Domenica 30 novembre alle ore 10,30 - presso i
locali della Comunità Cristiana El Shaddai di via C. Beccaria 9 (vicino Palazzo
Gamma, di fronte al Velodromo di Palermo) - terrò, all'interno della celebrazione liturgica festiva, una riflessione biblica sul tema "Le beatitudini evangeliche: significato originario e strumentalizzazione ideologica".
Il blog di Augusto Cavadi, filosofo-in-pratica di Palermo, con i suoi appuntamenti pubblici in Italia e i suoi articoli.
sabato 29 novembre 2014
venerdì 28 novembre 2014
CI VEDIAMO A PALERMO SABATO 29 NOVEMBRE 2014 ALLE ORE 17,00 ?
Sabato 30 novembre, alle ore 17.00, nell'ambito di una Giornata di studio sul "Libro Rosso" di C. G. Jung, presso il prestigioso Palazzo Alliata di Villafranca (nella piazza Bologni di Palermo), terrò una conversazione sul tema: "Il Libro rosso e la faticosa ricerca di una spiritualità laica".
Chi lo desidera può partecipare, gratuitamente, all'intera giornata (dalle 9,00 del mattino sino alle 18,30) nel corso della quale relazioneranno Livia Di Stefano, Ferdinando Testa e Vincenzo Guzzo.
Come potete intuire dai nomi degli altri tre relatori della giornata, sarò un...infiltrato nel magico e labirintico mondo degli junghiani. Ma il filosofo-consulente non può scegliere le tematiche: deve accettare di portare il contributo della propria riflessione là dove qualcuno lo convoca...
giovedì 27 novembre 2014
UN FIGLIO DEL BOSS GRAVIANO PUO' CRESIMARSI IN CATTEDRALE ?
“Repubblica – Palermo”
25.11.2014
QUELLA ESCLUSIONE SI E’ RIVELATA UN ERRORE
D’accordo: sapere che porte della Cappella Palatina si aprano per
celebrare le nozze della nipote del latitante Messina Denaro non è una bella
notizia. Né sarebbe risuonata elegante la notizia del conferimento del
sacramento della cresima al figlio di uno dei due fratelli Graviano in quella
stessa Cattedrale che ospita le spoglie di don Pino Puglisi, assassinato
proprio su ordine del padre del cresimando. Ma siamo sicuri che la decisione
migliore sia di impedire alcuni accessi ecclesiastici a eredi di famiglie
mafiose?
Premesso che solo gli stupidi trovano risposte semplici a domande
difficili, va però aggiunto che sarebbe ancor peggio evitare di porsi le
domande difficili per evitare di dare risposte sbagliate. Nel nostro caso mi
pare che il divieto di accesso alle chiese ai familiari dei mafiosi sia
controproducente da più punti di vista.
Innanzitutto perché non è giusto che le colpe dei padri ricadano
automaticamente sui figli e la percezione di un’ingiustizia subita può indurre
un familiare indeciso, specie se giovane, a propendere verso la china
dell’illegalità criminale piuttosto che verso la cima della legalità
democratica. Secondariamente perché sopprimere i sintomi oscura ulteriormente
diagnosi e terapie. Molto più istruttivo sarebbe, invece, risalire dalle
conseguenze alle cause: e su queste agire con incisività. Gli scenari
ipotizzabili in proposito sono, essenzialmente, due.
Secondo il primo, due fidanzati chiedono
il matrimonio cattolico o un adolescente il sacramento della confermazione
senza che nessun prete gli abbia spiegato, in fase di preparazione,
l’incompatibilità fra il vangelo e la lupara. Se così fosse avvenuto; se la
catechesi si riducesse a una spruzzatina di formule dottrinarie o a qualche
generico invito ad essere compassionevoli a natale con i bambini poveri, senza
sollevare interrogativi scomodi sui meccanismi sociali che producono
ingiustizia e corruzione; che responsabilità avrebbero i giovani di famiglia
mafiosa nel bussare alle porte delle parrocchie?
Secondo uno scenario alternativo, a
fidanzati e candidati alla cresima si dovrebbe spiegare con chiarezza che la
sequela di Cristo è una sequela entusiasmante ma impegnativa; che comporta una
chiara opzione per gli sfruttati,
per i minacciati, per i deboli; che non si possono servire due padroni, il Dio
della condivisione fraterna e il Satana dell’accaparramento ingiusto dei beni
altrui. Se ciò avvenisse - o se avvenisse più spesso di quanto
avvenga per ora nel Meridione italiano –
la pratica religiosa cesserebbe di essere un fatto burocratico e
folcloristico a cui accostarsi, sia pur episodicamente, per tradizione e per
conformismo. In questa ipotesi - e
solo in questa ipotesi – avrebbe senso per le chiese cristiane sia accogliere
festosamente i figli di boss che dichiarassero pubblicamente la propria
distanza dalla mentalità mafiosa familiare (Peppino Impastato è stato il primo,
ma non l’unico, a farlo in questi decenni); sia invitare quanti si rifiutassero
di esternare il proprio dissenso morale dal proprio ambiente di provenienza, e
si intestardissero nel perseguire le orme paterne, ad accontentarsi di un
rapporto individuale con Dio, senza chiedere la mediazione orizzontale di una
comunità che si ritiene chiamata a dare una testimonianza collettiva e organica
di un modo di vivere radicalmente altro rispetto alla sete di potere e di
denaro che caratterizza, da sempre, le associazioni mafiose. Non si
tratterebbe, insomma, di scomunicare attivamente qualcuno, bensì di fargli
prendere coscienza del fatto che si è già collocato da sé, autonomamente, fuori
dalla comunità dei “poveri di Javhé”.
