Alcuni mistici lo hanno
descritto come il compasso che equilibra l'ordinamento cosmico. Vi è una tradizione
mistico-teologica secondo la quale dalla pre-eternità esiste una sostanza
muhammadica che costituisce in certo senso il modello della profezia, cui tutti
gli altri profeti riconosciuti dalla tradizione islamica (come Adamo, Noè,
Abramo, Mose, Gesù...) si sono conformati. E' importante ricordare che queste
esagerazioni, che arrivano quasi alla divinizzazione di Mu-hammad, non sono
coraniche, ma sono state elaborate nei secoli dalla pietà musulmana. Il Corano,
da parte sua, dice più volte che Muhammad è solo un uomo con capacità e
abi-lità ordinarie (per esempio 7, 188 e molti altri luoghi ancora), sebbene
abbia avuto il dono straordinario di ricevere in modo diretto la rivelazione.
I musulmani,
sulla base di un oscuro accenno coranico (capitolo 7, 157-158), credono che
Muhammad fosse analfabeta e ciò per dimostrare la veridicità della sua missione
profetica: com'è possibile, infatti, che un uomo analfabeta abbia potuto
ricevere e recitare un Libro cosi santo e perfetto come il Corano se non per miracolo
di Dio? La stessa festa del compleanno del Profeta (mawlid), oggi molto sentita
dai musulmani, fu istituita tardi, su imitazione del natale cristiano, e non
esisteva nei primi tempi dell'Islam.
Quanto detto
spiega come mai molti musulmani si possano sentire profondamente feriti e
offesi da vignette satiriche che dileggiano il loro Profeta. Da una parte,
tengo a preci-sare che a mio avviso il dileggio dei personaggi sacri delle
altre religioni non rappresenta in alcun modo ″liberta di
pensiero″. Dall'altra, un musulmano non si
permetterebbe mai di dileggiare Gesù Cristo, proprio perché lo ritiene un
grandissimo profeta inserito nella storia della rivelazione. La questione è
ulteriormente complicata dal divieto di raffigurare la per-sona di Muhammad.
E' ben noto che
l'Islam, come del resto l'Ebraismo, proibisce di farsi rappresentazioni di Dio:
disegnare Dio come ha fatto Michelangelo nella Cappella Sistina è, per un ebreo
o un musulmano, un'empietà blasfema. Nell'Ebraismo si arriva al punto di vietare
la pronun-cia del nome stesso di Dio (il tetragramma YHWH) sostituendolo con
altre espressioni leci-te. Per analogia, la regola è che neppure Muhammad possa
essere raffigurato. Questo non vuol dire che nell'Islam non ci sia stata una
tradizione iconica che ha voluto rappresentare il Profeta. Ma
caratteristicamente si tratta di una tradizione tarda e non araba (oserei dire
non semitica, tenendo conto che arabi ed ebrei sono entrambi semiti).
Sono stati,
infatti, prima i persiani e poi i turchi ad ammettere, soprattutto nelle loro
miniature, la possibilità di raffigurare il corpo di Muhammad. Solo il corpo,
però, non la testa, il volto, che viene sostituito da una fiamma. Oggidì, in
alcuni paesi musulmani come l'Iran, circolano «immaginette» che riproducono un
presunto, bellissimo, volto di un Muhammad giovane e sorridente. Naturalmente,
nessuna raffigurazione del genere è ammes-sa in moschea, le cui pareti possono
ospitare solo i grafemi artistici della calligrafia araba, e questo,
ovviamente, non solo per gli arabi, ma anche per i persiani e i turchi.
Questa è anche
la ragione per cui la cinematografia musulmana, pur assai prolifica,
dall'Egitto all'Iran, non abbia mai girato un film sul Profeta, laddove
moltissime pellicole sono state girate in Occidente con Gesù, regolarmente
mostrato, come protagonista. Un'unica volta un regista siriano ha osato
raccontare al cinema la vita di Muhammad (il film si intitola Il messaggio),
ma, a parte il fatto che la pellicola sostanzialmente non ha circolato nei
paesi musulmani ed è stata vista da pochissime persone per una sorta di
na-turale ritrosia, il regista ha dovuto escogitare trucchi diversi per non
mostrare in alcun modo la persona del Profeta. Ancor di più, si comprende
perché la sensibilità musulmana riguardo alle vignette satiriche sia stata provocata.
L'irrisione del Profeta è una blasfemia che offende sanguinosamente la
coscienza del credente. Ciò, è ovvio, non giustifica né il terrorismo né
l'omicidio, ma può costituire un motivo di profonda rabbia per un estremista,
già convinto, a ragione o a torto, che l'Occidentelo colonizzi e lo sfrutti.
Peraltro, è difficile trovare giustificazione per la punizione della blasfemia
nei testi sacri. Innanzitutto, bisogna ricordare che la bestemmia è inesistente
nell'Islam; è un non-problema.
Nessuno,
nemmeno un ateo convinto, si permetterebbe di bestemmiare il nome di Dio o di
Muhammad. La pronuncia continua, rimata, del nome di Dio (Allah) è, anzi, un
mezzo assai praticato per entrare in comunicazione spirituale con Lui. Si
spiega così perché il Corano (almeno per quanto io lo conosco - ma il Corano è
un oceano senza limiti, come dice al-Ghazali) non si occupa neppure di
denunciare e sanzionare la blasfemia. Piuttosto, il Corano si occupa più di
una volta di denunciare l'apostasia, l'abbandono della religione. Ma anche in
questo caso, non prevede alcuna punizione «fisica». Sarà Dio
nell'aldilà, al momento del giudizio, a sanzionare l'apostata con la punizione
che vorrà. Alcuni dottori conservatori, già nel Medioevo, hanno invece deciso
che l'apostasia sia passibile di pena di morte: ma appunto, non vi è alcuna
base coranica per giustifi-care una simile prescrizione. E lo stesso vale per
la blasfemia. L'estremista
che pretenderebbe di punire con la morte l'autore blasfemo di una vignetta
satirica non troverebbe conforto dottrinale nel Corano.
Massimo Campanini
(da “Il Manifesto” del 16 gennaio)
1 commento:
un esempio di vero rispetto e tentativo di comprensione degli "Altri". Grazie all'autore e ad Augusto.
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