Care e cari, da giovedì 21 agosto alla mattina di mercoledì 27 agosto sarò, con altri amici, a Saltino (vicino Vallombrosa, provincia di Arezzo) per la "Settimana di vacanze filosofiche per non...filosofi" (per dettagli: www.vacanzefilosofiche.altervista.org)
La sera di mercoledì 27 agosto terrò a Porto S. Elpidio, ospite del Comune, una passeggiata filosofica con aperitivo alle ore 19,00.
Giovedì 28 di sera sarò a Fermo per l'apertura ufficiale della terza edizione della "Filofest: la festa della filosofia di strada" che si terrà dal giorno dopo (venerdì 29) al pranzo di domenica 31 ad Amandola, sui Monti Sibillini (per dettagli: www.wegaformazione.com).
Chiunque potrà/vorrà partecipare a qualcuno di questi appuntamenti in Toscana o nelle Marche sarà il benvenuto.
Il blog di Augusto Cavadi, filosofo-in-pratica di Palermo, con i suoi appuntamenti pubblici in Italia e i suoi articoli.
mercoledì 20 agosto 2014
domenica 17 agosto 2014
CI VEDIAMO A ERICE (LUNEDI' 18 AGOSTO) E/O A TRAPANI (MARTEDI' 19 AGOSTO) ?
Care e cari,
lunedì 18 e martedì 19 giocheremo, con don Cosimo Scordato, una scommessa: si può parlare di chiesa e mafia in un caffé all'ora dell'aperitivo fra persone che abitualmente se ne fregano della mafia e soprattutto della chiesa?
Se puoi/vuoi darci una mano, ti saremmo grati se partecipassi almeno a una delle due occasioni e ci aiutassi a diffondere la notizia fra i tuoi contatti (vedi comunicato stampa QUI DI SEGUITO).
In ogni caso, ti auguro un sereno proseguimento di ferie agostane,
Augusto
lunedì 18 e martedì 19 giocheremo, con don Cosimo Scordato, una scommessa: si può parlare di chiesa e mafia in un caffé all'ora dell'aperitivo fra persone che abitualmente se ne fregano della mafia e soprattutto della chiesa?
Se puoi/vuoi darci una mano, ti saremmo grati se partecipassi almeno a una delle due occasioni e ci aiutassi a diffondere la notizia fra i tuoi contatti (vedi comunicato stampa QUI DI SEGUITO).
In ogni caso, ti auguro un sereno proseguimento di ferie agostane,
Augusto
Comunicato stampa
Don Cosimo Scordato, docente alla Facoltà
teologica di Sicilia e rettore della Chiesa San Francesco Saverio a
Ballarò (Palermo) presenterà, in dialogo con Augusto Cavadi, opinionista
di “Repubblica – Palermo”, il suo ultimo libro Dalla mafia liberaci o Signore (Di Girolamo, Trapani 2014, pp.168, euro 15,00).
La prima presentazione si svolgerà a Erice, Quartiere Spagnolo, alle ore 19 di lunedì 18 agosto 2014.
La seconda presentazioNe si svolgerà a Trapani, Mediterraneo Café, nei pressi della Casina delle Palme (piazza Carlo Alberto Della Chiesa), alle ore 19 di martedì 19 agosto 2014.
mercoledì 13 agosto 2014
UN SINDACO ALLA CONCLUSIONE DEL RAMADAN ISLAMICO
“Repubblica – Palermo”
13.8.2014
SE IL SINDACO PASSA DAL FESTINO DI S. ROSALIA AL RAMADAN
Leoluca Orlando ha partecipato, in quanto sindaco della città, alla cerimonia di conclusione del
Ramadan islamico a Palermo. La foto che lo ritrae accovacciato a terra, con il taqiyah sul capo, è girata molto su internet, accompagnata quasi esclusivamente
da commenti ironici: e non solo da parte di rozzi xenofobi destrorsi.