Augusto Cavadi
domenica 23 novembre 2014
INVITO A DIALOGARE VIA MAIL, FB O SETTIMANALE CARTACEO
“MONITOR” 17.10.2014
CI FACCIAMO QUALCHE BELLA RAGIONATA ?
Comunemente
la filosofia viene considerata una disciplina
scolastica : alcuni la ricordano astrusa, noiosa e del tutto priva di incidenza
nella vita effettiva; altri ne hanno un ricordo più gradevole ma comunque sfocato;
la maggior parte delle persone, poi, non ha alcuna idea precisa perché a scuola
non l’ha studiata né male né bene.
Prima di diventare una materia universitaria e di alcuni indirizzi
scolastici, la filosofia è stata per millenni un modo di vivere: Socrate, Platone, Epicuro, sant’Agostino, Pascal,
Spinoza, Locke, Marx…non sono mai stati professori. Erano soldati o preti,
scienziati o pulitori di occhiali, medici o leader politici:
vivevano la vita di ognuno, ma venivano chiamati ‘filosofi’ perché la vivevano
con un atteggiamento mentale particolare. La vivevano col desiderio di
interrogarsi, con tutti i mezzi possibili, sul significato di ciò che facevano,
di ciò che li circondava, di ciò che accadeva: volevano sapere che significasse
conoscere, amare, soffrire, essere giusti, provare piacere, morire. E tanto
altro ancora. Anzi, per essere precisi: volevano
sapere tutto ciò che si può sapere, a cominciare dal perché alcune cose le
sappiamo con certezza e tante altre le ignoriamo con altrettanta certezza.
Persone così innamorate del sapere, così curiose, così felicemente o
doloramente inquiete ne troviamo anche oggi in tutti gli strati sociali e in
tutti gli ambienti sociali: chi di noi non conosce un calzolaio o un avvocato,
un venditore ambulante o un ingegnere, che non si accontenta del proprio
mestiere ma ama pensare, leggere, confrontarsi con gli altri per andare sempre
un po’ più in là di ciò che la gente accetta conformisticamente?
Se anche fra i lettori di questo settimanale ci fosse qualche
filosofo-per-passione (se ne trovano perfino fra i professori di filosofia,
anche se raramente) , sarebbe bello provare a ragionare insieme utilizzando sia il sito web sia questa rubrica
sull’edizione cartacea. Certo non si può trattare di una conversazione
filosofica completa che è possibile solo se all’affermazione di uno segue
l’opinione di un altro e poi il primo risponde e poi il secondo risponde alla
risposta del primo…e così via. Possiamo però avviare delle riflessioni critiche
che poi ognuno potrà sviluppare per conto proprio: o nel silenzio della propria
stanza (dialogando con sé stesso) o trovando un interlocutore in carne ed ossa
disposto a dialogare con lui (un marito, una figlia, un amico o un
filosofo-consulente che abbia aperto uno studio proprio per accogliere
professionalmente quanti cercano qualcuno con cui con-filosofare).
Concretamente, allora, chi vuole ponga una questione che veramente gli
sta a cuore, partendo da una situazione personale o sociale che sta
attraversando e mi scriva all’indirizzo di posta elettronica (acavadi@alice.it) o lasci una lettera
scritta a mano alla redazione di questo giornale. Vedremo insieme chi di noi
vorrà poi riprendere la questione posta e partecipare alla discussione
chiarificatrice in comune. Molto probabilmente l’integrarsi di più punti di
vista, argomentati e non asseriti dogmaticamente, getterà sull’interrogativo
iniziale (“Ha senso essere fedeli nei rapporti umani?” “Ha senso rischiare la
vita per non pagare il pizzo?” “Che senso può riconoscersi in una malattia
grave terminale?”…) un po’ di luce chiarificatrice. E, come dicono gli
Orientali, meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
venerdì 21 novembre 2014
UN VESCOVO ANTICONFORMISTA E UN GIOVANE MARTIRE DELLA CAMORRA
“Centonove”
21.11.2014
DON PEPPINO DIANA, VITTIMA DI TERRA DI LAVORO
Il 2014 volge a conclusione e sarebbe
davvero triste se passasse sotto silenzio, almeno fuori dall’area campana, il
ventesimo anniversario dell’assassinio di don Peppino Diana (caduto sotto il
fuoco della camorra il 19 marzo del 1994). Grazie al vescovo emerito di
Caserta, Raffaele Nogaro, chi vuole ha adesso l’opportunità di leggere un breve
ma denso volumetto (R. Nogaro, Peppino
Diana. Il martire di Terra di Lavoro, Introduzione di Sergio Tanzarella, ll
pozzo di Giacobbe, Trapani 2014, pp. 75, euro 7,00) che ne richiama il profilo
biografico e, soprattutto, il significato civile e cristiano della
testimonianza.
L’autore, con poche ma efficaci
pennellate, rappresenta il contesto in cui il delitto si è consumato: “A Casal
di Principe, come in vaste zone della Campania, tanti interessi brutali fanno
contrasto con le opere della carità. E’ la camorra. Non tanto un deperimento
organico della società locale quanto una serpe che succhia il sangue della
gente e mette il veleno nelle coscienze”.
