“Centonove” 15.1.2015
Gesù Cristo in Vaticano: un
ospite indesiderato?
Ormai don Paolo Farinella, siciliano d’origine ma
ordinato presbitero nella diocesi di Genova, è un personaggio noto a livello
nazionale. In Cristo non abita più qui.
Il grido d’amore di un prete laico. Per Gesù, contro il Vaticano (Il
Saggiatore, Milano 2013, pp. 310, euro 16,00) ci consegna una summa del suo pensiero (e, inseparabilmente,
della sua esperienza di vita).
Il libro è scandaloso
sia perché nasce da un animo scandalizzato
per ciò che ha visto e udito nella Chiesa sia perché non teme di riuscire scandalizzante: a suo parere, infatti, è
grave che avvengano scandali, ma ancor più grave che si tenti di nasconderli
all’opinione pubblica.
Tuttavia, per evitare equivoci
pregiudiziali, è opportuno precisare almeno due premesse. La prima: l’autore
ritiene impropria l’identificazione, che si è realizzata nella storia, fra
“Vaticano” e “Santa Sede”; fra uno Stato (con tutti i diritti e i doveri di uno
Stato autonomo) e una Cattedra episcopale (sia pur singolarmente prestigiosa
all’interno della cattolicità); fra un’istituzione politica (con una propria
rete burocratica e diplomatica) e un’istituzione religiosa (diffusa
capillarmente sul pianeta e comprendente circa un miliardo di persone). In
questa identificazione don Farinella individua una delle radici strutturali dei
tanti mali di cui la Chiesa cattolica soffre in questa fase della storia (al
punto che Benedetto XVI ha dovuto gettare la spugna davanti a “sozzure” troppo
più resistenti delle forze
psico-fisiche rimastegli): perciò si augura che papa Francesco, o qualche altro
sul suo solco (se non sarà troppo tardi !), si decida a scindere le figure di
Capo della Città del Vaticano e di Pastore della Chiesa universale.
Questa
precisazione ha senso all’interno di una prospettiva di fondo che è necessario
altresì chiarire se si vuole affrontare il testo senza fraintedimenti (è già
abbastanza duro di per sé….): la critica alla “struttura di peccato” che, a suo
parere, è ormai la Città del Vaticano, non solo non esclude, ma al contrario presuppone,
un intenso amore per la Chiesa cattolica. Se non si coglie questo aspetto (per
altro ribadito più volte lungo la narrazione) si perde l’originalità maggiore
della posizione dell’autore, ben distante dai tanti che contrappongono il sì a Gesù e il no alla Chiesa tout court. Don Farinella non accetta alcun aut aut (neppure quando qualche vescovo
gli suggerisce di lasciare il ministero): egli vuole e il Vangelo e la Chiesa
perché non avrebbe incontrato il Dio di Gesù Cristo se non fosse stato accolto,
sin da ragazzo, dalle braccia amorevoli della Chiesa.
L’onestà intellettuale
non gli consente di sfuggire all’obiezione radicale: ma questa Chiesa ormai
infestata dalla sete di potere, dalla furia dell’accumulo, dal carrierismo
interno, dalla cecità nei confronti delle sofferenze e delle aspirazioni della
gente comune, dalla perversione dell’esercizio della sessualità (praticato
clandestinamente quanto più condannato ufficialmente) – e i tre quarti del
libro sono dedicati a documentare, con spietata lucidità, queste e altre piaghe della Chiesa - ,
questa Chiesa è riformabile ?
Don
Farinella risponde affermativamente, ma la risposta lascia molte perplessità.
Forse la sua speranza si basa su un felice equivoco. Egli scrive Chiesa e pensa
all’umanità: “prima di tutto la Chiesa sono le migliaia e migliaia di persone
che ho incontrato nella mia vita, i bambini e i ragazzi che ho aiutato a
crescere, preparandoli alla vita, le coppie di cui sono stato testimone-notaio,
i piccoli che ho battezzato, i poveri che ho servito, gli anziani che ho
consolato, le famiglie che ho aiutato economicamente” (p. 119). Ma egli sa
benissimo che la Chiesa cattolica è anche organizzazione gerarchica, tradizione
liturgica, patrimonio dottrinario:
questa dimensione
istituzionale, sacramentaria, magisteriale è riformabile? In alcune pagine
sembrerebbe che all’autore basti auspicare una Chiesa senza corruzione, senza
incoerenze, alla papa Bergoglio per intenderci; e che l’essenza della Chiesa
(papato, collegialità episcopale, ministeri ‘ordinati’, dogmi principali…), con
i suoi confini delimitati con chiarezza, gli vada bene. Ma in altre pagine è
come se l’impeto pastorale, apostolico, di don Paolo – “ateo per grazia di Dio,
credente per amore di ragione” secondo l’autopresentazione in quarta di
copertina – gli facesse scoppiare l’anima, catapultandola ben oltre i confini
della Chiesa cattolica istituzionale (per quanto eventualmente disinquinata da
secoli di vizi e imbrogli): “Ogni volta che celebro l’Eucaristia divento
veramente cattolico, cioè universale, sintesi del mondo, anelito di
liberazione. Salgo sul monte di Isaia (Is 2, 1 – 4) per spezzare il pane a
tutte le genti, senza distinzione di alcun genere: solo allora sono cattolico,
protestante, ortodosso, musulmano, agnostico, ateo, dubbioso, libero e schiavo,
sono pagano e credente, uno e molti insieme” (p. 128).
E’ chiaro che, col cuore, speriamo
in tanti che i preti come lui, i vescovi come Oscar Romero, i Papi come
Bergoglio vincano la guerra interna alla Chiesa-istituzione; ma con la ragione
ci è difficile prevederlo. Un giorno sarà ridimensionata l’attuale egemonia dei
Legionari di Cristo, dell’Opus Dei, di Comunione e Liberazione, dei
Neocatecumenali e degli stessi Lefebrviani: ma, se il DNA ecclesiologico resta
sostanzialmente immutato (a cominciare dalla supposta differenza “ontologica”
fra laicato e clero), sarà facile che nascano altri movimenti basati
sull’obbedienza cieca, sulla paura del sesso, sull’idolatria del denaro. Sulla base della storia del
cristianesimo ha ragione Dostojevskij: ormai le chiese in generale, la
cattolica in particolare, si sono cristallizzate in maniera così impenetrabile
che neppure Gesù Cristo, tornato sulla terra, riuscirebbe a convertirle.
L’unica speranza resta la parola del vangelo: solo morendo i chicci di grano
potranno portare buon frutto.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Non sono cattolico e vivo all'estero in una nazione a maggioranza luterana, dove é molto stimato il sacerdote svizzero Hans Küng, leggo spesso gli scritti di Don Paolo nonché le considerazioni ed opinioni dei suoi magnifci libri.É augurabile che i preti del tipo di Don Paolo aumentino di numero e che possano far riformare la Chiesa cattolica attenendosi al Vangelo e farle abbandonare il comportamento riprovevole tenuto nel secolo trascorso. É ora che il Vaticano smetta di fare affari loschi, di appoggiare istituzioni come Comunione e Liberazione, Opus Dei, Legionari di Cristo e simili, a far pulizia dentro al clero allontanandone gli indegni, anche negli alti gradi, ricominciando ad osservare i canoni evangelici.
Kian Logan
Mi sembra che la recensione centri il bersaglio nell’annotare “il felice equivoco” di una chiesa interpretata da Farinella come il complesso di tutti gli uomini e la reale istituzione storica che di fatto si auto-concepisce salvezza di tutti mediante la rappresentanza di pochi.
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