Che la sua sindacatura stia deludendo molte aspettative è un dato; ma se
alle critiche puntuali e documentate si sommano, e si mischiano, i sarcasmi improvvisati si rischia un
qualunquismo deleterio che non fa bene al miglioramento della città. Questi commenti di scherno, ad esempio,
sono assolutamente fuori bersaglio e non depongono a favore dell’intelligenza
di chi li propala in rete o nelle chiacchiere da spiaggia. Le ragioni
dovrebbero essere ovvie.
Palermo, negli ultimi decenni, è diventata - o è ritornata – una città multietnica e, conseguentemente,
multireligiosa. In varie occasioni il sindaco (come è tradizione nel resto del
Paese) è presente in manifestazioni cattoliche, talora – come nel caso del
festino di santa Rosalia – in maniera particolarmente eclatante. Personalmente
ritengo inopportune queste forme di partecipazione ufficiale: il sindaco di una
città pluralista ricopre un ruolo istituzionale laico e, se intende partecipare
a una celebrazione confessionale, dovrebbe farlo a titolo rigorosamente privato e con la massima discrezione
possibile. Ci sono ragioni sociologiche che impediscono al primo cittadino
questa riservatezza? Se ne può discutere ma, sino a quando egli decide di
partecipare a una festa cattolica, un senso elementare di equità impone che
partecipi alle principali festività delle altre confessioni religiose.
Con un sorriso bonario si potrebbe, infatti, osservare che – visti i
risultati deludenti della protezione divina invocata con parole cattoliche –
appare saggio provarci in traduzione musulmana. Ma, al di là delle battute, è
importante che a Palermo chiunque si senta riconosciuto nella propria identità
culturale, senza graduatorie gerarchiche: cattolico o protestante, musulmano o
induista, agnostico o ateo. Di più: è importante che a Palermo, come nel resto
dell’Occidente, l’immigrato si senta portatore di ricchezze spirituali. Il
filosofo Ermanno Bencivenga ha scritto di recente: “Un emigrante è costretto a
imparare. Il risultato è che gli immigrati nel nostr Paese imparano ma noi di
solito non impariamo niente; al massimo andremo a mangiare del cibo tipico in
uno dei loro ristoranti. Non è la diversità in quanto tale che conta, ma
l’attenzione alla diversità; dunque, per quanta enorme ricchezza attraversi
potenzialmente l’Italia per merito di questi flussi migratori, il potenziale va
in massima parte sprecato”: Un sindaco che s’accovaccia tra stranieri che non
sono più tali perché diventati concittadini, che e ascolta, che prova a
lasciarsi sorprendere e a imparare, è un’icona istruttiva. Forse una delle
immagini più degne di un periodo non particolarmente felice della nostra
tormentata isola.
Augusto Cavadi
domenica 10 agosto 2014
La libertà 'condizionata' secondo Greci e Medievali
“CENTONOVE” 8.8.2014
SIAMO LIBERI DAVVERO ?
LA TERZA VIA DI RINDONE
Il nostro agire, e la nostra inerzia, sono
condizionati da vari fattori: fra questi la nostra idea di uomo. E di libertà.
Da ciò che pensiamo dell’essere umano, e delle sue possibilità, dipende ciò che
ce ne facciamo della vita. Per questo la ricerca filosofica - di per sé astratta – può comportare
conseguenze estremamente concrete, quotidiane.
Ma non
possiamo interrogarci sull’identità dell’essere umano come se fossimo all’alba
della storia: per millenni, prima di noi, altri si sono posti i medesimi
interrogativi ed esaminarne le risposte può essere istruttivo. Per noi
occidentali, poi, è imprescindibile ripartire, criticamente, dalle due sorgenti
principali dell nostra cultura: Atene e Gerusalemme (i cui fiumi si sono incontrati,
amalgamandosi più o meno felicemente, nella Roma medievale). E’ il percorso che
traccia - in un volumetto agile,
per non specialisti, ma documentato e aggiornato storiograficamente – Elio
Rindone nel suo recente L’uomo e il suo
destino. Liberi per costruire un mondo più vivibile (www.ilmiolibro, Roma 2014, pp. 246. euro
14,00).