Don Nogaro, che sa per esperienza
personale quanto sia difficile assumere un atteggiamento di opposizione al
dominio mafioso (Sergio Tanzarella lo ricorda molto bene nella splendida Introduzione), tiene molto a
sottolineare il coraggio anticonformistico del suo giovane prete (e di quella
minoranza di preti che lo sostennero in vita): “La camorra sa bene come
misurarsi con le forze dell’ordine e con le pattuglie armate, sa bene come
incantare la magistratura e le ambizioni politiche dei rampanti locali. Rimane
svigorita di fronte all’emergenza dello spirito e alla sollevazione delle
coscienze. E non valgono tanto le denuncie piazzaiole e le manifestazioni
scenografiche. Sono anzi applaudite queste forme di vistosità dagli stessi
interessati, che sviluppano su di esse i loro punti di onore e le loro leggende
memorabili”. Ma che significa, in
concreto, per un prete “sollevare le coscienze”? Significa abbandonare la
logica introversa della cura dell’ovile per aprirsi alla logica estroversa del
servizio alle pecore smarrite; deporre la mentalità del funzionario del tempio
per convertirsi alla mentalità del diacono del territorio; lavorare per “la
Chiesa del popolo, la Chiesa dei poveri, la Chiesa di tutti che considera
peccati contro lo Spirito gli attentati contro la giustizia: evasione fiscale,
assenze ingiustificate dal lavoro, disimpegno professionale, cultura della
corruzione (intimidazioni, tangenti, estorsioni), raccomandazioni, interessi di
lucro negli operatori sociali-sanitari-assistenziali, dispotismo politico piuttosto
che professionalità del bene comune”.
Se questa strategia pastorale fosse
perseguita da tutti i preti, o per lo meno dalla maggioranza dei preti, don
Peppino Diana sarebbe ancora vivo. Ma le chiese del Sud, nel loro insieme, non
hanno voluto combattere il male della criminalità organizzata: “si sono
rassegnate a forme di convivenza e di opportunismo”. L’eccezione dunque andava
punita per evitare che la testimonianza diventasse contagiosa: “Giuseppe Diana,
al fianco di Giuseppe Puglisi, è il riscatto delle nostre terre sempre
oppresse, è l’anima pulita della nostra chiesa meridionale”.
Come tutti i libri sinceri, anche questo
suscita interrogativi impegnativi. Uno fra tutti: mafiosi e camorristi vanno
scomunicati? Don Nogaro sostiene di no perché “la scomunica definisce la
distruzione della persona, il fallimento totale della speranza. E la Chiesa
delude profondamente quando scomunica”. Altri, come don Cosimo Scordato, autore
del recente Dalla mafia liberaci o
Signore ! (Di Girolamo, Trapani 2014), sono di parere opposto: la scomunica
segna ed enfatizza un dato di fatto oggettivo, rimarca l’inconciliabilità della
fedeltà al messaggio cristiano con la fedeltà ai dettami mafiosi. Forse esiste,
anche se più faticosa, una terza via: rendere le comunità cristiane talmente
fraterne, talmente libere dal potere e dal denaro, talmente appassionate alla
difesa della legalità democratica e dell’ambiente naturale, da indurre i
mafiosi ad auto-scomunicarsi. Sarà un giorno meraviglioso, se mai verrà, il
giorno in cui camorristi e ‘dranghetisti si diranno: ma che ci andiamo a fare
in chiesa? Là ci sono solo matti che vivono di poco per potersi aiutare a
vicenda. Non c’è trippa per i gatti. Meglio provare ad infiltrarsi altrove…
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
mercoledì 19 novembre 2014
IL SISTEMA DELLE TRUFFE IN ITALIA
“Centonove”
7.11.2014
L’ESERCITO DELLA TRUFFA
Non è vero che l’Italia sia fanalino di coda in
Europa da ogni punto di vista: quanto a numero ed entità di truffe ai danni
delle risorse europee primeggiamo. Né è vero che la Sicilia sia fanalino di
coda in Italia da ogni punto di vista: quanto a numero ed entità di truffe ai
danni delle risorse europee primeggiamo. Come spiegano Francesco Appari e
Giacomo Di Girolamo in un libro immeritatamente trascurato (L’esercito della truffa. La Sicilia delle
cricche e dei furbetti, Round Robin, Roma 2013, pp. 133, euro 12,00), “la
Sicilia è la regione che ha beneficato in assoluto della quota maggiore di
fondi nel periodo 2000 – 2006, ben 17 miliardi, addirittura cinque volte
superiore al totale assegnato al Centro-Nord (3 miliardi e mezzo)”. Dovremmo
essere un paradiso terrestre, ma non lo siamo: infatti “su 2.177 progetti
finanziati ne sono stati conclusi
- al 30 giugno del 2011 – 186, con una percentuale (8,6 %) pari alla
metà della media delle regioni del Mezzogiorno (16 %)”.
Ovviamente le truffe ai danni
dell’Unione Europea non sono le sole consumate dai nostri specialisti locali.
Gli autori della ricerca giornalistica hanno l’imbarazzo di elencare in maniera
completa le tipologie: corsi di formazione a misura dei…formatori, contact center fantasma, agenzie di
scommesse capaci di alterare i dati da comunicare ai Monopoli di Stato,
compagnie turistiche che acquistano uno yacht
extra-lusso con i finanziamenti ottenuti per l’acquisto di ventiquattro
imbarcazioni; cooperative attivissime solo sulla…carta; compagnie di
assicurazioni con “finte vittime, finti incidenti, soldi veri”; “falsi
promotori finanziari”; morti che risultano abbastanza vivi da riscuotere
pensioni e altri emolumenti assistenziali; and
so on.
