“Monitor” 14.11.2014
MORIRE. E POI ?
Novembre
è il mese che dedichiamo al ricordo dei defunti e, più o meno indirettamente,
alla riflessione sulla morte. So già che qualcuno cerca con la mano i propri
genitali, qualche altra dispone sotto il tavolo le dita a forma di corna: ma
non ci sono scongiuri abbastanza efficaci
- almeno sino a oggi – per evitare, o anche solamente allontanare di
un’ora, ‘a livella
dell’indimenticabile Totò de Curtis.
Affaticarsi per non pensare alla morte, oltre che vano, è
controproducente. Si perde una buona occasione per apprezzare la vita: che è
l’altra faccia della medesima medaglia. Se già l’incertezza sulla data del
nostro decesso ci porta a rimandare di giorno in giorno, di anno in anno, la
effettiva realizzazione di tante cose belle che potremmo mettere in atto per
noi e per altre persone, cosa faremmo
- anzi, cosa non faremmo – se
avessimo la certezza di un’infinità di tempo innanzi a noi?
Uno dei motivi per cui si evita di
riflettere sul limite estremo della nostra esistenza nel mondo è che non sappiamo
da dove cominciare. Non abbiamo punti di riferimento, coordinate mentali.
Eppure la filosofia - se intesa
nell’accezione ampia, democratica, starei per dire popolare in cui la
intendiamo in questa rubrica settimanale – può forse darci una mano per
iniziare: non è essa stessa, secondo alcuni, meditatio mortis
(meditazione sulla morte)?
La filosofia,infatti, ci presenta alcuni scenari possibili su cui
riflettere per verificare se ci si riconosca in qualcuno di essi.
C’è lo scenario nichilistico: veniamo dal nulla e andiamo verso il
nulla. La nostra breve esistenza è una freccia che, casualmente scoccata,
altrettanto casualmente è destinata a scomparire dall’orizzonte.
C’è lo scenario panteistico: veniamo dal Tutto e andiamo verso il Tutto.
La nostra breve esistenza è un’onda che appare sulla superficie del mare e,
dopo una breve illusione di autonomia, ritorna a confondersi con le acque da
cui proviene.
C’è lo scenario spiritualistico (teorizzato da Platone): veniamo da un
mondo divino, ideale, immateriale e siamo destinati a ritornarvi. Fra il “da
dove” e il “verso dove” c’è la parentesi terrestre in cui il nostro vero “io”
(che chiamiamo anche “anima”) vive
legata – in qualche modo imprigionata – ad un corpo materiale, caduco.
Ovviamente
ci sono altri scenari che qui non sarebbe possibile evocare, anche perché - come lo scenario cattolico – è un mix di diverse prospettive religiose e
filosofiche non sempre ben assemblate. Molto interessante, ad esempio, sarebbe
approfondire la concezione ebraica condivisa da Gesù di Nazareth e dai suoi
primi discepoli: siamo soggetti psico-corporei che, quando muoiono, muoiono del
tutto. Il Dio della vita richiama dalla morte totale i figli che gli sono stati
fedeli: in qualche modo li ri-crea, li ri-plasma una seconda volta, per poterli
accogliere nella sua vita “eterna”. Ma è una prospettiva più di fede che di
ragione, più teologica che filosofica: gli Ebrei, come Gesù, non amavano e non
amano la speculazione teorica e preferiscono la pratica concreta nell’unico
segmento temporale di cui c’è certezza.
Augusto Cavadi
1 commento:
Grazie per queste riflessioni esistenzial/filosofiche. Un abbraccio
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