venerdì 21 novembre 2014

UN VESCOVO ANTICONFORMISTA E UN GIOVANE MARTIRE DELLA CAMORRA


“Centonove”
21.11.2014

DON PEPPINO DIANA, VITTIMA DI TERRA DI LAVORO

     Il 2014 volge a conclusione e sarebbe davvero triste se passasse sotto silenzio, almeno fuori dall’area campana, il ventesimo anniversario dell’assassinio di don Peppino Diana (caduto sotto il fuoco della camorra il 19 marzo del 1994). Grazie al vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, chi vuole ha adesso l’opportunità di leggere un breve ma denso volumetto (R. Nogaro, Peppino Diana. Il martire di Terra di Lavoro, Introduzione di Sergio Tanzarella, ll pozzo di Giacobbe, Trapani 2014, pp. 75, euro 7,00) che ne richiama il profilo biografico e, soprattutto, il significato civile e cristiano della testimonianza.
     L’autore, con poche ma efficaci pennellate, rappresenta il contesto in cui il delitto si è consumato: “A Casal di Principe, come in vaste zone della Campania, tanti interessi brutali fanno contrasto con le opere della carità. E’ la camorra. Non tanto un deperimento organico della società locale quanto una serpe che succhia il sangue della gente e mette il veleno nelle coscienze”.
     Don Nogaro, che sa per esperienza personale quanto sia difficile assumere un atteggiamento di opposizione al dominio mafioso (Sergio Tanzarella lo ricorda molto bene nella splendida Introduzione), tiene molto a sottolineare il coraggio anticonformistico del suo giovane prete (e di quella minoranza di preti che lo sostennero in vita): “La camorra sa bene come misurarsi con le forze dell’ordine e con le pattuglie armate, sa bene come incantare la magistratura e le ambizioni politiche dei rampanti locali. Rimane svigorita di fronte all’emergenza dello spirito e alla sollevazione delle coscienze. E non valgono tanto le denuncie piazzaiole e le manifestazioni scenografiche. Sono anzi applaudite queste forme di vistosità dagli stessi interessati, che sviluppano su di esse i loro punti di onore e le loro leggende memorabili”.  Ma che significa, in concreto, per un prete “sollevare le coscienze”? Significa abbandonare la logica introversa della cura dell’ovile per aprirsi alla logica estroversa del servizio alle pecore smarrite; deporre la mentalità del funzionario del tempio per convertirsi alla mentalità del diacono del territorio; lavorare per “la Chiesa del popolo, la Chiesa dei poveri, la Chiesa di tutti che considera peccati contro lo Spirito gli attentati contro la giustizia: evasione fiscale, assenze ingiustificate dal lavoro, disimpegno professionale, cultura della corruzione (intimidazioni, tangenti, estorsioni), raccomandazioni, interessi di lucro negli operatori sociali-sanitari-assistenziali, dispotismo politico piuttosto che professionalità del bene comune”.
     Se questa strategia pastorale fosse perseguita da tutti i preti, o per lo meno dalla maggioranza dei preti, don Peppino Diana sarebbe ancora vivo. Ma le chiese del Sud, nel loro insieme, non hanno voluto combattere il male della criminalità organizzata: “si sono rassegnate a forme di convivenza e di opportunismo”. L’eccezione dunque andava punita per evitare che la testimonianza diventasse contagiosa: “Giuseppe Diana, al fianco di Giuseppe Puglisi, è il riscatto delle nostre terre sempre oppresse, è l’anima pulita della nostra chiesa meridionale”.
     Come tutti i libri sinceri, anche questo suscita interrogativi impegnativi. Uno fra tutti: mafiosi e camorristi vanno scomunicati? Don Nogaro sostiene di no perché “la scomunica definisce la distruzione della persona, il fallimento totale della speranza. E la Chiesa delude profondamente quando scomunica”. Altri, come don Cosimo Scordato, autore del recente Dalla mafia liberaci o Signore ! (Di Girolamo, Trapani 2014), sono di parere opposto: la scomunica segna ed enfatizza un dato di fatto oggettivo, rimarca l’inconciliabilità della fedeltà al messaggio cristiano con la fedeltà ai dettami mafiosi. Forse esiste, anche se più faticosa, una terza via: rendere le comunità cristiane talmente fraterne, talmente libere dal potere e dal denaro, talmente appassionate alla difesa della legalità democratica e dell’ambiente naturale, da indurre i mafiosi ad auto-scomunicarsi. Sarà un giorno meraviglioso, se mai verrà, il giorno in cui camorristi e ‘dranghetisti si diranno: ma che ci andiamo a fare in chiesa? Là ci sono solo matti che vivono di poco per potersi aiutare a vicenda. Non c’è trippa per i gatti. Meglio provare ad infiltrarsi altrove…

                                                   Augusto  Cavadi
                                      www.augustocavadi.com

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