Se nel libro non ci sono dati
cronologicamente più recenti è perché ”la truffa è un sistema così congegnato e
perfetto, ormai, che si viene a scoprire dopo, molto dopo, quando il danno è
stato fatto. Le Procure indagano in Sicilia sui fatti di cinque, sei anni
prima”. La diagnosi è chiara,
molto meno evidente la strategia terapeutica: ma “già dare strumenti più
efficienti agli investigatori, investire nella formazione del personale,
accelerare i tempi dei processi” potrebbero costituire dei passi in avanti
concreti. E, magari, a monte, insinuare fra la gente il dubbio che il denaro
non dia la serenità a cui tutti aspiriamo. Soprattutto quando è sottratto
all’uso comune.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
lunedì 17 novembre 2014
CI VEDIAMO MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE A PALERMO ?
Alle 18. 30 (esatte !) di mercoledì 19 novembre , presso la libreria indipendente "Modusvivendi", presenterò “Palermo. Guida insolita alla scoperta di
una città indecifrabile”(Di Girolamo, Trapani 2014, euro 9,90).
Nel corso della presentazione sarò felicemente interrotto dai commenti al pianoforte di Giorgio Gagliano e da letture di Arianna Gagliano
Vini offerti da Tasca d'Almerita sponsor di cultura.
Nel corso della presentazione sarò felicemente interrotto dai commenti al pianoforte di Giorgio Gagliano e da letture di Arianna Gagliano
Vini offerti da Tasca d'Almerita sponsor di cultura.
domenica 16 novembre 2014
Perchè il Liceo di Castelvetrano (Trapani) non può avere l'aula magna intestata a Peppino e Rita
“Repubblica – Palermo”
13.11.2014
I SOFISMI DI UNA PRESIDE CHE
NON AMA L’ANTIMAFIA
I dirigenti scolastici non sono né migliori né
peggiori della media dei cittadini. Dunque non può stupire che fra di loro ci
siano pochi impegnati attivamente e sistematicamente contro il dominio mafioso;
ancor meno numerosi collusi con esponenti di Cosa nostra; e una grande
maggioranza di equilibristi che decidono di non stare né con la mafia né contro
la mafia. Non può stupire, ma può lo stesso amareggiare. Così come ci amareggia
apprendere che la preside del Liceo “Cipolla” di Castelvetrano, patria di
Matteo Messina Denaro, abbia ignorato la delibera del Collegio dei docenti e
del Consiglio d’Istituto di intitolare l’Aula Magna dell’Istituto a Peppino
Impastato e a Rita Atria. Nell’impossibilità di contattare per telefono la
signora Tania Barresi, che si è trovata più di una volta fuori ufficio da
qualche minuto prima di essere chiamata dal centralino della scuola, dobbiamo
accontentarci delle motivazioni riportate dalla stampa locale: “Fosse per me,
intitolerei l’aula magna ad un uomo di cultura, sarebbe più proficuo per gli
studenti”.
Se fosse una discussione serena e seria si potrebbe
obiettare che Peppino Impastato è stato, anche, un uomo di cultura
(giornalista, poeta, politologo, animatore di iniziative culturali) e che la
stessa Rita Atria, con la sua decisione di passare dalla parte di Paolo
Borsellino, ha inciso nella cultura siciliana più di tanti di noi che scriviamo
libri e teniamo conferenze. Ma chiaramente siamo davanti a argomentazioni
sofistiche che coprono una posizione facile da assumere e difficile da
legittimare: la scuola deve restare estranea alle problematiche socio-politiche
contemporanee, soprattutto quando si toccano nervi scoperti. Anche l’altra
grande agenzia educativa capillarmente sparsa in Italia - intendo la Chiesa cattolica – ha
avuto ed ha tra i suoi esponenti (soprattutto fra i preti della provincia di
Trapani) un atteggiamento analogo. Se il sistema mafioso fosse un mero fenomeno
delinquenziale, questa neutralità della scuola e della Chiesa cattolica si
potrebbero in qualche misura giustificare: non mi pare che ci siano progetti
educativi centrati sulla lotta al contrabbando delle sigarette o
all’adulterazione dei vini. Purtroppo, però, la mafia non è solo un soggetto
militare, ma molto altro: e, fra questo molto altro, è anche un’agenzia
culturale. E’ portatrice di credenze, simboli, assiomi etici, paradigmi
pedagogici: inquina e corrompe i cervelli delle nuove leve, adesca gli animi di
favoreggiatori e complici vari. Va dunque combattuta con tutte le armi del
potere politico (almeno nella misura in cui non è esso stesso colluso), del
potere giudiziario, ma anche del potere culturale. I mafiosi hanno una “visione
del mondo” che comporta una certa concezione della vita, della morte, della
famiglia, dell’amicizia, dell’onore, della lealtà, della solidarietà, della
religione: intellettuali ed educatori (dalle scuole elementari all’università)
non possono esimersi dall’analizzare questa filosofia mafiosa e dal tentare di
destrutturarla nelle menti dei giovani, proponendo alternative credibili e
appetibili.
Proprio il dirigente
scolastico Francesco Fiordaliso , che ha lasciato a settembre la poltrona
all’attuale preside Barresi, era
noto per l’impegno costante in questa battaglia culturale contro la tavola dei
valori mafiosi. Chi gli è succeduto nel compito difficilissimo di gestire il
liceo ha ragione nel rivendicare la propria originalità individuale (“Non
voglio sminuire il lavoro del mio predecessore, che stimo, ma io non sono
”Fiordaliso Bis” e lavoro in maniera diversa”); purché la legittima
rivendicazione della propria personalità e del proprio stile educativo non
diventi un alibi per zittire la volontà democratica degli altri membri della
comunità scolastica. Soprattutto quando tale volontà democratica si esprime in
difesa dei valori costituzionali che le organizzazioni mafiose (spesso, proprio
nella provincia di Trapani, in combutta con associazioni segrete e circoli
elitari) minacciano alla radice. Se si tratta di implementare la formazione
complessiva di docenti e discenti, ogni proposta ulteriore non può che essere
benvenuta: ma perché costruire il nuovo sulle macerie di ciò che è stato
avviato con fatica e pazienza negli anni precedenti?
