“Repubblica – Palermo”
13.8.2014
SE IL SINDACO PASSA DAL FESTINO DI S. ROSALIA AL RAMADAN
Leoluca Orlando ha partecipato, in quanto sindaco della città, alla cerimonia di conclusione del
Ramadan islamico a Palermo. La foto che lo ritrae accovacciato a terra, con il taqiyah sul capo, è girata molto su internet, accompagnata quasi esclusivamente
da commenti ironici: e non solo da parte di rozzi xenofobi destrorsi.
Che la sua sindacatura stia deludendo molte aspettative è un dato; ma se
alle critiche puntuali e documentate si sommano, e si mischiano, i sarcasmi improvvisati si rischia un
qualunquismo deleterio che non fa bene al miglioramento della città. Questi commenti di scherno, ad esempio,
sono assolutamente fuori bersaglio e non depongono a favore dell’intelligenza
di chi li propala in rete o nelle chiacchiere da spiaggia. Le ragioni
dovrebbero essere ovvie.
Palermo, negli ultimi decenni, è diventata - o è ritornata – una città multietnica e, conseguentemente,
multireligiosa. In varie occasioni il sindaco (come è tradizione nel resto del
Paese) è presente in manifestazioni cattoliche, talora – come nel caso del
festino di santa Rosalia – in maniera particolarmente eclatante. Personalmente
ritengo inopportune queste forme di partecipazione ufficiale: il sindaco di una
città pluralista ricopre un ruolo istituzionale laico e, se intende partecipare
a una celebrazione confessionale, dovrebbe farlo a titolo rigorosamente privato e con la massima discrezione
possibile. Ci sono ragioni sociologiche che impediscono al primo cittadino
questa riservatezza? Se ne può discutere ma, sino a quando egli decide di
partecipare a una festa cattolica, un senso elementare di equità impone che
partecipi alle principali festività delle altre confessioni religiose.
Con un sorriso bonario si potrebbe, infatti, osservare che – visti i
risultati deludenti della protezione divina invocata con parole cattoliche –
appare saggio provarci in traduzione musulmana. Ma, al di là delle battute, è
importante che a Palermo chiunque si senta riconosciuto nella propria identità
culturale, senza graduatorie gerarchiche: cattolico o protestante, musulmano o
induista, agnostico o ateo. Di più: è importante che a Palermo, come nel resto
dell’Occidente, l’immigrato si senta portatore di ricchezze spirituali. Il
filosofo Ermanno Bencivenga ha scritto di recente: “Un emigrante è costretto a
imparare. Il risultato è che gli immigrati nel nostr Paese imparano ma noi di
solito non impariamo niente; al massimo andremo a mangiare del cibo tipico in
uno dei loro ristoranti. Non è la diversità in quanto tale che conta, ma
l’attenzione alla diversità; dunque, per quanta enorme ricchezza attraversi
potenzialmente l’Italia per merito di questi flussi migratori, il potenziale va
in massima parte sprecato”: Un sindaco che s’accovaccia tra stranieri che non
sono più tali perché diventati concittadini, che e ascolta, che prova a
lasciarsi sorprendere e a imparare, è un’icona istruttiva. Forse una delle
immagini più degne di un periodo non particolarmente felice della nostra
tormentata isola.
Augusto Cavadi
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