PREFAZIONE AL LIBRO:
PIPPO
DI VITA, Il tempo. Riflessioni filosofiche,
Mohicani, Palermo 2014
Quando Pippo Di Vita mi ha chiesto due parole introduttive alla sua
silloge di componimenti in versi sono rimasto spiazzato: che ha da dire un
filosofo su un testo d’ispirazione poetica? Alla fine mi sono arreso per due motivi.
Il primo, l’affetto per l’autore: una persona che dice solo cose che crede e
che si sforza di vivere con coerenza ciò che dice. Il secondo, la tematica che
fa da filo rosso dell’intera raccolta: il tempo, oggetto non esclusivo della
filosofia ma certamente ad essa pertinente. Almeno dai tempi in cui il
vescovo-filosofo Agostino di Tagaste scriveva, nelle sue Confessioni, di sapere cosa
fosse il tempo se nessuno glielo chiedeva e di non saperlo più se
qualcuno lo interrogava in proposito.
Per troppi secoli la mentalità Classica (greca, romana,
cristiano-medievale) ha ignorato la dimensione temporale o l’ha considerata una
copia scadente della ‘vera’ realtà (eterna, immobile). La Modernità ci ha
regalato invece una forte consapevolezza storica: l’uomo e la natura che lo
circonda sono in perenne divenire e questo continuo mutamento incide molto più
profondamente di quanto non si ritenga abitualmente.
La riflessione sul passaggio ininterrotto
da un prima a un poi è arrivata, con la filosofia contemporanea, a uno stadio
difficilmente superabile: con Hegel nell’Ottocento e con Heidegger nel
Novecento, è l’Essere stesso ad
essere concepito come Storia, come Tempo. E’ questa un’intuizione
particolarmente profonda o il tipico esempio di un’intuizione filosofica
perspicace che viene esasperata da chi l’ha sperimentata? Non è un bivio di
poco. Condividere lo storicismo assoluto (per cui tutto ciò che è, è storico; e
nulla può essere concepito come esistente al di fuori della storia) significa
rinunziare a qualsiasi principio o valore o criterio che non sia nato
storicamente e che non sia destinato a inabissarsi nel fiume della storia. La prospettiva è di accettare non solo
la relatività, ma anche il relativismo; in alcuni casi, e in alcuni sensi,
persino il nichilismo.
Intediamoci: queste considerazioni
non vogliono dimostrare qualche tesi. Affermare che , se l’Essere è tempo, non abbiamo alcuna eternità cui
aspirare, non può significare: “Allora, illudiamoci che non sia così e optiamo
per un’alternativa più confortante per le nostre angosce” . No: la filosofia
non deve essere un sedativo delle paure umane. Deve provare ad aprire gli occhi
sulla verità: quale che sia. (Tanto accettare la più amara delle verità è più
dignitoso la più suggestiva delle menzogne).
In queste composizioni liriche - se non prendo un abbaglio – Pippo Di
Vita cammina su un crinale affascinante e rischioso (affascinante perché
rischioso): fra una visione del tempo come una
delle dimensioni che può assumere l’Essere e un’altra visione del tempo
come l’essenza più intima dell’Essere
in quanto tale. Fra una prospettiva in cui ci sono enti temporali ma anche enti a-temporali (verità
logiche, matematiche, ontologiche,
etiche…) ; “Perché siamo il nostro tempo/Il dopo è infinito senza corso” (da Il Tempo); e una prospettiva in cui esistono solo enti temporali (che producono, nella storia, ‘prodotti’
illusoriamente metastorici): “Cambiare fa paura a chi è povero d’intenti/a chi
resta fisso nel suo cantuccio per paura del travaglio/ eppure non si è mai
uguali al giorno prima/ perché la vita è un vortice che muta in ogni istante”
(da Cambiamento) .
E poiché il suo registro linguistico, per
quanto pregno di valenze teoretiche, è letterario-poetico, non ha nessun dovere
di sciogliere la felice ambiguità: gli basta accompagnarci sulla linea di
confine fra il tempo categoriale e il tempo trascendentale. Anche se la sua
propensione, per ragioni sentimentali più che razionali, emerge chiaramente in più luoghi: “La
vita è un po’ come dormire/sogno e realtà/ si inseguono alacremente/ed al
risveglio/il tempo non è più tempo/ma un tuffo placido nell’infinito” (Sonno).
Augusto Cavadi
Filosofo consulente
www.augustocavadi.com
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