Augusto
Cavadi
giovedì 13 novembre 2014
Ci vediamo a Trapani sabato 15 novembre 2014?
Ci vediamo a Trapani sabato 15 novembre?
Avremo
due occasioni per incontrarci.
* Alle ore 17,30 presenterò il libro (scritto con
l’aiuto di Elisa Poma), La bellezza della
politica. Attraverso e otre le ideologie del Novecento, presso l’Istituto “Leonardo da
Vinci” (piazza XXI Aprile,
Trapani).
* Successivamente, alle ore 20.30 esatte, condurrò un aperitivo filosofico
presso il Bar Bandini (v. Beatrice 1, al centro storico di Trapani).
lunedì 10 novembre 2014
E' uscito l'ultimo libro di Andrea Cozzo: "Stranieri. Figure dell'Altro nella Grecia antica".
La relazione di Andrea Cozzo al seminario della scorsa primavera organizzato dalla Scuola di formazione etico-politica "G. Falcone" sull'immigrazione in Europa è diventata un libro !
Stranieri. Figure dell'Altro nella Grecia antica
(Di Girolamo, Trapani 2014, pp. 158, euro 12,00)
è già disponibile nelle principali librerie, fisiche e virtuali, italiane.
Data l'importanza del volumetto, agile ma intenso, sarà presentato
in varie città italiane.
Prima occasione: giovedì 13 novembre alle 17,30 alla Feltrinelli di Palermo.
Sono sicuro che chi conosce la competenza, e soprattutto la saggezza esistenziale, di Andrea non perderà l'occasione di incontrarlo de visu e, comunque, di acquistare questa sua ultima opera.
Stranieri. Figure dell'Altro nella Grecia antica
(Di Girolamo, Trapani 2014, pp. 158, euro 12,00)
è già disponibile nelle principali librerie, fisiche e virtuali, italiane.
Data l'importanza del volumetto, agile ma intenso, sarà presentato
in varie città italiane.
Prima occasione: giovedì 13 novembre alle 17,30 alla Feltrinelli di Palermo.
Sono sicuro che chi conosce la competenza, e soprattutto la saggezza esistenziale, di Andrea non perderà l'occasione di incontrarlo de visu e, comunque, di acquistare questa sua ultima opera.
domenica 9 novembre 2014
INTERROGATIVI FILOSOFICI: NE DISCUTIAMO VIA E-MAIL ?
Care e cari,
un settimanale cartaeco di Trapani (www.monitortp.it) mi ha gentilmente messo a disposizione una rubrica ("Spazio aperto") per dialogare con chi lo desideri su tematiche di "filosofia-in-pratica". Da oggi metterò sul mio blog le 'puntate' sinora pubblicate nella viva speranza che alcuni/e di voi vorranno porre questioni e proporre considerazioni critiche dalle quali possa trarre materiali interessanti per il mio 'pezzo' settimanale.
Con affetto,
Augusto
un settimanale cartaeco di Trapani (www.monitortp.it) mi ha gentilmente messo a disposizione una rubrica ("Spazio aperto") per dialogare con chi lo desideri su tematiche di "filosofia-in-pratica". Da oggi metterò sul mio blog le 'puntate' sinora pubblicate nella viva speranza che alcuni/e di voi vorranno porre questioni e proporre considerazioni critiche dalle quali possa trarre materiali interessanti per il mio 'pezzo' settimanale.
Con affetto,
Augusto
“Monitor” 10.10.14.
Quando
un mio amico trapanese ha avuto in mano il depliant
in cui si annunziavano 8 aperitivi filosofici mensili presso il bar Bandini
di via Beatrice gli è scappato da ridere: “E tu pensi che, per otto sabati,
alle 20 e trenta, troverai nella mia città persone disposte a incontrarsi per
parlare di filosofia? Se ne venrranno più di quattro o cinque potrai gridare al
miracolo: vuol dire che Trapani ha subito una modificazione genetica”.
Immaginate dunque la mia sorpresa quando, all’ora e al posto stabiliti
dall’associazione culturale “La calendula” (che mi aveva formulato la
proposta), ho trovato una trentina di persone, disciplinatamente sedute a
cerchio intorno a due tavolinetti. E tutte disposte ad ascoltare, a riflettere,
a dire la propria. In non più di dieci minuti ho offerto lo spunto di
discussione della serata: che cosa sia davvero l’amore platonico. Nell’opinione
comune si tratta di una relazione puramente mentale, disincarnata, asessuata,
fra due tipi che vorrebbero ma non se la sentono…In realtà, se andiamo a
leggere le pagine bellissime del Simposio
(o Convito) in cui Platone fa
raccontare da Socrate ciò che una donna – Diotima – aveva un giorno insegnato
sull’amore, scopriamo che la concezione platonica è ben diversa dai luoghi
comuni che gli si attribuiscono. Egli infatti sostiene con chiarezza che l’eros
scatta solo in presenza di un singolo corpo bello: vediamo un altro (o
un’altra: Platone non andava troppo per il sottile sulle preferenze sessuali) e
ne restiamo attratti. Vogliamo unirci fisicamente con lui (o con lei). La
maggior parte della gente si ferma a questo primo gradino e, tramontata la
passione sessuale, resta con il vuoto in mano. Platone ritiene che il filosofo
non si accontenta del primo stadio dell’amore ma sa elevarsi a un secondo
livello: l’amore verso la bellezza corporea in generale. Dunque il senso
estetico che sa apprezzare anche la bellezza di una donna che non è la nostra o
di una figura scolpita nel marmo. Ma è questo il top della bellezza? Platone pensa di no. Egli ritiene infatti che,
al di sopra della bellezza estetica, ci sia la bellezza morale: esiste un
fascino in figure come Falcone e Borsellino che danno volontariamente la vita
per la giustizia e la libertà dei concittadini. Anzi, aggiunge il filosofo ateniese,
ancora più affascinante della bellezza etica, c’è la bellezza delle
istituzioni: una città in cui l’amministrazione funziona, le strade sono
pulite, la gente rispetta gli altri, è una città bella. Essa esercita un
fascino che, purtroppo, molti di noi meridionali stentiamo a percepire…Ma,
sfidando il paradosso, Platone va ancora più a fondo (o, se si preferisce,
ancora più in alto): e indica il gradino successivo dell’amore per le verità
scientifiche. Solo chi di noi ha faticato dietro un telescopio o dietro un
microscopio per anni, prima di fare una nuova scoperta astronomica o chimica,
può capire a quale passione si stia riferendo Platone. A questo punto il
racconto accenna a un vertice sommo: l’amore non per cose belle, non per azioni
belle, non per verità scientifiche belle, ma per la Bellezza assoluta (che
coincide con il Bene supremo). Ma qui siamo oltre la ragione, oltre la
possibilità di parlare: solo i mistici sanno che cosa significa amare la
Sorgente eterna di tutte le bellezze passeggere.
