“Repubblica – Palermo”
Giovedì 24 luglio 2014
GLI ATTENTATI CHE FANNO SCAPPARE I TURISTI
E’ in atto un declino di Cefalù dal punto di vista turistico ? La
questione ha dato luogo a un
vivace, scambio di opinioni fra Nicola Farruggio,
presidente di Palermo
e vicario regionale Federalberghi, e
Rosario Lapunzina, sindaco della città normanna. In attesa di analisi statistiche più scientifiche, noi
innamorati di Cefalù non possiamo tacere la delusione per troppi segni di decadimento.
Il centro storico, invano chiuso al traffico, è attraversato giorno e notte da
automobli e soprattutto da “motorini” ziz-zaganti fra turisti increduli.
Proibitivi i prezzi degli alimentari e degli altri generi di prima necessità,
come se i clienti fossero tutti proprietari di yacht al molo. Solo da qualche giorno un nuovo direttore – dotato
di passione, ma non si sa di quante risorse finanziarie – per rilanciare il
museo “Mandralisca” allo sbando. E i tratti di spiaggia accessibili
gratuitamente, punta di diamante dell’attrattiva turistica, sono quasi sempre
sfregiati dal combinato disposto della maleducazione dei bagnanti,
dell’inefficienza di chi dovrebbe ripulire e dell’assenza perenne di chi
dovrebbe multare gli uni e gli altri.
Ma la notizia vera è che il declino turistico di Cefalù (più o meno
consistente che si riveli nei prossimi accertamenti) non abbia coinvolto –
almeno per ora ! - l’intera
isola. I motivi non mancherebbero e, se istituzioni e cittadini non ne
prendiamo atto in tempo, le conseguenze anche economiche saranno dolorose. Vivo
a due passi dalla spiaggia libera
della borgata di Vergine Maria: da anni nessuna autorità è riuscita a
evitare che selve di tende la invadano per settimane, di giorno e di notte, in
assoluta mancanza delle più elementari norme igieniche. Qualche chilometro più
in là l’hotel Villa Igea: i turisti che vogliono fare due passi verso il
porticciolo dell’Acquasanta possono scegliere fra una bretella ufficialmente
chiusa al traffico ma continuamente attraversata da veicoli a motore e la
strada principale i cui ristrettissimi marciapiedi sono perennemente occupati
da auto in sosta. Come spiegargli che mettere a repentaglio l’incolumità
personale dei pedoni dalle nostre parti è la regola?
Le zone off-limits, per chi è abituato a standard europei e nord americani,
sono innumerevoli. Che significhi essere ospitato in un B & B del centro
storico, e voler dormire da mezzanotte alle sette del mattino dopo una giornata
di giri in città, lo sappiamo tutti: o per esperienza diretta o per le cronache
dei giornali di questi giorni. Meno noti, ma non meno esasperanti, altri
inconvenienti. Un amico ha dovuto anticipare il ritorno in Lazio perché,
ospitato nelle vicinanze di via Oreto, ha dovuto subire per giorni e notti di
seguito, senza un solo minuto di pausa, la tortura inflittagli dalle decine di
cani abbaianti del canile municipale: i poveri animali fanno ciò che sanno, ma
perché le varie amministrazioni succedutesi a Palazzo delle Aquile (compresa
l’attuale) non si decidono a rispettare la normativa europea (che prevede
simili strutture d’accoglienza per i cani ad almeno sette chilometri dai centri
abitati)?
Se poi gli stessi turisti si decidono per una gita fuori porta, quasi
dappertutto è uno schifo. L’Amat (che dovrebbe possedere 700 veicoli, ne
possiede 560 e ne usa meno della metà al giorno) non riesce a pubblicizzare gli
orari delle corse dei bus neppure ai capolinea. Alle rotonde e nei cavalcavia
(scandaloso ciò che avviene da sempre in piazza Giachery nella totale,
costante, assenza di vigilanza) gli “stop” non servono neppure a far rallentare
le automobili che sfrecciano impunite. Le rare piste ciclabili sono quasi
sempre occupate da auto in sosta: per evitare che il visitatore in bici ne
possa percorrere qualche metro, in caso di momentanea assenza di automobili
posteggiate, ci pensano negozianti e
venditori ambulanti a montare baldacchini stazionari (clamoroso il caso
di via Quinta Casa). L’illegalità è talmente sistemica che sarebbe una sorpresa
insopportabile se una qualsiasi autorità preposta all’ordine pubblico si
svegliasse dal sonno e osasse dare segnali di segno differente. La pineta di
Monte Pellegrino una sorta di immondezzaio a cielo aperto; altrettanto, e
peggio, le strade che costeggiano l’autostrada sia all’entrata da Villabate sia
all’uscita per l’aeroporto “Falcone e Borsellino”. Chi imbocca a Palermo la
medesima autostrada per raggiungere Trapani o Mazara del Vallo, e dimentica di
fare il pieno di benzina, non trova una sola aerea di rifornimento: succede
anche in altre zone d’Italia? Quanti posti di lavoro in più si creerebbero
grazie a un minimo di attenzione
per le esigenze elementari dei viaggiatori?