Nella prima parte egli racconta la concezione della libertà nella
filosofia greca ed ellenistica; nel Primo e nel Secondo Testamento; infine in
sant’Agostino e in san Tommaso d’Aquino, rispettivamente punte di diamante
della Patristica e della Scolastica medievale. Nella seconda parte, poi, egli
esamina le antropologie che si rintracciano nei medesimi tre scenari: quello
filosofico classico, quello biblico e quello medievale cattolico.
Nell’impossibilità di rievocare la ricchezza delle pagine di Rindone (filosofo
e teologo siciliano ormai da decenni trapiantato a Roma) mi limito a notare
come dal V secolo a. C. al XVI d. C. si siano delineate le interpretazioni
principali sino ad oggi disponibili come paradigmi di riferimento.
Una prima prospettiva
ritiene che l’uomo sia dotato di libertà
assoluta, al punto da poter scegliere addirittura se essere un uomo o un
angelo o una bestia. Il testo classico che esprime questa visione antropologica
è nel De dignitate hominis di Pico
della Mirandola (1486): «Non ti abbiamo dato, o Adamo, una prerogativa
peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti le
prerogative che tu da te stesso avrai scelto. Agli altri esseri una natura
definita è contenuta entro le leggi da noi dettate. Tu, non costretto da alcuna
limitazione, forgerai la tua natura secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà
ti consegnai. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né
immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te
stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che preferirai».
Qualche decennio dopo Martin Lutero contrappone, frontalmente, la sua
teoria dell’assoluta mancanza di libertà
dell’uomo concreto dopo il peccato originale: “ Se
infatti noi crediamo che Dio preveda e preordini tutte le cose, non può ingannarsi
né essere ostacolato nella sua prescienza e nella sua predestinazione; dunque, nulla può verificarsi
se non secondo il suo volere. La ragione stessa è obbligata ad ammetterlo.
Dunque, secondo la stessa testimonianza della ragione, non può esserci libero
arbitrio né presso l’uomo, né presso gli angeli, né presso alcuna creatura...”
(De servo arbitrio).
Oltre a queste due concezioni estreme, opposte,
Rindone fa vedere come il Medioevo, soprattutto il tardo Medioevo con Tommaso
d’Aquino, usando il setaccio della
filosofia greca come griglia interpretativa della Bibbia (dove, in effetti, si
può trovare tutto e il contrario di tutto), si è attestato su una terza
concezione che si potrebbe definire della libertà
condizionata. L’uomo non è libero di scegliersi la sua natura, la sua
essenza: non nasce né può farsi angelo o bestia e, in quanto uomo, si ritrova
costitutivamente orientato verso la felicità (intesa come fruizione del sommo
Bene). Ma se la méta è pre-stabilita, pre- determinata, non così i mezzi per
raggiungerla: si squaderna una gamma di sentieri, alcuni più validi ed altri
fallimentari. L’avventura umana consiste proprio nel gioco dell’intelligenza e
della volontà che, insieme, possono individuare i metodi più opportuni e,
soprattutto, non senza un’energia gratuita divina, provare a sperimentarli in
pratica. La libertà la si conosce davvero perseguendola: come liberazione dai
propri vincoli interiori e come liberazione dell’umanità da ogni forma di
schiavitù.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
domenica 3 agosto 2014
SERVIZIO MILITARE E DPN (DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA)
“Madrugada” (Rivista trimestrale dell’associaione “Macondo”,
edizione cartacea con accesso libero e gratuito sul web alla versione pdf) , a n n o 2 4 · n u m e r o 9 4 ·
g i u g n o 2 0 1 4
ALL’ARMI !
Possedere armi, o per lo meno averle a disposizione e saperle adoperare, è stato per millenni un privilegio. Quando, dunque, con la rivoluzione francese di fine Settecento e la successiva fase napoleonica di inizio Ottocento, nacquero le “Guardie nazionali” e gli eserciti popolari, l’equazione cittadino = soldato apparve, e fu, un progresso civile. La biografia dello stesso Bonaparte acquistò una valenza simbolica: generali, capi di governo, imperatori si diventa per meriti, non lo si nasce per caso. Gli storici osservano che la diversità di motivazioni fra soldati francesi, che combattevano con convinzione per la liberazione della propria patria, e soldati prussiani e austriaci, che combattevano per soldi agli ordini di sovrani autoreferenziali, contribuì non poco all’esito della guerra. Quando a Valmy l’esercito popolare francese batté gli eserciti mercenari invasori, Goethe osservò – con una punta di esagerazione tipica dei letterati - che da quella data, e da quel luogo, iniziava una nuova era del mondo. Una conferma del detto giapponese che il cane difficilmente raggiunge la lepre perché il cane corre per il padrone e la lepre per se stessa.
