“Tuttavia.eu”
15.1. 15
L’ANTIPATIA DEL RABBI JESHUA
Nel libro di Fabio Bonafé, Il Rabbi molesto. Sul lato antipatico di
Gesù (Italic, Ancona 2014, pp. 170, euro 16) andrebbero distinti almeno tre
aspetti: ciò che sembra, ciò che ne dice l’autore, ciò che può risultare a un
lettore non digiuno di teologia.
Ciò
che sembra (anche per la complicità della quarta di copertina): un libello
scandalistico animato da risentimento anticristiano. Ciò che ne dice l’autore (soprattutto in un pro memoria allegato, suppongo, alle copie indirizzate ai
potenziali critici): uno studio oggettivo, esegetico, scevro da pregiudizi di
qualsiasi segno. Ciò che può risultare
(o, per lo meno, ciò che è risultato ai miei occhi): un atto di sincera
venerazione verso il rabbi Jeshua di Nazareth, talmente sincera da non tacitare
perplessità e interrogativi su alcuni aspetti della persona venerata. Insomma
un testo originale che potrà gettare su una figura storica, deformata da
duemila anni di travisamenti, una luce illuminante per chi crede di non credere
più e ancor più per chi crede di credere ancora.
Il filo rosso che lega i dieci capitoli lo si potrebbe individuare nella
convinzione, già formulata dall’ottimo biblista italiano Giuseppe Barbaglio,
che il Dio annunziato da Gesù è in perfetta continuità col Dio dei profeti ebrei
precedenti: dunque non un Dio buono in contrapposizione a un Dio severo, ma un
Dio misericordioso e severo (un “Giano bifronte”) proprio come il Dio
misericordioso e severo del Primo Testamento. Per ragioni varie (molte delle quali facilmente intuibili)
la predicazione corrente seleziona, nel Primo come nel Secondo Testamento, i
passaggi theological correct e lascia
strategicamente in ombra i passaggi duri per le orecchie dei nostri
contemporanei. Ma ciò non significa che questi passaggi antipatici, o francamente inaccettabili, non siano mai stati né
pronunziati né tramandati.
Bonafé li ripesca, li riporta alla luce, non senza preoccuparsi di
contestualizzarli e di bilanciarli con passaggi di tenore differente. E lo fa nella convinzione che, se “non
si deve fingere in amore, tantomeno si dovrebbe fingere davanti a Dio” (p. 65):
meglio rischiare la bestemmia che ripetere meccanicamente professioni
dogmatiche a cui non si crede, che anzi neppure si intendono (se è vero, come è
vero, che “stare in piedi” davanti all’Altissimo “non sarà colpa e presunzione,
ma una dignità, la dignità dei figli di dio, appunto, di cui anche lui sarà
orgoglioso. E Lui stesso non apparirà come un vecchio conservatore e violento,
geloso e indispettito per la crescita e l’autonomia dei suoi figli. Questa è
solo una antiquata e insopportabile immagine di Dio, che nella realtà ha sempre
rispecchiato, e comodamente sostenuto, l’autoritaria immagine del patriarca
dispotico” (p. 142).
Quali possono essere le conseguenze di
ciò nel giudizio di ciascuno rispetto alla fede cristiana? La questione non
sembra rientrare nel campo d’interesse dell’autore: egli non vuole interferire
nella coscienza del lettore, il solo responsabile di ciò che legge, di ciò che
capisce e di ciò che predica a sua volta dopo aver accettato quanto ha ritenuto
accettabile. Ma è opportuno
precisare che, se qualcuno potrà restare turbato, altri invece avvertiranno più
vicina a sé la personalità complessa del Nazareno, qui designato anche con
l’appellativo di “Brusco”. Altri ancora potranno addirittura arrivare a
rivedere l’idea stessa di Dio del quale pensatori come Schelling nel XIX secolo
e Jung nel XX hanno ipotizzato lati oscuri con cui Egli stesso per primo
è, in qualche modo enigmatico,
necessitato a fare i conti in un processo dialettico di autoperfezionamento.
Insomma: Bonafé ci ha regalato un libro
insolito, a tratti divertente, che dà da pensare spesso e che scorre sempre su
un registro comunicativo amichevole. Egli non chiude gli occhi di fronte alla
scandalosità del cristianesimo: “scandalizzare e scandalizzarsi sono una parte
vera della nostra esistenza. Ogni censura, ogni stoppata preventiva,
specialmente quelle portate in nome di Gesù, deducibili da lui, non rendono più
credenti, ma soltanto più ciechi” (p. 138). Si potrebbe aggiungere che
scandalizzarsi è un’arte: bisogna saper distinguere i falsi scandali dagli
autentici. Per l’autore, “lo scandalo vero, che dovrebbe colpire tutti, è
quello di cedere alla tentazione che induce gli uomini a credere di potersi
impadronire di dio nelle forme del pensiero e del mito, costruendo addirittura
un dio definitivo e obbligatorio, a partire da quanto incertamente è apparso
nei limiti angusti di una certa storia. Scandalo è confondere un tentativo di
rivelare ciò che resta mistero con l’arroganza di un pensiero da pensare, con
la retorica di una formula teologica, che ritaglia in parole una parte della
realtà e ne esclude il resto, e che, nell’assunzione di questa parte, fa poi
ciò che viene detto e si crede essere una fede” (p. 61). Non è un caso che “la
figura del devoto, del pio” sia “nel vangelo una delle più bersagliate”: “Chi
si sente carico di una conoscenza religiosa, rischia sempre di farsi padrone di
una certa immagine di Dio. Interpretare Dio diventa esercitare un potere sugli
altri. Mentre nel messaggio di Gesù interpretare Dio significa servire. Ma per
servire senza essere servi, senza cioè avere un animo servile, occorre avere
dignità e servire nella verità. I pii per Gesù sono a rischio, si illudono, si
fanno un dio di un dio che non c’è” (p. 63).
Una lunga, documentata, appendice di
Approfondimenti e altre letture ci
conferma nella convinzione che, a
sostegno e linfa di pagine dal
tono mediamente leggero, stanno tomi scientifici che hanno sconvolto alle
radici il discorso teologico cristiano (in modo particolare il commento al
vangelo di Marco di Eugen Drewermann).
Se qualcuno fosse indotto ad affrontarli con pazienza, spregiudicatezza,
serietà e serenità – ciò non sarebbe il minore dei meriti di questo testo
intelligentemente appassionato. Per i tanti altri che preferiranno persistere
nell’ottica ricevuta al catechismo, senza sottrarre tempo prezioso al lavoro e
alla famiglia per dedicarlo a letture pericolose, il libro poco voluminoso di Bonafé potrebbe comunque regalare un
sospetto: che “l’idolatria segue le religioni come se ne fosse l’ombra” (p. 67)
e la religione costruita in memoria di Cristo non fa eccezione.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Caro Augusto, in quello che hai scritto nella tua presentazione hai colto diverse cose importanti e sicuramente molto centrate.
E' sempre bello leggere quello che hanno trovato gli altri e poter gioire di un sentire insieme.
Ti ringrazio veramente molto per questa tua splendida sorpresa.
Veramente grazie!
Ti abbraccio, vi abbraccio.
Fabio
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