“Repubblica – Palermo”
28.12.2014
LA “PRIMAVERA” DI PALERMO E
ORLANDO: QUEL CHE ALONGI CAPI’ IN ANTICIPO
La morte di Nino Alongi, avvenuta esattamente un
mese fa, non è soltanto un doloroso addio per quanti l’abbiamo avuto maestro di
serietà umana (al punto da saper sorridere ironicamente degli altri e di sé
stesso), impegno professionale (come docente di filosofia e storia nei licei),
rigore politico (come fondatore del movimento “Una città per l’uomo”) e
eleganza di scrittura (come direttore della rivista “CxU” prima, come
opinionista dell’edizione palermitana di
“Repubblica” poi); ma anche la cifra simbolica della fine di una fase
importante della storia palermitana. La fase, intendo, che viene abitualmente
denominata – non senza trionfalismo eccessivo – “primavera di Palermo”.
Infatti già nel pieno svolgimento degi
eventi Nino Alongi - e non da solo
– mise in evidenza non solo gli inevitabili limiti umani di quell’esperienza
politica (se è vero il detto siciliano che chi mangia fa molliche), ma anche
i difetti genetici, costitutivi,
che ne minavano intrinsecamente il futuro. Di molti di quei difetti identificavamo una radice comune
nell’individualismo superoministico di Leoluca Orlando. Egli infatti, sapendo
di possedere numerose e preziose
doti (di intelligenza, di intuito, di istruzione, di esperienze europee, di
fantasia immaginativa, di loquela, di libertà dall’ossessione del denaro a ogni
costo and so on), si trovava lucidamente davanti due strade: mettere a
servizio di un progetto condiviso quelle doti davvero notevoli oppure
accentrare su di sé le energie che fervevano in città. E, consapevolmente, scelse
la seconda opzione.
Per
realizzarla furono necessari alcuni passaggi cruciali. Innanzitutto si dovette
auto-convincere di essere un fiore nel deserto, dimenticando - o continuando a ignorare – che, negli
stessi anni in cui egli poteva studiare diritto in Germania e frequentare
rampolli altolocati di varie nazionalità, altri più o meno coetanei lavoravano
silenziosamente nei quartieri, nelle scuole, nella sanità, nella magistratura,
in qualche raro settore pulito della stampa e della comunicazione, persino in
qualche enclave onesta all’interno
dei sindacati assetati di favori e clientele. Secondo passaggio: separare
nettamente i “suoi” dagli “altri” (nella convinzione che gli “altri” non
potevano restare osservatori critici ma dovevano o diventare discepoli o essere
considerati nemici). Come disse nel corso di un’assemblea al liceo Umberto,
“quando si è in guerra, non si discutono le decisioni del generale: o si
obbedisce o si è disertori”. Con questo criterio gli fu sempre più difficile
mantenere relazioni cooperative con le persone serie (da Sciascia a Falcone) e
sempre più facile circondarsi di ominicchi
e quaraquaqua (molti dei quali si
affrettarono, flaianamente, a correre in aiuto del vincitore quando la “Rete”
fu surclassata da “Forza Italia”). In questa logica, Orlando non accettò patti
organici con nessuna sigla, neppure con quella “Una città per l’uomo” che aveva
rotto con l’egemonia democristiana molti anni prima di lui stesso.
Terzo passaggio: alimentare, attraverso iniziative propagandistiche
sempre meno credibili, il mito del “sindaco antimafia” che trasforma Palermo
nella capitale mondiale della legalità. In continuità con i viceré spagnoli,
insomma, la politica divenne sempre più spettacolo; l’immagine più rilevante
dei fatti; l’eccezionalità della festa – o del festino – più significativa
dell’ordinarietà dei giorni feriali.
La strategia orlandiana non
poteva non portare al dissolvimento della “Rete” e alla rivincita nel governo
di Palermo del centro-destra peggiore d’Italia. Un governo così clientelare e
inefficace da rendere, agli occhi degli elettori, il ritorno di Orlando come il minore dei mali possibili. E’
ciò che si può verificare in questi mesi? Difficile rispondere. Certo è che
intere zone della città sono preda o della sporcizia (vedi le vie che
costeggiano in entrata l’autostrada da Messina) o dell’illegalità (vedi
automobili posteggiate in zone rimozione, persino in fila doppia, e bancarelle
enormi di venditori ambulanti nelle corsie preferenziali dei bus, in strade di
accesso alla città come via Oreto o di uscita come corso Tukory).
Ma se
Orlando non sembra all’altezza delle sue promesse elettorali di due anni fa, su
un punto almeno ha ragione da vendere: è riuscito a esportare in Italia il suo
modello. Berlusconi, Grillo, Renzi, Salvini (al di là delle differenze
innegabili) incarnano – tentano di incarnare – la figura dell’uomo solo al
comando. Al di là dei meriti, o dei demeriti, del duce di turno, gli italiani
sappiamo che è un metodo destinato alla catastrofe. Ma, anche se non lo
confessiamo volentieri, è un metodo che sopportiamo senza troppe resistenze
perché ci esonera dalla responsabilità di investire energie, tempo e attenzione
nella costruzione di “una città per l’uomo”.
Augusto Cavadi
3 commenti:
Ho letto il tuo articolo su Nino Alongi... hai centrato a pieno il giudizio su quella esperienza e su quanto Nino Alongi esprimeva. Nino veniva a trovarmi spesso alla Biblioteca, parlavamo a lungo concordando sul "modus operandi" dell'amministrazione. Soprattutto su quel motivo conduttore orlandiano della "logica delle appartenenze" e sui personaggi "alla corte" associati nella gestione. Io ebbi -nel momento più felice dell'esperienza primaverile- come del resto tanti, la lucidità di esprimergli il mio dissenso su aspetti delle sue decisioni in ambito beni culturali. Il risultato! messo all'indice, malgrado i risultati ottenuti nel tirare fuori la struttura da un oblio più che decennale... ecc. Auguri Augusto, e buon lavoro!
Feroce veritiera condivisibile analisi su Orlando e orlandismo, ti sei fatto un nemico per la vita! Ciao, Rosanna.
Caro Augusto,
Nino Alongi meritava un ricordo completo ed onesto, e tu hai saputo darglielo.
Quanto ad Orlando..sei stato SPIETATO, più feroce di quanto avrei scritto io.
Forse proprio perché tu gli eri oggettivamente più vicino ed hai nutrito speranze più grandi.
Io, legata ad un partito ancora parzialmente di massa, e che poteva esprimere una vera potenzialità rinnovatrice (cosa che purtroppo non riuscì a fare per tanti motivi, tra i quali anche il vampirismo che Orlando esercitò tra le sue file), pensai fin dall'inizio che l'isolamento superbo e sostanzialmente anticomunista di Orlando non gli avrebbe consentito di realizzare il rinnovamento annunziato.
Ma poi vi è stato il dilagare nazionale dell'attacco ai partiti, la cosiddetta "antipolitica" o "populismo" ecc. ecc. che, come giustamente scrivi, hanno ridimensionato il caso Orlando ad un episodio,forse anche esemplare, ma dentro un fenomeno più ampio con gli attuali "uomini soli al comando", fenomeno col quale,. prima o poi, il popolo italiano dovrà fare i conti ...
Simona
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