Se è duro sopravvivere in Sicilia per chi vi è nato, non c’è poi da
stupirsi che altri, da lontano, esitino a tornare. Ma se la disaffezione da
parte dei turisti si allargasse cronicizzandosi, per noi indigeni la
sopravvivenza diventerebbe ancora più dura.
Augusto Cavadi
1 commento:
Proprio in questi giorni, Augusto, mi sono trovata nel sud della nostra isola con degli amici. Le brutture che abbiamo visto (oltre ai disagi che ogni giorno, vivendo qui, si patiscono, e penso, solo per fare un banale esempio, al malfunzionamento della connessione a internet o dei cellulari) ci hanno fatto chiedere come mai ci sia ancora – esclusi gli emigrati e i turisti siciliani – gente che continua a venire.
Non mi dilungo sui pessimi collegamenti all’interno dell’isola perché è storia vecchia. Per raggiungere Ragusa da Palermo in treno bisognerebbe partire la mattina presto, fare delle soste - lunghe anche delle ore - in diverse stazioni, per trovarsi alla meta nientemeno che nel pomeriggio. Campa cavallo…
Partiamo in macchina. A Palermo, stesso caos e stesso degrado. Ma non era cambiato il sindaco? Attraversiamo, nella calura del centro dell’isola, strade prive non solo di un’area di servizio, ma anche di viaggiatori, sia indigeni che stranieri. Ci chiediamo allora dove sia, poi, tutto questo turismo. Attraversiamo Gela, e abbiamo un’immagine di come pensiamo possa essere la Striscia di Gaza. Avvicinandoci alla costa meridionale, vediamo distese di teloni di plastica. Sono le serre, che quando sono scoperte altro non sembrano che squallidi scheletri. Almeno, lì, però, si produce qualcosa, pensiamo.
Un amico ci dice che talvolta, questi teloni, finiscono abbandonati in prossimità del mare o bruciati nei falò.
All’indomani, i nostri amici ritornano delusi dalla “spiaggia di Montalbano”, a Punta Secca, dove in acqua hanno avvistato un’inquietante chiazza marrone. A Marina di Ragusa, per fortuna, il mare è bello, ma il paese è pieno di macchine. Non mi scandalizzo: nel nord della Sicilia è lo stesso. Il nostro amico ci dice che il parcheggio è più su rispetto alla spiaggia e, conoscendo l’indole del siciliano medio, sappiamo che non è disposto a camminare per giungere a mare.
A Ispica vediamo chiese meravigliose circondate da porticati chiusi e trasformati in magazzini, palazzi nobiliari trascurati, piazze e strade in cui si mescolano “stili” architettonici di case che cozzano con la bellezza dei palazzi storici o delle chiese vicine. Non tentiamo neppure di vedere gli stucchi e i dipinti all’interno, sicuri che, all’ora di pranzo, le chiese le troveremo chiuse. Ci accontentiamo perciò di guardare le raffigurazioni delle opere, che hanno pensato bene di mettere dietro i vetri del porticato.
I bordi delle strade extraurbane, che sia a nord o a sud dell’isola, sono sempre pattumiere.
A Marzamemi, per fortuna, la tonnara è stata salvata trasformandola in locali e negozietti, ma al di fuori di quella piccola area, vediamo lo stesso degrado di tanti altri paesi dell’isola. Eppure ce l’avevano decantato come uno dei luoghi più belli della Sicilia… Si riferivano di certo al paesaggio in lontananza, però.
Alla fine della gita, serberemo il ricordo delle preziose sculture barocche di Scicli e dello spettacolare duomo di S. Giorgio a Modica. Speriamo che, insieme al mare, riescano a resistere al tempo e alla cecità dei siciliani. Il cielo e il sole del sud, invece, a noi che ormai stiamo al nord, almeno quelli non ce li può levare nessuno.
Saluti affettuosi,
Lidia Bonomo
Posta un commento