Forse vorreste sapere che cosa hanno detto i partecipanti all’aperitivo
filosofico del 4 ottobre 2014 (dai trentenni agli ultrasettantenni): ma il mio
spazio a disposizione è finito. Se volete, fatevi vivi sabato 15 novembre:
stessa ora, stesso posto.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
giovedì 6 novembre 2014
L'OMERTA' DI SALVATORE CUFFARO
“Repubblica – Palermo”
4.11.2014
L’omertà di Cuffaro e i valori cristiani
Il comportamento esemplare di Salvatore Cuffaro come detenuto ha una
macchia che gli impedisce di ottenere l’uscita dal carcere per l’affidamento ai
servizi sociali: persevera nel rifiuto di collaborare con i magistrati per consentire l’individuazione delle
“talpe” interne agli apparati investigativi e giudiziari. La notizia di cronaca
merita qualche riflessione ulteriore non solo per la notorietà pubblica del
condannato ma soprattutto per la tipologia simbolica del suo atteggiamento.
Ridotta all’osso, la questione può
essere sintetizzata in una domanda: al di là dell’aspetto legale (penalmente
rilevante), dal punto di vista morale fa bene Cuffaro a non denunciare i suoi
ex-complici? Né sorprenda l’aggettivo ‘morale’ all’interno di un modus operandi criminale: la mafia è
mafia – e non deliqnuenza comune – proprio perché una società improntata a
un’etica. Disgustosa, inaccettabile quanto si voglia; ma un’etica.
Ora, in base alla tavola dei valori mafiosi, il comportamento di Cuffaro
è ineccepibile; anzi inevitabile. La fedeltà alle regole, esplicite e
implicite, dell’organizzazione criminale
è , in teoria, un principio etico irrinunciabile (dico in teoria perché,
in pratica, la storia più che secolare di Cosa nostra ci attesta trasgressioni
continue e clamorose): e, tra queste regole, una delle più enfatizzate è
l’omertà. Ogni forma di collaborazione con il sistema giudiziario statale viene
considerata un tradimento della “fratellanza di sangue”: dunque,
potenzialmente, punibile con la pena di morte. Del tutto comprensibile - il che non significa giustificabile –
che Cuffaro (“favoreggiatore” dei mafiosi) abbia paura e preferisca un anno di
galera in più rispetto al rischio di gravi ritorsioni.
Ma Cuffaro è anche, dichiaratamente, cattolico. Ciò non dovrebbe essere
un fattore decisivo per dargli coraggio? La fiducia in un Maestro che si è
fatto crocifiggere per difendere la causa degli ultimi della storia, delle
vittime di ogni forma di prepotenza e di sfruttamento, non dovrebbe sostenerlo
nella difficile scelta a cui è chiamato dalla legge degli uomini e dalla sua
coscienza di credente? Purtroppo la risposta non è così inequivoca come dovrebbe
risultare. Ci sono inchieste, interviste, documenti vari (molti dei quali
confluiti nel bel libro della sociologa palermitana Alessandra Dino La mafia devota) che attestano, da parte
di preti e personaggi interni al mondo cattolico, una mentalità ben diversa. A
parere di tali esponenti della Chiesa cattolica il pentimento soggettivo, nel
“foro interiore”, sarebbe necessario e sufficiente: opzionale, o addirittura
sconsigliabile, tradurre in gesti pubblici la denunzia degli ex-complici.
Quando in determinate contingenze l’arcivescovo Di Giorgi chiese a un gruppo di docenti della
Facoltà teologica un parere sulla questione, la risposta fu netta: il cattolico
è, prima di tutto, un cittadino. Se esce da Cosa nostra deve testimoniare
davvero la propria conversione riparando, per quanto possibile, le ferite
procurate; restituendo il mal tolto; aiutando lo Stato a perseguire i criminali
e a impedire che continuino a seminare paura e morte. Purtroppo quel parere
autorevole, confermato dal cardinale dell’epoca, è poco noto persino negli
ambienti cattolici e, come dimostra il caso Cuffaro, disatteso da quei pochi
che lo conoscono. Non resta che sperare che l’atteggiamento dell’ex-presidente
della regione siciliana non venga assunto, nel presente e nel futuro, a modello
da altri in situazioni analoghe. Comunque anche questa vicenda conferma quanto
sia arduo il percorso di esodo della Sicilia dal sistema di dominio mafioso.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
martedì 4 novembre 2014
Ci vediamo mercoledì 5 novembre, alle ore 18.15, a Palermo ?
