“Repubblica – Palermo”
12.6.2014
LA BABY-MAMME E IL SILENZIO DELLA SCUOLA
Secondo gli ultimi dati Istat (relativi all’intero anno 2012) nella
sola provincia di Palermo 433 ragazze (dai tredici ai diciannove anni) hanno
partorito un figlio. Poche di loro sono sposate o con un compagno stabile:
ancora meno hanno scelto, e non subìto occasionalmente, la maternità. Che
infanzia – e in prospettiva che vita – attenda questi neonati è facile
immaginarlo: e non solo nelle fasce economicamente e socialmente più deboli
della popolazione. La situazione non è molto differente nel resto dell’isola,
soprattutto dove la presenza di ragazze immigrate alza ulteriormente la media
statistica. Se si sommano a questo numero gli aborti (ufficiali e clandestini)
si arriva a un quadro che non
dovrebbe lasciare indifferenti.
Da una prospettiva emergenziale,
attenta più agli effetti che alle cause, ci si attenderebbe innnanzitutto una
mobilitazione delle strutture sanitarie. Secondo l’allarme lanciato
recentemente ad un congresso della CGIL, a Palermo è stato chiuso anche
l’ultimo consultorio di via Massimo D’Azeglio e l’ottanta per cento dei
ginecologi, operanti in cliniche pubbliche o convenzionate, si dichiarano
obiettori di coscienza rispetto alla legge 194 del 1978 (che regola attualmente
le interruzioni volontarie di gravidanza). Sarebbe interessante verificare quanti tra questi
medici-obiettori si astengono davvero dall’intervenire clandestinamente nei casi in cui vengano interpellati da
parenti, amici o da clienti particolarmente facoltosi.
Se, comunque, si possono
ammettere divergenze di opinioni sul versante del “dopo”, è davvero
incomprensibile e intollerabile che non si registri unanimità di intenti e di
strategie effettive in fase preventiva. In particolare, colpisce la latitanza
pedagogica della scuola. Con ipocrisia tutta italiana, si lascia a qualche
spiegazione occasionale del professore di biologia o della professoressa di
religione l’onere di colmare alcune lacune madornali: per il resto, silenzio. I
frutti avvilenti di questa politica non potranno che riprodursi anno dopo anno.
Non si tratta di una questione
da affrontare dilettantisticamente e ci si può augurare che, nei mesi estivi,
le agenzie educative più sensibili approntino dei progetti meditati per la
ripresa autunnale. Innanazitutto c’è da agire sul piano elementare dell’informazione: presentare, senza
tecnicismi, la dimensione sessuale dell’essere umano dal punto di vista della
fisiologia e della psicologia, con un panorama dei metodi contraccettivi sinora
approntati dalla ricerca scientifica. Anche in questo campo, però, la scuola
non può non ordinare i dati informativi alla formazione critica dell’alunno: che, in concreto, significa stimolare una valutazione
personale del come, quando, con chi realizzare la propria genitalità e, più
ampiamente, la propria affettività. In una società multiculturale questa fase
di riflessione etica non può certamente essere delegata a esponenti, per quanto
preparati, di una confessione religiosa: chiunque si candidi a svolgere questo
genere di educazione sessuale dovrebbe farlo solo in una prospettiva laica. Che
non significa, ovviamente, polemica verso questa o quella tradizione teologica,
bensì di evidenziazione dei punti comuni e di onesta rappresentazione delle
opinioni divergenti. Ormai esiste una discreta letteratura sull’argomento che
può servire da base per conversazioni realmente libere fra docenti e allievi.
L’essenziale, comunque, dopo più di due secoli resta l’avvertenza di Rousseau:
quando si avanzano delle proposte che riguardano la morale, l’insegnante deve guardarsi
particolarmente dall’assumere toni cattedratici e ancor meno prevaricatori.
Molto meglio offrire le poche certezze e i molti interrogativi che, anche da
adulti, ci pone la dimensione sessuale e sentimentale dell’esistenza.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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