“Repubblica – Palermo”
25.11.2014
QUELLA ESCLUSIONE SI E’ RIVELATA UN ERRORE
D’accordo: sapere che porte della Cappella Palatina si aprano per
celebrare le nozze della nipote del latitante Messina Denaro non è una bella
notizia. Né sarebbe risuonata elegante la notizia del conferimento del
sacramento della cresima al figlio di uno dei due fratelli Graviano in quella
stessa Cattedrale che ospita le spoglie di don Pino Puglisi, assassinato
proprio su ordine del padre del cresimando. Ma siamo sicuri che la decisione
migliore sia di impedire alcuni accessi ecclesiastici a eredi di famiglie
mafiose?
Premesso che solo gli stupidi trovano risposte semplici a domande
difficili, va però aggiunto che sarebbe ancor peggio evitare di porsi le
domande difficili per evitare di dare risposte sbagliate. Nel nostro caso mi
pare che il divieto di accesso alle chiese ai familiari dei mafiosi sia
controproducente da più punti di vista.
Innanzitutto perché non è giusto che le colpe dei padri ricadano
automaticamente sui figli e la percezione di un’ingiustizia subita può indurre
un familiare indeciso, specie se giovane, a propendere verso la china
dell’illegalità criminale piuttosto che verso la cima della legalità
democratica. Secondariamente perché sopprimere i sintomi oscura ulteriormente
diagnosi e terapie. Molto più istruttivo sarebbe, invece, risalire dalle
conseguenze alle cause: e su queste agire con incisività. Gli scenari
ipotizzabili in proposito sono, essenzialmente, due.
Secondo il primo, due fidanzati chiedono
il matrimonio cattolico o un adolescente il sacramento della confermazione
senza che nessun prete gli abbia spiegato, in fase di preparazione,
l’incompatibilità fra il vangelo e la lupara. Se così fosse avvenuto; se la
catechesi si riducesse a una spruzzatina di formule dottrinarie o a qualche
generico invito ad essere compassionevoli a natale con i bambini poveri, senza
sollevare interrogativi scomodi sui meccanismi sociali che producono
ingiustizia e corruzione; che responsabilità avrebbero i giovani di famiglia
mafiosa nel bussare alle porte delle parrocchie?
Secondo uno scenario alternativo, a
fidanzati e candidati alla cresima si dovrebbe spiegare con chiarezza che la
sequela di Cristo è una sequela entusiasmante ma impegnativa; che comporta una
chiara opzione per gli sfruttati,
per i minacciati, per i deboli; che non si possono servire due padroni, il Dio
della condivisione fraterna e il Satana dell’accaparramento ingiusto dei beni
altrui. Se ciò avvenisse - o se avvenisse più spesso di quanto
avvenga per ora nel Meridione italiano –
la pratica religiosa cesserebbe di essere un fatto burocratico e
folcloristico a cui accostarsi, sia pur episodicamente, per tradizione e per
conformismo. In questa ipotesi - e
solo in questa ipotesi – avrebbe senso per le chiese cristiane sia accogliere
festosamente i figli di boss che dichiarassero pubblicamente la propria
distanza dalla mentalità mafiosa familiare (Peppino Impastato è stato il primo,
ma non l’unico, a farlo in questi decenni); sia invitare quanti si rifiutassero
di esternare il proprio dissenso morale dal proprio ambiente di provenienza, e
si intestardissero nel perseguire le orme paterne, ad accontentarsi di un
rapporto individuale con Dio, senza chiedere la mediazione orizzontale di una
comunità che si ritiene chiamata a dare una testimonianza collettiva e organica
di un modo di vivere radicalmente altro rispetto alla sete di potere e di
denaro che caratterizza, da sempre, le associazioni mafiose. Non si
tratterebbe, insomma, di scomunicare attivamente qualcuno, bensì di fargli
prendere coscienza del fatto che si è già collocato da sé, autonomamente, fuori
dalla comunità dei “poveri di Javhé”.
Augusto Cavadi
1 commento:
Pensi e argomenti benissimo. Condivido.
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