Sapete cosa sia l'ecumenismo? Bruno Di Maio l'ha raccontato in chiave autobiografica nel suo L'ecumenismo fa bene al cuore (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2014). Domani, alle 18.15, presenteranno l'agile volumetto - insieme all'autore - Peter Ciaccio e Renata Brambille. Introdurrò l'incontro e coordinerò il il dibattito.
domenica 2 novembre 2014
Primo bilancio del Convegno sulle spiritualità nel Mediterraneo oggi
Care e
cari,
grazie a tutti quelli di voi che mi
chiedono, in queste ore, come è andato il Convegno su “La dimensione spirituale
della vita nel Mediterraneo. Il sé e l’altro: identità e accoglienza” svoltosi
a Palermo dal 29 al 31 ottobre. Provo a socializzare un primo tentativo di
bilancio.
Il dato più facile da registrare è,
ovviamente, numerico: nelle cinque sessioni dalla sera del 29 alla sera del 31
ottobre abbiamo avuto una media di 70 – 80 persone (considerando le mattinate
in cui delle classi scolastiche hanno spostato l’asticella oltre il centinaio
di presenze e le sessioni pomeridiane in cui non si è mai andato al di sotto
delle 40-50 persone).
Più delicato, e articolato, il bilancio qualitativo. L’esordio è
stato davvero felice: Francesco Forgione (nella qualità di direttore generale
della Fondazione Federico II di Palermo, “braccio culturale” dell’Assemblea
regionale siciliana) non si è limitato a un saluto ‘formale’ ma ha tratteggiato
un affresco realistico e aggiornato della situazione socio-politica della
Sicilia nel contesto mediterraneo. Annamaria Amitrano ha, intelligentemente,
evitato di spendere i 45 minuti a disposizione di ogni relatore per descrivere
la religiosità popolare, preferendo piuttosto offrire alcuni strumenti
interpretativi elaborati dall’antropologia culturale e concentrarsi su un
aspetto ricorrente: la priorità della produzione simbolica “dal basso”
rispetto alle forme “alte” di religiosità (su cui per altro l’impronta
della prima non cessa di esercitare il proprio condizionamento). Alberto G.
Biuso ha poi esposto, con il sussidio di alcune riproduzioni fotografiche di
opere d’arte, una assai suggestiva apologia del “paganesimo”: a suo parere
l’idea di un panteismo, che riconosca nel politeismo il tentativo di nominare
in molti modi la dimensione sacra dell’essere, non è per nulla un reperto
archeologico ma vive nell’arte e in generale nella cultura contemporanea una
stagione tanto più felice quanto maggiori sono le difficoltà in cui si
dibattono le religioni
monoteistiche.
Nel medesimo orizzonte
immanentistico si è inserito la
mattina seguente, con grande forza comunicativa, Orlando Franceschelli: non in
nome di una metafisica, però, bensì sulla base della fiduciosa accettazione
delle acquisizioni scientifiche attuali (in particolare dell’evoluzionismo
cosmologico e biologico). Il suo “naturalismo”, lungi dall’essere riduttivo
rispetto alla ricchezza dell’umano, si auto-interpreta come capace di una
spiritualità caratterizzata dalla ricerca esperienziale di una sobria “felicità
possibile”.
Non meno elegante e
accattivante è stata la relazione-testimonianza del rabbino Pierpaolo Pinhas
Punturello che, con ammirata capacità di sintesi, ha esposto alcuni punti qualificanti
della spiritualità ebraica: una spiritualità del tutto mondana, incarnata, in
cui la consapevolezza di vivere al cospetto dell’Eterno porta non alla
svalutazione del temporale bensì alla sua massima valorizzazione. Davvero
illuminante, poi, il dialogo con alcuni presenti (per esempio a proposito
dell’ebraicità di Gesù di Nazareth che solo nella teologia cristiana
contemporanea viene, a fatica, riconosciuta e accettata in tutte le sue
sconvolgenti conseguenze).
Non c’è spiritualità senza confronto con la sofferenza fisica, col
dolore, con la morte. La sessione pomeridiana del secondo giorno è stata
incentrata proprio sul tema del male nell’esperienza umana. Patrizia Baldieri,
che ha esposto una relazione preparata seguendo accuratamente tutti gli aspetti
della tematica del convegno, ha illustrato la prospettiva buddhista,
preoccupandosi di sciogliere alcuni fraintendimenti (per esempio a proposito
della “vacuità” del “Sé” da intendere come rinunzia non alla propria
soggettività ma all’eccessivo attaccamento ad essa sino al punto da illudersi
che sia sottratta all’universale condizione di “impermanenza” di ciò che si dà
nel mondo). E’ sembrato che anche Luigi Vero Tarca - se sono stato in grado di decifrare il suo linguaggio filosoficamente
elaborato – abbia proposto una sorta di demistificazione del negativo: se,
infatti, sul piano fenomenico esso si impone inesorabilmente, ad una analisi
razionale più profonda esso sarebbe inammissibile. E’ la tesi di ogni monismo
ontologico (da Parmenide a Emanuele Severino): apparentemente il carnefice è il
negativo della vittima; in ultima analisi, carnefice e vittima sarebbero due
lati dell’unico Assoluto.
