“Monitor” 16. 1. 15
SONO DIVENTATO CHARLIE, MA ANCHE AHMED. PERCHE’ SONO VOLTAIRE
Io sono Charlie ? Sì, anche se non avrei mai speso
un euro per acquistare una copia del settimanale satirico francese. Lo sono e
non mi sento ipocrita (come alcuni esponenti del radicalismo di sinistra
bollano quanti, come me, non ci saremmo mai dichiarati della partita se non
ci fosse stato l’eccidio parigino): infatti, pur non essendo stato mai uno
Charlie, lo sono diventato da quando due fondamentalisti (occasionalmente
musulmani) hanno ucciso tanti innocenti (occasionalmente atei e bestemmiatori).
Sono diventato Charlie perché, da quando ho memoria, sono Voltaire: uno che può
non essere d’accordo con le tue idee, ma è disposto a morire affinché tu le possa
esprimere.
Sono
Charlie, ma sono anche Mounhib, Abdul, Fatima e tanti altri milioni di
musulmani che hanno sofferto in silenzio
- e senza minimamente ipotizzare vendette violente - sapendo che una redazione giornalistica
europea sfotteva non solo Mosé e Gesù, ma anche Maometto; anzi lo stesso Dio
che Mosé chiamava Jahvhé, Gesù chiamava Papà e Maometto chiamava Allah. Sono
con loro perché mi viene spontaneo mettermi dalla parte dei deboli: per esempio
di quanti sono culturalmente condizionati e ritengono che l’ironia, per quanto
beffarda, possa colpire Dio (sia che non esista sia, a maggior ragione, se
esiste ed è davvero l’Altissimo).
Sono Charlie, ma sono anche quelle centinaia, quelle migliaia, quei
milioni di uomini e donne, anziani e bambini, che l’Europa e gli Stati Uniti
d’America ogni giorno inquinano con scorie; avvelenano con prodotti alimentari
scaduti; sfruttano come mano d’opera a basso prezzo o come oggetti di godimento
sessuale o come clienti delle nostre industrie belliche; bombardano per errore
o lasciano che vengano bombardati con precisione chirurgica dalle armi di
eserciti avversari (come, a due passi da casa mia, l’esercito dello Stato
d’Israele).
Sono Charlie, con convinzione. Ma con convinzione
non minore sono ogni fratello e ogni sorella che viene offeso, mutilato,
annichilito. So che a molti non piace questo essere “sì, ma anche…”: non ci
posso fare nulla se il mondo è complesso e se solo gli stupidi hanno soluzioni
semplicistiche, semplificanti (non semplici).
Veramente sono anche Cita, la scimmietta il cui
cranio viene sezionato dal vivo nei nostri asettici laboratori scientifici; e
sono Monty il montone e Pig il suino, Ciccina la gallina e Ciccio il coniglio, D'Artagnan il pesce spada e Tondo il tonno. Ma questo è un
discorso che ci porterebbe troppo lontano dalla cronaca, angosciante e
ammutolente, di questi giorni plumbei.
3 commenti:
sottoscrivo ogni parola, Lidia
Caro Augusto, ti mando (se riesco) alcune considerazioni frettolose su questo stesso tema che ho inviato oggi ad un amico. Mi sembra che abbiamo di dei punti di contatto.
Caro Sergio, premesso che non potrei indossare nessuna maglietta per dire "io sono" qualcuno o qualcosa,
perché, al di là della buona intenzione, quel tale o quel qualcosa che io direi di voler essere, resta profondamente altro da me, e comunque, mio malgrado, mi toccherebbe aggiungere anche "io sono anche quell'altro", sì sono inevitabilmente anche quello che ha sparato, quello stupido grande bambino ferito e risentito, incazzato per tante altre cose e in corto circuito identitario ("adesso gli faccio vedere io, perché hanno toccato il mio profeta, cioè il pezzo di me collettivo, intoccabile e sacro") che ha sparato ed è andato a morire. Sempre troppo comodo dire "io sono quello buono, soltanto quello buono".
Fatta questa premessa voglio prendermi il tempo per pensarci, vorrei vagare tra il Papa che dice "se parli male di mia mamma, magari aspettati un pugno di risposta" (di cui mi pare certo che molti non abbiano capito niente) e la finta onnipotenza di chi pensa che possa esistere finalmente un diritto illimitato a qualcosa, (cioè sacro!) per esempio alla satira, o al "prendere per il culo" (diciamo così) qualcun altro, e vorrei vagare anche in quell'enorme bacino di risentimento infantile incazzato che oggi si ritrova nel grande contenitore di popoli che crede di seguire dio nell'islam e magari brucia una miserabile chiesa africana, straziando corpi innocenti di altri credenti.
Non mi unisco al coro devoto e un po' vile di chi dice "questo non è l'Islam". Neppure se dicesse "non è il vero Islam". Purtroppo queste auto/censure vengono fatte in continuazione anche sul cristianesimo.
Cari tutti, dovremmo svegliarci un pochino. Noi siamo gli eredi dormienti di grandi tradizioni ambigue, misericordiose e violente, il nostro vecchio dio è sostanziato di distruzione, di condanna e risentimento. Questo vecchio dio, che rispecchia la nostra preistoria umana resta da migliorare continuamente. Dunque occorre dire "anche questo è islam! anche questo è ebraismo, anche questo è cristianesimo! ma ci impegniamo tutti a cambiarci, ognuno la nostra parte, ognuno di noi farà digiuno e si pentirà cambiando subito qualcosa".
A quando una bella marcia di pentimento e rinnovamento (radicale!) guidata dai rappresentanti delle grandi religioni che hanno straziato il mondo e nel cui nome (abusivamente?) si strazia ancora?
Per questo sono d'accordo con quelli che pensano che non si devono archiviare giornalisticamente gli omicidi di Parigi, né quelli quotidiani e diversi tra loro di tanti altri paesi, fatti in nome di false divinità. Non solo quelle dei monoteismi, ma anche quelle aggiornate e così indiscutibili del grande mercato globale.
Ma non c'è nessun mea culpa da chiedere alla libertà (smettiamola di confondere la cose!), semmai occorre interrogare la responsabilità di tutti. Già "dove sei uomo? dove è la tua malinconica e onesta responsabilità? se non ora, quando mai?".
sono stato più lungo di quanto mi riproponevo.
ci penserò ancora, magari di notte
un abbraccio a tutti
fabio
Se, la settimana scorsa, avessi fatto queste considerazioni a "Prima Pagina" (La trasmissione di Radio 3 delle 7,15, sulla rassegna stampa), la conduttrice, Elisa Calessi (di "Libero"), si sarebbe dissociata. E' accaduto con un ascoltatore che è riuscito a superare i filtri e a dire, con altro linguaggio, qualcosa che si avvicinava alla tua lucida analisi.
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