sabato 3 gennaio 2015

OSANNARE BENIGNI NON E' L'UNDICESIMO COMANDAMENTO


“Monitor”
19.12.2014

OSANNARE BENIGNI NON E’  L’UNDICESIMO COMANDAMENTO

    Amici e alunni, colleghi e vicini di casa, conoscendo la mia passione per la teologia, non potevano non chiedermi in queste ore cosa ne pensassi delle due trasmissioni di Benigni sui Dieci comandamenti. Devo confessare che la domanda mi ha trovato in notevole imbarazzo.
     Firme di prestigio di “Repubblica”, come Sebastiano Messina e Curzio Maltese, non hanno risparmiato nessuna lode da posizioni indubitabilmente ‘laiche’.  Paolo Ricca, certamente fra i massimi teologi protestanti viventi, ha visto nell’evento televisivo un ammirevole esempio di “evangelizzazione” né dalla stampa cattolica ‘progressista’ sono arrivati rilievi critici. Ciò che mi ha colpito di più è il tono di numerosi conoscenti - che stimo – i quali si sono espressi in maniera favorevole senza neppure avvertire il bisogno di argomentare il proprio plauso: restare incantati da Benigni sarebbe inevitabile, quasi obbligatorio come un undicesimo comandamento.
      Ma è davvero così? Sinora le voci sfavorevoli provengono soprattutto dalle aree più retrive del cattolicesimo anti-conciliare e dell’evangelismo fondamentalista: ma i loro attacchi a Benigni perché ha osato scherzare sul Padre eterno, e soprattutto perché non ha condannato i rapporti sessuali prematrimoniali né l’aborto, sono ridicoli. Ciò precisato, ad evitare di essere confuso con compagni di strada impresentabili, mi chiedo se  - senza arrivare agli eccessi polemici di un titolo del “Fatto quotidiano” (una performance di una “noia biblica”) – non sia lecito avanzare qualche riserva.
       La principale delle quali è che una esaltazione così insistente del Decalogo, costellata da aggettivi superlativi e da punti esclamativi , rischia di riuscire fastidiosamente apologetica. Le Dieci parole dell’Esodo sono indubbiamente una tappa importante nell’evoluzione etica dell’umanità: ma non sono un fiore nel deserto perché precedute e circondate da codici morali e giuridici simili, in tradizioni sapienziali nobilissime come l’egiziana e l’assiro-babilonese. Ancor più: risentono del livello morale degli ebrei dell’epoca e sono inficiate da credenze di cui la coscienza contemporanea più progredita si vergogna (basti pensare alla figura della donna come oggetto di proprietà del maschio, allo stesso livello del bue o dell’asino). Benigni è stato abile nel dare anche dei passaggi più scabrosi un’interpretazione accettabile per le orecchie dell’uomo del XXI secolo: ma è corretto rileggere un testo scavalcando l’esegesi per farlo risultare politicamente corretto? Personalmente avrei apprezzato un atteggiamento più oggettivo che avesse segnalato, insieme alle tante cose belle della pagina biblica, anche le valenze datate e francamente inaccettabili. Ormai questa storicizzazione delle Scritture è ritenuta praticabile da studiosi non solo atei o agnostici, ma anche credenti in senso religioso e confessionale.
       Questi e simili rilievi non tolgono nulla, ovviamente, al merito di Benigni di riproporre con coraggio a milioni di italiani disattenti, immemori e spesso del tutto ignoranti, testi stupendi come la Divina Commedia, la Costituzione italiana o il Decalogo prototestamentario. Tanto di cappello, inoltre, al suo talento comunicativo: ma non si renderebbe un buon servizio neppure a lui se si affermasse che abbia raggiunto la perfezione.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

2 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

Ho mandato a "Centonove" un pezzo su Benigni, ma prima di avere letto quest'articolo! Assicuro di non averti copiato, anche se nel pezzo ho tenuto in conto la nostra conversazione di qualche sera fa ... Un abbraccio.

Pietro Spalla ha detto...

Del resto Benigni non è un teologo