“Centonove”
21.11.2014
DON PEPPINO DIANA, VITTIMA DI TERRA DI LAVORO
Il 2014 volge a conclusione e sarebbe
davvero triste se passasse sotto silenzio, almeno fuori dall’area campana, il
ventesimo anniversario dell’assassinio di don Peppino Diana (caduto sotto il
fuoco della camorra il 19 marzo del 1994). Grazie al vescovo emerito di
Caserta, Raffaele Nogaro, chi vuole ha adesso l’opportunità di leggere un breve
ma denso volumetto (R. Nogaro, Peppino
Diana. Il martire di Terra di Lavoro, Introduzione di Sergio Tanzarella, ll
pozzo di Giacobbe, Trapani 2014, pp. 75, euro 7,00) che ne richiama il profilo
biografico e, soprattutto, il significato civile e cristiano della
testimonianza.
L’autore, con poche ma efficaci
pennellate, rappresenta il contesto in cui il delitto si è consumato: “A Casal
di Principe, come in vaste zone della Campania, tanti interessi brutali fanno
contrasto con le opere della carità. E’ la camorra. Non tanto un deperimento
organico della società locale quanto una serpe che succhia il sangue della
gente e mette il veleno nelle coscienze”.
Don Nogaro, che sa per esperienza
personale quanto sia difficile assumere un atteggiamento di opposizione al
dominio mafioso (Sergio Tanzarella lo ricorda molto bene nella splendida Introduzione), tiene molto a
sottolineare il coraggio anticonformistico del suo giovane prete (e di quella
minoranza di preti che lo sostennero in vita): “La camorra sa bene come
misurarsi con le forze dell’ordine e con le pattuglie armate, sa bene come
incantare la magistratura e le ambizioni politiche dei rampanti locali. Rimane
svigorita di fronte all’emergenza dello spirito e alla sollevazione delle
coscienze. E non valgono tanto le denuncie piazzaiole e le manifestazioni
scenografiche. Sono anzi applaudite queste forme di vistosità dagli stessi
interessati, che sviluppano su di esse i loro punti di onore e le loro leggende
memorabili”. Ma che significa, in
concreto, per un prete “sollevare le coscienze”? Significa abbandonare la
logica introversa della cura dell’ovile per aprirsi alla logica estroversa del
servizio alle pecore smarrite; deporre la mentalità del funzionario del tempio
per convertirsi alla mentalità del diacono del territorio; lavorare per “la
Chiesa del popolo, la Chiesa dei poveri, la Chiesa di tutti che considera
peccati contro lo Spirito gli attentati contro la giustizia: evasione fiscale,
assenze ingiustificate dal lavoro, disimpegno professionale, cultura della
corruzione (intimidazioni, tangenti, estorsioni), raccomandazioni, interessi di
lucro negli operatori sociali-sanitari-assistenziali, dispotismo politico piuttosto
che professionalità del bene comune”.
Se questa strategia pastorale fosse
perseguita da tutti i preti, o per lo meno dalla maggioranza dei preti, don
Peppino Diana sarebbe ancora vivo. Ma le chiese del Sud, nel loro insieme, non
hanno voluto combattere il male della criminalità organizzata: “si sono
rassegnate a forme di convivenza e di opportunismo”. L’eccezione dunque andava
punita per evitare che la testimonianza diventasse contagiosa: “Giuseppe Diana,
al fianco di Giuseppe Puglisi, è il riscatto delle nostre terre sempre
oppresse, è l’anima pulita della nostra chiesa meridionale”.
Come tutti i libri sinceri, anche questo
suscita interrogativi impegnativi. Uno fra tutti: mafiosi e camorristi vanno
scomunicati? Don Nogaro sostiene di no perché “la scomunica definisce la
distruzione della persona, il fallimento totale della speranza. E la Chiesa
delude profondamente quando scomunica”. Altri, come don Cosimo Scordato, autore
del recente Dalla mafia liberaci o
Signore ! (Di Girolamo, Trapani 2014), sono di parere opposto: la scomunica
segna ed enfatizza un dato di fatto oggettivo, rimarca l’inconciliabilità della
fedeltà al messaggio cristiano con la fedeltà ai dettami mafiosi. Forse esiste,
anche se più faticosa, una terza via: rendere le comunità cristiane talmente
fraterne, talmente libere dal potere e dal denaro, talmente appassionate alla
difesa della legalità democratica e dell’ambiente naturale, da indurre i
mafiosi ad auto-scomunicarsi. Sarà un giorno meraviglioso, se mai verrà, il
giorno in cui camorristi e ‘dranghetisti si diranno: ma che ci andiamo a fare
in chiesa? Là ci sono solo matti che vivono di poco per potersi aiutare a
vicenda. Non c’è trippa per i gatti. Meglio provare ad infiltrarsi altrove…
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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