Possedere armi, o per lo meno averle a disposizione e saperle adoperare, è stato per millenni un privilegio. Quando, dunque, con la rivoluzione francese di fine Settecento e la successiva fase napoleonica di inizio Ottocento, nacquero le “Guardie nazionali” e gli eserciti popolari, l’equazione cittadino = soldato apparve, e fu, un progresso civile. La biografia dello stesso Bonaparte acquistò una valenza simbolica: generali, capi di governo, imperatori si diventa per meriti, non lo si nasce per caso. Gli storici osservano che la diversità di motivazioni fra soldati francesi, che combattevano con convinzione per la liberazione della propria patria, e soldati prussiani e austriaci, che combattevano per soldi agli ordini di sovrani autoreferenziali, contribuì non poco all’esito della guerra. Quando a Valmy l’esercito popolare francese batté gli eserciti mercenari invasori, Goethe osservò – con una punta di esagerazione tipica dei letterati - che da quella data, e da quel luogo, iniziava una nuova era del mondo. Una conferma del detto giapponese che il cane difficilmente raggiunge la lepre perché il cane corre per il padrone e la lepre per se stessa.
Proprio la vicenda della
Francia rivoluzionaria, che in pochi anni diventa uno Stato imperialista,
ci ammonisce sulla dialettica dell’arruolamento di massa: da diritto diventa
dovere, da missione civica massacro insensato. I Malavoglia di Verga non costituisce l’unico documento di come la
povera gente considera l’obbligo di prestare servizio militare: una corvée arbitraria che priva le famiglie
di braccia, e di menti, giovani e valide, per destinarle ad avventure suicide
(come in effetti saranno per l’Italia la prima, e ancor più la seconda, guerra mondiale).
Tutta la battaglia per l’obiezione di
coscienza rispetto alla coscrizione militare obbligatoria, che ha visto
impegnate in Italia figure di altisismo livello di varia estrazione ideale, da
Aldo Capitini a don Lorenzo Milani, ha portato - come è noto – prima al diritto di sostituire il periodo di
leva con un servizio civile, poi all’abolizione della leva obbligatoria e alla
formazione delle Forze armate esclusivamente su basi volontarie. Un risultato
positivo, senz’altro: ma del tutto privo di risvolti problematici?
Il processo sociale, incrementato anche
dal processo tecnologico, per cui
una minoranza di cittadini avrà in mano l’esclusiva dell’uso delle armi,
riproduce un pericoloso dualismo pre-moderno: da una parte un’élite di specialisti della difesa (ma anche dell’offesa) armata,
dall’altra la maggioranza della popolazione. Sino a quando i meccanismi
democratici, più o meno, funzionano, la situazione può considerarsi
accettabile: ma quando, per iniziativa di un uomo forte, si dovessero
inceppare? Senza immaginare scenari fantapolitici (per altro abbondantemente
realizzati nel XX secolo in Europa: franchismo, salazarismo, guerre balcaniche
dopo la morte di Tito…), già oggi
le richieste dei vertici militari al ceto politico lasciano trasparire toni
diversi rispetto alle richieste di altri settori della società: se vi chiediamo
di investire milioni di euro sugli F 35, sottraendoli alla spesa sociale, vi
conviene ascoltarci perché voi non avete le competenze tecniche per capire che
cosa è necessario alla vostra stessa sicurezza…
La problematica
appare dunque complessa e meriterebbe un’attenzione riflessiva che non risulta
diffusa. Un’ipotesi di lavoro -
teorica ma anche pratica – sarebbe di bilanciare l’esercito dei volontari in
armi con un esercito, molto più consistente numericamente, di volontari
disarmati. E’ in questa direzione che vanno le esperienxe di Difesa Popolare
Nonviolenta (DPN) di cui parla anche il mio fraterno amico Andrea Cozzo nel suo
Conflittualità nonvioenta. Filosofia e
pratiche di lotta comunicativa (Mimesis, Milano 2004): “Organizzare
strutturalmente forme di intervento nonviolento in conflitti sia nazionali che
internazionali, tanto in caso di coinvolgimento diretto, come parte in gioco,
quanto in casi di coinvolgimento dall’esterno, come terza parte che prende
posizione in un conflitto fra altri. In entrambi i casi, esaurite le risorse
offerte dalle attività diplomatiche istituzionali, il monopolio della gestione
del conflitto smette di essere dello Stato e passa alla società civile,
adeguatamente formata ed organizzata” (pp. 266 – 267, ma vedere i dettagli sino
a p. 294).