La mattina del terzo giorno si è
ritornati, con l’imam Yusuf Dispoto, dal monismo al mono-teismo: una
prospettiva che, lungi dall’identificare Assoluto e relativo, ne marca assai
decisamente l’abissale differenza. Dio è Dio (per gli islamici come per i
cristiani e prima ancora per gli ebrei) e la creatura è creatura: il Corano e
la vita esemplare del Profeta per eccellenza (Maometto) costituiscono la via
migliore che la creatura umana possa seguire per sintonizzarsi con il volere,
indiscutibilmente saggio, di Allah. Anche l’imam Dispoto, come la sera
precedente la psicoterapeuta Baldieri, aveva preparato una relazione accuratamente
aderente alle tematiche del convegno: ed è stato davvero motivo di rammarico
che entrambi abbiano deciso di trasmettere integralmente
i contenuti predisposti, e di farlo restando fedeli alla lettura del testo, rischiando di
appesantire l’uditorio eterogeneo
e, comunque, costituito in maggioranza da persone che si accostavano per la
prima volta a questo genere di problematiche. Per fortuna, là dove è rimasto un
po’ di tempo per lo scambio dialogico con il pubblico, la comunicazione con il
relatore si è vivacizzata, riuscendo a coinvolgere anche i più giovani.
Il registro della comunicazione diretta è
stato recuperato, in misura crescente sino a diventare quasi incantamento, con
le ultime tre relazioni. Pierpaolo Comolli ha proposto una intrigante lettura
sociologica del fenomeno religioso oggi: da una parte le antiche “narrazioni”
confessionali perdono di credibilità (e le chiese si svuotano); dall’altra,
proprio perché minacciate da questa perdita di credibilità e dalle tendenze
sincretistiche, le istituzioni religiose tradizionali tendono a marcare in
maniera più forte i propri contorni, enfatizzando le caratteristiche
identitarie e alzando mura difensive. Quanto al futuro, il relatore ha
auspicato una (improbabile) terza via tra il dissolvimento delle chiese
istituzionali e il loro irrigidimento fondamentalista: l’appartenenza ad una
tradizione comunitaria consapevole della propria relatività e, perciò,
sinceramente aperta a quanto di valido possa acquisire dall’interazione
dialogica con altre tradizioni comunitarie.
Il pastore valdese Ciccio Sciotto ha raccontato risorse e rischi di
questa contaminazione a partire dalle vicende recenti delle comunità
valdesi-metodiste dell’Italia meridionale il cui stile tendenzialmente
calvinista è stato significativamente modificato dall’inserimento di sempre più
numerosi membri di chiesa provenienti dal continente africano. Per le chiese
europee questo impatto dei migranti costituisce un appello molto forte, e molto
concreto, ad abbattere le frontiere culturali, prima ancora che legali,
riscoprendo l’originaria dimensione universalistica del movimento cristiano. Universale, in greco, sarebbe
“cattolico”: ed è a questo significato etimologico del vocabolo che si è
rifatto don Cosimo Scordato contrapponendolo al significato ordinario di
denominazione di una delle tante chiese cristiane (quella romana di lingua
latina). Vivere l’universalità
significa coniugare l’attenzione al qui-ed-ora del frammento senza perdere l’apertura
intenzionale all’intero: in concreto, accettazione dell’altro in quanto
portatore di qualcosa che, irrimediabilmente, mi manca. Questa accoglienza dell’altro sino alla
tendenziale identificazione con lui, non in quanto simile a noi ma proprio in quanto
altro, trova, per il credente, il prototipo nella fede trinitaria:
Dio si rivela identificandosi con l’uomo ridotto a uno straccio, dunque con
l’uomo nello stadio esistenziale quanto più estremamente lontano da Lui si
possa immaginare.
Il resoconto delle tre giornate sarebbe
imperdonabilmente lacunoso se si tacesse del breve, ma intenso, momento
artistico del secondo giorno in cui il gruppo “I mandolini dei Nebrodi” hanno
suonato e cantato alcuni toccanti brani della tradizione musicale mediterranea.
Come avevo anticipato
nella breve introduzione al convegno, il sogno che ho condiviso con alcuni
amici che mi sono stati vicini in questa avventura (soprattutto Giancarlo Lo
Curzio che si è sobbarcato la maggior parte delle incombenze diplomatiche e
burocratiche) sarebbe di rendere annuale l’appuntamento di queste giornate
delle spiritualità (al plurale) nel
Mediterraneo, per fare di Palermo il seme di un giardino delle sapienze: un
luogo, intendo, in cui - come in
uno dei mosaici delle nostre cattedrali – ogni tassello mantenga la propria
identità (depurata dalle scorie prodotte nel corso dei millenni) ma in vista di
un quadro d’insieme che solo dà senso ai singoli mattoncini.
Perché questa ipotesi di
avveri saranno necessarie varie condizioni: un numero meno esiguo di operatori
effettivamente impegnati nella preparazione dell'evento; un numero meno esiguo di enti finanziatori; soprattutto la stessa
generosa disponibilità dei relatori di quest’anno a partecipare a titolo
gratuito.
Ovviamente
l’esperienza effettuata suggerirà, inoltre, delle opportune modifiche in sede
di progettazione. Prima fra tutte una riduzione delle voci invitate (facendo in
modo, però, che nel corso di un triennio si abbia modo di ascoltarne almeno
tante quante se ne sono ascoltate quest’anno): in modo che ogni ospite abbia
più spazio per confrontarsi sia con l’uditorio sia, soprattutto, con gli altri
ospiti relatori (la cui presenza in sala nel corso di altre relazioni si è
mostrata, già da quest’anno, preziosa).
Augusto Cavadi
Iscriviti a:
Post (Atom)