“Monitor”
19.12.2014
OSANNARE BENIGNI NON E’ L’UNDICESIMO COMANDAMENTO
Amici e alunni, colleghi e vicini di casa, conoscendo la mia passione
per la teologia, non potevano non chiedermi in queste ore cosa ne pensassi
delle due trasmissioni di Benigni sui Dieci comandamenti. Devo confessare che
la domanda mi ha trovato in notevole imbarazzo.
Firme di prestigio di “Repubblica”, come
Sebastiano Messina e Curzio Maltese, non hanno risparmiato nessuna lode da
posizioni indubitabilmente ‘laiche’.
Paolo Ricca, certamente fra i massimi teologi protestanti viventi, ha
visto nell’evento televisivo un ammirevole esempio di “evangelizzazione” né
dalla stampa cattolica ‘progressista’ sono arrivati rilievi critici. Ciò che mi
ha colpito di più è il tono di numerosi conoscenti - che stimo – i quali si
sono espressi in maniera favorevole senza neppure avvertire il bisogno di
argomentare il proprio plauso: restare incantati da Benigni sarebbe
inevitabile, quasi obbligatorio come un undicesimo comandamento.
Ma è davvero così? Sinora le voci
sfavorevoli provengono soprattutto dalle aree più retrive del cattolicesimo
anti-conciliare e dell’evangelismo fondamentalista: ma i loro attacchi a
Benigni perché ha osato scherzare sul Padre eterno, e soprattutto perché non ha
condannato i rapporti sessuali prematrimoniali né l’aborto, sono ridicoli. Ciò
precisato, ad evitare di essere confuso con compagni di strada impresentabili,
mi chiedo se - senza arrivare agli
eccessi polemici di un titolo del “Fatto quotidiano” (una performance di una “noia biblica”) – non sia lecito avanzare
qualche riserva.
La principale delle quali è
che una esaltazione così insistente del Decalogo, costellata da aggettivi
superlativi e da punti esclamativi , rischia di riuscire fastidiosamente apologetica.
Le Dieci parole dell’Esodo sono indubbiamente una tappa importante
nell’evoluzione etica dell’umanità: ma non sono un fiore nel deserto perché
precedute e circondate da codici morali e giuridici simili, in tradizioni
sapienziali nobilissime come l’egiziana e l’assiro-babilonese. Ancor più:
risentono del livello morale degli ebrei dell’epoca e sono inficiate da
credenze di cui la coscienza contemporanea più progredita si vergogna (basti
pensare alla figura della donna come oggetto di proprietà del maschio, allo
stesso livello del bue o dell’asino). Benigni è stato abile nel dare anche dei
passaggi più scabrosi un’interpretazione accettabile per le orecchie dell’uomo
del XXI secolo: ma è corretto rileggere un testo scavalcando l’esegesi per
farlo risultare politicamente corretto? Personalmente avrei apprezzato un
atteggiamento più oggettivo che avesse segnalato, insieme alle tante cose belle
della pagina biblica, anche le valenze datate e francamente inaccettabili.
Ormai questa storicizzazione delle Scritture è ritenuta praticabile da studiosi
non solo atei o agnostici, ma anche credenti in senso religioso e
confessionale.
Questi e simili rilievi non
tolgono nulla, ovviamente, al merito di Benigni di riproporre con coraggio a
milioni di italiani disattenti, immemori e spesso del tutto ignoranti, testi
stupendi come la Divina Commedia, la Costituzione italiana o il Decalogo
prototestamentario. Tanto di cappello, inoltre, al suo talento comunicativo: ma
non si renderebbe un buon servizio neppure a lui se si affermasse che abbia
raggiunto la perfezione.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Ho mandato a "Centonove" un pezzo su Benigni, ma prima di avere letto quest'articolo! Assicuro di non averti copiato, anche se nel pezzo ho tenuto in conto la nostra conversazione di qualche sera fa ... Un abbraccio.
Del resto Benigni non è un teologo
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