Augusto Cavadi
(www.augustocavadi.com)
sabato 2 agosto 2014
LA VERA RICCHEZZA: MEMENTO IN TEMPI DI CRISI
“Centonove” 25.7.2014
LA VERA RICCHEZZA E’ NEL DENARO ?
Che
succede se un ex-manager, ridotto dalla crisi economica attuale in povertà,
mentre siede su uno scoglio di Capo Boeo – in quel di Marsala – a contemplare
Marettimo, l’Isola Sacra, viene avvicinato da un docente universitario di
economia incuriosito dal suo profilo austero ma sereno? Se volete saperlo vi
basta procurarvi una copia dell’agile, fruibile, volume di Massimo Jevolella, Il segreto della vera ricchezza. Dialogo tra
un economista e un povero (Urra, Milano 2014, pp. 100, euro 10,00).
Il testo non avanza pretese di grande originalità, ma intreccia - nella trama del dialogo – tutta una serie di
considerazioni sulla contemporaneità e di indicazioni terapeutiche dalla
migliore sapienza tradizionale. Sulla contemporaneità: “Una donna di
trentacinque anni perde il lavoro,
e disperata si getta in poeno inverno nelle acque gelide e impetuose dell’Adda,
con i figliuoletto di pochi mesi legato al petto. […] Ci vollero molte ore per
trovare i due corpi privi di vita, ancora stretti insieme, trattenuti dai rami
di un albero caduto sulla riva del fiume…era una notizia di poche righe, uscita
soltanto su alcuni giornali lombardi. […] C’è chi si dà fuoco, chi s’impicca,
chi si lancia dalla finestra…L’improvviso cadere nell’indigenza terrorizza…e
gli orrori sono infiniti”. Tutto questo mentre “decine di migliaia di miliardi
di dollari giacciono nei forzieri segreti dei paradisi fiscali di tutto il
mondo”, pur essendo noto che “basterebbe confiscare meno della metà di quelle
enormi risorse finanziarie inutilizzate, frutto di corruzione e di rapina, di
criminalità, di frode e di evasione fiscale, per risolvere in un colpo solo la
crisi mondiale, per ridare speranza, lavoro, protezione e sostentamento sicuro
ai giovani, ai licenziati, a tutti i disperati della terra, feriti nella loro
dignità umana e ridotti ormai alla fame”.
E’ evidente che se certe ricette non
vengono applicate - anzi, neppure
prese in esame in via ipotetica – la ragione non è ‘tecnica’ né ‘scientifica’,
ma etica. Solo un bagno rigeneratore nelle sapienze tradizionali (dagli Egizi
agli Ebrei, dagli Indiani ai Greci e così via) potrebbe aprirci finalmente gli
occhi: la vera ricchezza non si misura in quantità di oro accumulato, ma in
qualità di vita per sé e per i propri simili. “In verità” - sostiene verso la fine della
conversazione il saggio povero/ricco
- “in questo breve viaggio che è la vita, nessun ‘grande uomo’, nella
sua superbia intellettuale o nella sua accidia morale, ha mai varcato per un
solo istante la soglia della gioia se non ha mai saputo donare almeno un grammo
di letizia e di speranza al più piccolo e al più fragile dei suoi compagni
d’avventura”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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