“Monitor”
28.11.2014
VIVERE O VEGETARE ?
Pochi di voi, forse, sono iscritti agli aggiornamenti del blog di Bruno
Vergani (www.brunovergani.it). E’ un
amico a me molto caro per molte ragioni, tra le quali primeggia una: è il più
filosofo dei miei amici “non-filosofi” (intendo, ovviamente, “non-filosofi” per
professione). Vive tra i trulli pugliesi in una sorta di eremo (con la mite
moglie Laura e una corte innumerevole di felini) guadagnandosi da vivere con l’arte delle erbe ereditata da una
madre streghesca: è, insomma, un erborista in senso originario, autentico, non
un commerciante che rivende al minuto prodotti industriali acquistati
all’ingrosso. Ho detto che si guadagna da vivere col suo mestiere (o, meglio,
con la sua arte): e, per lui, “vivere” è molto più che vegetare. E’ mangiare e
dormire, vestirsi e fare l’amore,
viaggiare e accogliere ospiti (a cominciare dai due figli che lavorano
lontano): ma è anche leggere e scrivere, pensare e inventare.
Uno dei suoi post più recenti è intitolato “L’antieroe”: “Eccolo al risveglio
con miriadi di possibilità e qualche obbligazione, ma è un giorno lavorativo:
si alza, rinuncia alle possibilità e ottempera le obbligazioni. In questo
optare talvolta il piacere personale coincide col principio di realtà, sovente
diverge, allora implementa un compromesso un po’ nevrotico: adempie l’obbligo
sviluppando col pensiero nuove possibilità, talora correlate alla concretezza
del presente, di tanto in tanto libere e universali, eppure in quel espandersi
non trascura ciò che sta facendo. Qualcuno riesce a fare di meglio?”.
Come
tema di riflessione per i lettori di questa rubrica non c’è male: come
conciliare i nostri sogni con i nostri doveri quotidiani?
Ognuno di noi ha motivi sufficienti per
accogliere questa provocazione, per riflettervi con calma e, eventualmente, per
dare alla direzione della propria
piccola storia una sterzata. Se la filosofia non diventa scelta pratica,
decisione effettiva, gesto concreto…non è vera filosofia. Resta solo una
caricatura intellettualistica per fare sorridere lo spettatore.
In particolare le righe di Bruno
Vergani ci interpellano sulla nostra attività lavorativa. Vero è che già
trovare un lavoro, o inventarselo e avviarlo, è stato per molti di noi un
successo: ma che prezzo psicologico, emotivo, siamo disposti a pagare per non
restare inoccupati? Che per un tratto della nostra esistenza si sia disposti a
qualsiasi mestiere pur di acquistare autonomia dalla famiglia d’origine, è
comprensibilissimo. Meno comprensibile è che un lavoro occasionale per il quale
non ci sentiamo tagliati diventi il nostro destino definitivo.
In questa ipotesi, infatti, ne va
della nostra felicità: o, se la parola risulta eccessiva, della nostra serenità
interiore. Le condizioni del nostro lavoro infatti sono le condizioni di metà
della nostra giornata: se le avvertiamo come pesanti, soffocanti, difficilmente
potremo compensarle con le esperienze e le attività della seconda metà della
giornata. Certo, non tutti abbiamo la fortuna che Merleau-Ponty attribuiva alla
sua professione di filosofo (“Fare della propria passione il proprio
mestiere”); ma tutti possiamo impegnarci ad avvicinarci, a piccoli passi, verso
l’identificazione di ciò che amiamo con ciò che ci può sfamare.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Grazie caro Augusto per aver utilizzato un "mattone" di mia produzione come elemento di una più valorosa e articolata costruzione.
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